The Last of Us Part 1

The Last of Us: Part II

PS4

The Last of Us: oltre un mondo devastato – Speciale

Un mondo devastato, silenzioso, prosciugato. Cosa resta effettivamente di noi, dopo le ombre di The Last of Us, di entrambi i capitoli sapientemente creati da Naughty Dog, è quel vuoto che chiunque, nel bene o nel male, prova quando qualcosa che si perde diventa impossibile da recuperare. Se nel 2013 The Last of Us ha avuto successo, diventando un metro di paragone per un genere apprezzato e amato, è merito soprattutto del suo messaggio finale, della difficoltà di Ellie, del percorso nell’inferno di Joel e di quella mancanza che, purtroppo, lascia sgomenti e attoniti.




Di The Last of Us, opera che tutti hanno sviscerato e discusso, ci sarebbe davvero molto da dire. Qualcuno lo incensa a capolavoro, a opere indiscussa, alla dimostrazione che la sottile linea rossa che separa il videogioco e il cinema è sottile, e in tante altre occasioni si potrebbe in effetti non sapere affatto come raccogliere i pensieri e, in seguito, comprendere il perché un’opera del genere è arrivata a essere una delle migliori in assoluto. Perché sì, diciamocelo: un racconto del genere, sporco e sanguinolento, in cui del vecchio mondo è rimasto pressoché nulla, è proprio ciò di cui avevamo bisogno.

The Last of Us è un capolavoro o solo un ottimo gioco? Il primo, lo ammetto, non mi fece impazzire

È proprio quando qualcuno dice che è la sopravvivenza a far uscire il peggio dell’essere umano. L’ho compreso attraverso Joel in The Last of Us: Parte I, e l’ho capito ancora di più con il secondo capitolo, a mio parere nettamente superiore di gran lunga al videogioco del passato sotto tanti aspetti, uno su tutti il game design, più vicino e ammodernato anche per questioni stilistiche alla profondità ludica di Uncharted, prodotto che, secondo me, andrebbe analizzato sotto moltissimi aspetti.

The Last of Us Parte I PC hotfix

Penso addirittura sia sottovalutato nel grande ecosistema di SONY, anche se è di sicuro uno dei suoi videogiochi di punta, nonché quello che ha proposto un personaggio, quello di Nathan Drake, estremamente curato e profondo. Insomma, è impossibile dimenticarselo, specie se non si può fare a meno delle opere ideate dalla penna di Neil Druckmann. Essere gli ultimi, d’altronde, è forse la cosa che riesce meglio al genere umano: lo si comprende attraverso la sofferenza di Joel, rimasto solo al mondo. Ed è proprio in The Last of Us: Parte I, l’opera precedente alla seconda iterazione del franchise, che si comprende maggiormente quanto ogni cosa, sia dal punto di vista narrativo che di game design, fosse al posto giusto.

OLTRE IL RAPPORTO TRA PADRE E FIGLIA

Ben prima che il Cordyceps prendesse il sopravvento, mietendo vittime fra i civili e trasformando gli uomini in creature abominevoli, il mondo intero arrancava, ma non conosceva ancora il dolore. Joel faceva fatica ad arrivare alla fine del mese come chiunque, prendendosi cura di Sarah, sua figlia, con la stessa abnegazione che ha sempre avuto per mantenere forte ciò cui tiene totalmente. Poi il mondo è andato, come ben sappiamo, totalmente allo scatafascio: il virus ha preso il sopravvento, tutto si è tramutato in un dolore senza fine e i pochi sopravvissuti sono fuggiti in aree protette. Degli Stati Uniti, come del mondo, è rimasto poco e nulla

.Degli Stati Uniti, come del mondo, è rimasto poco e nulla

Se da una parte le serie televisive nel 2013 erano dominate dall’imponente presenza di The Walking Dead, dall’altra il mondo di The Last of Us si faceva spazio, dando ai giocatori due fra i personaggi meglio scritti e strutturati, complessi e taglienti dell’intera industria. Due personaggi che, diciamocelo, hanno sopportato la sofferenza e si sono ritrovati, per puro caso, a dover convivere completamente assieme, a sopportarsi e sì, alla fine a volersi bene. Ed è proprio quel bene che Joel, rivedendolo in Ellie, comprende che forse ciò che non ha mai superato è la crepa che ha sul suo orologio rotto.

L’orologio rotto che la sera di vent’anni prima, quando scoppiò l’apocalissi, gli fu regalato da Sarah. Lo si avverte attraverso le parole di Ellie, che nel videogioco ha la stessa età di quando Sarah è stata uccisa dal soldato che tutti abbiamo imparato a odiare. È stata decisamente una scena traumatica, quella, specie se la compariamo con quella presente nella serie televisiva HBO, che ha replicato ed espanso completamente il mondo degli ultimi di noi, andando ad affinare un lavoro egregio e particolareggiato, profondo e inedito. Un lavoro che ha saputo raccontare al mondo una storia che, in seguito, ha tessuto le trame del secondo capitolo.

Joel rivede Sarah negli occhi e nell’età di Ellie

Sì, di quel secondo capitolo che messo ancora più sofferenza al suo interno, andando ben oltre il mondo devastato e raccontando, di conseguenza, il dolore che si prova anche quando sono i protagonisti considerati buoni commettono quel genere di sofferenza. In ogni caso, come accennavo precedentemente, è proprio quel rapporto padre-figlia che ha reso grande il primo capitolo del franchise. In parte è merito della scrittura del suo autore, in secondo luogo del mondo creato proprio dal suo autore, e in terzo – ma importantissimo – è tutto focalizzato sui piccoli gesti. Il primo capitolo fa della loquela un’arma importantissima, in grado di determinare il bene che si prova verso uno sconosciuto che poi diventa qualcosa di più. E intanto, mentre quel dolore si espande e la mancanza di un mondo con una prospettiva si fa oscuro, a focalizzare la cinepresa è la soluzione a tutto: proprio Ellie. Però, come accennavo, Joel non può permettere che lei muoia: pur provando a nasconderlo e a dirsi che non era così, le vuole bene. Un bene sincero, lo stesso che lo legava probabilmente a sua figlia, anche se ovviamente quello nei confronti di Sarah era ben diverso. E se così non fosse, invece?

Annie Wersching Tess The Last of Us

Un genitore può sempre esserlo anche nei confronti di qualcun altro. Il punto è che Ellie è cresciuta tanto in fretta, troppo in fretta sin dal momento del morso che, però, non l’ha trasformata. Era la soluzione a tutto, alla sofferenza che per oltre trent’anni aveva avvolto il mondo intero, costretto ad arrancare e a soffrire nel silenzio. Era la soluzione per qualche altro padre, ma non secondo Joel. Ed è qui che l’intero canovaccio narrativo si eleva, esattamente con una battuta finale che è una menzogna, per poi divenire ben altro: una strada lastricata di dolore e morte.

LA STORIA DI VENDETTA E REDENZIONE DI THE LAST OF US: PARTE II

Il motivo della stesura di questo speciale, lo ammetto, è un pochino per fare da coro al Kommissario e alla sua recensione della remastered del secondo capitolo che, come accennavo, prediligo di molto rispetto al primo per le tematiche al suo interno e la libertà creativa data a Neil Druckmann, che si è superato di molto e ha migliorato, di conseguenza, anche la sua scrittura. Ben lontano dalle disavventure del primo capitolo, infatti, sia Joel che Ellie hanno finalmente trovato una loro tranquillità, a Jackson, lontano dai perigli che hanno dovuto affrontare nel loro lungo percorso per arrivare a un posto sicuro, dopo gli eventi di Seattle – anche se è passato diverso tempo, preferisco restare in silenzio su quella parte. In un lungo e denso prologo, però, viene anche spiegato qual è il reale peso del sacrificio.

Ben lontano dalle disavventure del primo capitolo, infatti, sia Joel che Ellie hanno finalmente trovato una loro tranquillità, a Jackson

A dire il vero, a essere sottolineato è un rapporto burrascoso, in cui Joel ha mentito a Ellie ed Ellie, di conseguenza, ha deciso di stracciare ogni rapporto interpersonale. Già, come accade tra un padre e una figlia. C’è tuttavia tanto altro in The Last of Us: Parte II, vale a dire un progetto coraggioso pensato per espandere ulteriormente un mondo già ottimamente rappresentato. Quando fu lanciato sul mercato, i giocatori si lamentarono del rapporto fra Ellie e Dina, ignorando, inoltre, che la protagonista avesse già amato una donna nel suo passato. In The Last of Us: Parte II, però, viene ancora più evidenziato quanto sia importante crescere in fretta per divenire adulti, per proiettarsi così in una realtà ancora più ottenebrata e brutale.

The Last of Us Parte 2 Abby trailer

Mentre Ellie arranca, non riuscendo a gestire il peso della sua esistenza e da cos’è stata protetta con una menzogna, dall’altra c’è qualcuno pronto a compiere la sua vendetta. È qui che si crea, infatti, il dualismo presente nel secondo capitolo del franchise, con una nuova protagonista, Abby, pronta a usare ogni suo mezzo per vendicare il padre. Sì, anche a usare una mazza da golf per l’occasione. E così, quando tutto va in malora e Jackson diventa un posto pericoloso, Ellie ritorna in un inferno, lo stesso inferno che si era lasciata alle spalle. È un cammino lastricato di morte, il suo, che si sposa con un game design perfezionato per l’occasione, ancora maggiormente curato, ancora più brutale e deciso, proprio per trasmettere al giocatore ogni sensazione.

È un cammino lastricato di morte, il suo, che si sposa con un game design perfezionato per l’occasione

È dualismo macabro, fatto di vendetta e redenzione, con due giovani che sono nate in un contesto buio, in cui l’unica luce rimasta è quella di una pistola puntata alla tempia. Perdono affetti, amici, chiunque le abbia amate e, nel frattempo, perdono loro stesse. Soprattutto Ellie, consumata da una vendetta che non gestisce, che non accetta. È proprio vero quando qualcuno dice che è impossibile cercare di zittire i ricordi: vengono fuori, non stanno mai fermi, necessitano di dire la loro. Poi tutto finisce, e quell’accordo che magari prima sembrava accogliente, ora è stridulo. Ecco, è l’anima dell’intero franchise creato da Neil Druckmann, quel suono stridulo. Quel suono stridulo e metallico, capace di scalfire l’anima e, soprattutto, il cuore.

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