Tacoma – Recensione

PC Xbox One

Scrivere la recensione di Tacoma non è cosa semplice, ma almeno sarà un impegno breve: gli spoiler sarebbero inevitabili già a un minuto dall’incipit, e persino i dettagli del gameplay andrebbero considerati alla stregua di piccole anticipazioni, essendo parte integrante del racconto fantascientifico. Da parte mia, dopo aver visto tutto quel che c’era da vedere anche in termini di investigazioni secondarie, nella versione GOG Di Tacoma, cercherò di essere “lieve” in tutte le occasioni possibili, eccetto che per la perfetta integrazione dei meccanismi di gioco con il narrato.

LUCIDA FANTASCIENZA

Non è il futuro remoto quello su cui si concentra Tacoma, e nemmeno un domani vicinissimo come in tante opere cyberpunk. La fondazione dell’avamposto spaziale che fa da sfondo al gioco risale al 2088, ed è il perfetto esempio del tipo di mondo – roseo e positivista, ma solo in apparenza – immaginato da Fullbright.tacoma recensione

Il futuro di Tacoma appare roseo e positivista, almeno in superficie

La funzione dell’equipaggio, prima dell’incidente che ha richiesto la nostra indagine, era di supportare l’IA di bordo nel trasferimento dei viaggiatori verso altre mete turistiche e commerciali, a circa 200.000 miglia dalla Terra, in un lavoro di routine nemmeno troppo divertente. La protagonista è stata assunta dai legittimi proprietari – la Venturis Corporation – per recuperare l’intelligenza artificiale ODIN e riportare i dati alla prima stazione alleata disponibile, grossomodo come si farebbe con una scatola nera. Il disastro sembra connesso a una pioggia di meteoriti, ma anche questo non spiega la completa sparizione dei membri dell’equipaggio. Di loro sono rimaste solo le memorie digitali, molto simili a quelle che anche noi, oggi, abbiamo iniziato a lasciarci quotidianamente alle spalle.

I CONTRACTOR DEL 2090

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Tacoma non ha esplorazioni esterne e nemmeno il fascino dell’ignoto in senso classico, eppure vince in tutto

Per come la vedo io, Tacoma è la dimostrazione di come i walking simulator (in questo caso davvero poco “floating”, nel senso che le esplorazioni in assenza di gravità sono marginali) non possano fare a meno di una potente narrazione, a prescindere da quanto sia buona la grafica o la descrizione interattiva; in questo, il gioco di Fullbright non è secondo nemmeno all’esempio cinematografico che gli è più vicino, Moon di Duncan Jones, comunque insufficiente (e persino fuorviante, per certi versi) a evocare i punti cardine della trama. Credo sia ancora più utile, però, sottolineare la misura di distacco rispetto a opere superficialmente simili, come Adr1ft e POLLEN: Tacoma non ha esplorazioni esterne e nemmeno il fascino dell’ignoto in senso classico, eppure vince in tutto. È più avvincente, scritto meglio e dice qualcosa di davvero suo.

Le uniche tematiche che sento di poter nominare, e comunque di non approfondire, riguardano lo sfaccettato riferimento alle Intelligenze Artificiali, maturo e intelligentemente scagliato nel futuro, insieme a qualcosa che collega la nostra realtà ai “prossimi anni ’90”: il tipo di contratto che la protagonista stipula con la Venturis Corporation è lo stesso di tutti i membri dell’equipaggio, al di là delle mansioni tecniche, mediche o ingegneristiche; tutti sono “contractor”, con ben pochi diritti se non quello di venir pagati alla fine della missione. Non è oro tutto quel che luccica, insomma, nemmeno nel turismo spaziale alle soglie del 2100.

UN 451, A MODO SUO

Il resto di Tacoma può essere riassunto come pura e finissima interazione, non fondata sulla sfida, chiaramente, ma con una coerenza ineccepibile al contesto: protagoniste assolute sono le interfacce di Realtà Aumentata con cui rievocheremo le memorie registrate, ovvero i momenti in cui il membri dell’equipaggio avevano addosso i gadget AR per comunicare, divertirsi e lavorare, in una forma non così distante dai moderni telefoni cellulari.tacoma recensione

La rappresentazione della Realtà Aumentata muove i meccanismi investigativi del racconto

Ogni interfaccia ha una funzione “desktop” che potremo intercettare durante le registrazioni, nell’attimo in cui uno dei personaggi l’aveva usata, così da ricostruire parte delle comunicazioni in chat, dei video o degli interessi che hanno riguardato i membri dell’equipaggio. Spesso dovremo spezzare la sequenza seguendo diversi personaggi, tornando all’attimo in cui il gruppo si è diviso, e i meccanismi si dimostrano un filo più sfaccettati rispetto al precedente Gone Home; d’altra parte, trovare codici e chiavi è pur sempre una questione di attenta osservazione, più che di ragionamenti complessi, e non è certo qui che si cela il fine ultimo dell’esperienza di Tacoma, “narrativo” ma in un senso tutto nostro.

Tacoma è, a suo modo, un “451”: il famoso codice di Fahrenheit è presente pure qui, e non mancano nemmeno gli accorati riferimenti alla scuola di System Shock (peraltro gustosamente “antitetici”), pur con tutta la distanza a livello di gameplay; soprattutto, però, il titolo di Fullbright mostra anch’esso i tratti di una simulazione, in cui l’assenza di elementi di sfida o di crescita fa parte del disegno e non inficia la verosimiglianza della vicenda in prima persona. Niente da dire neppure sul lato estetico, che anzi mi è sembrato un esempio di pulizia, leggerezza e stile, senza un poligono in più o un’icona di meno di quelli che avrebbero dovuto esserci, per una rappresentazione chiara e immersiva. L’esile durata (tre o quattro ore, alla ricerca certosina di tutti i dettagli) mi costringe a trattenere un pochetto il giudizio numerico, insieme al fatto che Tacoma, come i suoi “fratelli”, non può essere considerato un gioco per tutti. Forse non è nemmeno etichettabile come tale, e non è detto che si tratti di un insulto.

Tacoma mi ha rapito al pari di Everybody’s Gone to the Rapture, e il merito è molto simile: esattamente come The Chinese Room, gli sviluppatori di Fullbright sono dei narratori capaci di non dar tregua al livello di attenzione, e di continuare a nutrirlo fino ai titoli di coda. Tacoma è un esempio di come la fantascienza nei videogiochi possa essere rappresentata dalle stesse funzioni del gameplay, o di quanto possa contare il fattore narrativo nel nobilitare un walking simulator, rispetto alla prestanza tecnica di cugini come Adr1ft. L’esperienza è più longeva di quella di Gone Home ma pur sempre brevissima, e non è qui che risiede il meglio di Tacoma: il meglio è la storia, le citazioni che vi sono contenute e il perfetto meccanismo di investigazione sul racconto, così tecnologicamente vicino da poterlo quasi toccare.

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Pro

  • Ottima trama.
  • Ineccepibile meccanismo del racconto, in chiave di moderata sci-fi.
  • Visivamente leggero e pieno di stile.

Contro

  • Non è un vero difetto, ma la mancanza della lingua italiana scontenterà molti.
  • Tre ore passano alla svelta.
8

Più che buono

Marietto è così dentro alla sci-fi che non riesce a trovare la strada per uscirne. Per lui i videogiochi sono proprio questo, una porta per accedere a un pezzo di fantascienza che si realizza qui e ora, senza aspettare la fine del mondo.

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