Thimbleweed Park – Recensione

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Dopo una campagna di successo finanziata in tempi record su Kickstarter e una prima anticipazione pubblicata qualche settimana fa, Thimbleweed Park è finalmente disponibile per tutti, backer del progetto e non. Bando alle ciance, e giochiamo pure d’anticipo, che tanto il voto è solo un numeretto scritto in fondo a questa pagina: a meno di non avere un’avversione viscerale per il genere, l’avventura firmata da Ron Gilbert e Gary Winnick è probabilmente la migliore che vi capiterà di giocare quest’anno, e una delle migliori in assoluto. Bon. Detto questo, se volete, potete pure continuare a leggere, che di cose da dire ce n’è parecchie.

APRI

Quello delle avventure grafiche è un genere abbastanza peculiare, sotto diversi punti di vista: terminata l’età dell’oro di LucasArts e Sierra, è stato dato per morto e sepolto un numero spropositato di volte, ma la verità è che non ha mai smesso di produrre negli anni titoli di interesse, a volte anche notevole.

Thimbleweed Park Immagine PC Xbox One 13

Thimbleweed Park, probabilmente, è la più bella avventura che vi capiterà di giocare quest’anno, e una delle migliori in assoluto

Più di tutto, però, quello che mi colpisce sempre delle avventure grafiche, e che continua a farne uno dei miei generi preferiti, è la loro capacità di metterti sempre alla prova; di non farti mai sentire “arrivato”, o in qualche modo competente o particolarmente abile (“skillato”, diremmo oggi), per quanti anni da avventuriero tu possa avere alle spalle. Negli shooter, nei racing game, nei platform o nei picchiaduro, al netto delle diverse declinazioni di gameplay e game design, l’esperienza conta. Si accumula nel tempo, e si utilizza con profitto per “riuscire” meglio. In un’avventura grafica, dove il bello si concentra nella fantasia e nella capacità inventiva dei game designer, quando un puzzle richiede di ragionare, di prestare attenzione agli indizi e trovare una soluzione, non c’è curriculum da avventuriero o esperienza che tenga. Occorre arrivarci, da soli, a volte sbattendo metaforicamente la testa contro il muro per delle ore, a volte lasciando decantare tutto per un paio di giorni, così da tornarci sopra a mente fresca, a volte perché, semplicemente, si accende la lampadina e tutto appare incredibilmente semplice e perfetto, al punto da vergognarsi di non esserci arrivati prima. Comunque vada, i momenti migliori di una buona avventura non sono quelli in cui si gioca per risolvere un enigma, ma quelli in cui tutto appare finalmente chiaro nella propria mente, prima ancora di trasformare il pensiero in azione.

RACCOGLI

Di momenti come questi, in Thimbleweed Park, ce ne sono tantissimi. In primis, perché l’avventura non è per nulla breve, e arrivare ai diversi finali richiede almeno una quindicina di ore, ma soprattutto ce ne sono tantissimi perché gli enigmi sono scritti in maniera sublime, incastonati in una cornice artistica deliziosa e indimenticabile. Piccola nota storica: Ron Gilbert è il genio che ha sviluppato lo SCUMM, ibrido tra engine e linguaggio di programmazione che permette di costruire un’avventura grafica (location, oggetti e linee di dialogo) senza necessità di usare il codice sorgente della macchina a cui è destinato il gioco, ed è l’autore di robetta come Maniac Mansion, Zak McKracken and the Alien Mindbenders, The Secret of Monkey Island e Day of the Tentacle; Gary Winnick, dal canto suo, è l’artista che ha dato vita ai personaggi che abbiamo amato nei capolavori di LucasArts. Dopo un sacco di anni, i due si sono rimessi assieme, hanno fondato la Terrible Toybox e realizzato quel che – da sempre – gli riesce meglio: un’avventura grafica in pixel art, con personaggi dalla testa enorme, un’interfaccia che di fatto è identica allo SCUMM, una storia assurda e piena di umorismo, e personaggi uno più strampalato dell’altro, di quelli che hanno la tendenza a rimanerti impressi nella memoria per parecchio tempo.

PREMI

La storia inizia in maniera abbastanza canonica, con due detective dell’FBI impegnati a risolvere un caso di omicidio nella sperduta cittadina di Thimbleweed Park, una volta fiore all’occhiello dell’industria americana grazie alla sua fabbrica di cuscini, e oramai l’ombra di se stessa, con pochissimi negozi ancora in attività, macchinari che funzionano grazie a enormi tubi a vuoto, una fiera per nerd incredibilmente popolare, e una serie di misteri che vanno ben oltre un “banale” omicidio, la cui vittima sembra drammaticamente “pixellarsi” di più ogni istante che passa.

Thimbleweed Park Immagine PC Xbox One 06

la storia si rivela incredibilmente profonda e per nulla banale

Fin da subito, Thimbleweed Park gioca a rompere la quarta parete, catapultandoci in un vortice di citazioni, cameo, “inside joke” e riferimenti alle avventure grafiche dell’epoca d’oro di LucasArts, che i più stagionati avventurieri non potranno non apprezzare. Coglierle tutte non è sempre facile, ma non vi nascondo che – almeno per me – questo aspetto ha rappresentato una parte importante dell’esperienza di gioco. Non commettete l’errore di pensare che Thimbleweed Park sia solo un gioco per nostalgici, però, che punta tutto su feels e facile citazionismo. Al contrario, la sceneggiatura è ricchissima, attenta e precisa, ricca di umorismo e situazioni paradossali, e il ritmo del racconto è sempre molto serrato. Senza neanche lontanamente pensare di svelare alcunché, dico solo che la storia si rivela incredibilmente profonda e per nulla banale, con una conclusione che lascia letteralmente esterrefatti, quasi increduli, nella sua leggera, ma insostenibile durezza.

ESAMINA

L’avventura inizia dandoci il controllo dei due agenti federali, Ray e Reyes, ma poco alla volta conosceremo (e controlleremo), tramite flashback giocabili, il fantasma Franklin, fratello di Chuck, l’ormai scomparso padrone della fabbrica di cuscini, Ransome il clown che insulta tutto e tutti – diventato in trenta secondi netti l’idolo assoluto del gioco, per quanto mi riguarda – e la delicata Delores, nipote di Chuck con un sogno nel cassetto: lavorare per MMucasFlemm, la software house che realizza le migliori avventure grafiche di sempre. I cinque personaggi hanno diverse “agende”, nel senso letterale e figurato del termine, compiti specifici da svolgere, debitamente appuntati sui loro taccuini, e un obiettivo finale molto chiaro fin da subito. Le loro peripezie possono essere portate avanti in parallelo o una alla volta, a (quasi) totale discrezione del giocatore; incidentalmente, la possibilità di passare da un personaggio all’altro in qualsiasi momento permette di cambiare rapidamente contesto, svuotare la mente ed evitare di incaponirsi troppo su un particolare puzzle (cosa che succederà, non temete).

TIRA

Non sto a ripetere quanto già scritto nell’anteprima, se non per sommi capi: struttura di gioco e interfaccia sono quanto di più classico ci si possa aspettare, con verbi per le azioni e un inventario per gli oggetti, da usare, esaminare e combinare tra loro. Tanto per sottolineare una volta di più il livello di cura e attenzione per i dettagli, le azioni del fantasma Franklin sono completamente diverse da quelle degli altri personaggi, per le ovvie limitazioni date dal suo essere incorporeo e invisibile, e spianano la strada a un modo del tutto diverso di affrontare gli enigmi. A questo proposito, la loro risoluzione non richiede mai robe impossibili, pensate “laterali” assurde o senza logica, e questo è sicuramente un merito che va riconosciuto agli sviluppatori. Al tempo stesso, però, il gioco non tende la mano, né regala “aiutini” gratuiti: gli indizi ci sono sempre, spesso anche copiosi, ma farseli sfuggire perché non si presta la dovuta attenzione è davvero facile. Occhio quindi ai dialoghi (a OGNI dialogo), agli elementi e ai dettagli più o meno interattivi, che a prima vista possono sembrare inutili.

CHIUDI

Il gioco può essere affrontato a due diversi livelli di difficoltà, Casual o Difficile, da scegliere all’inizio della partita: la selezione è definitiva, e non può essere cambiata (a meno di ricominciare da capo). Personalmente, non posso che suggerirvi di giocare a modalità Difficile, così da vivere l’esperienza al suo meglio, ma anche a Casual non ci si perde nulla di dialoghi, personaggi o situazioni. È solo una questione di quanto impegno ci volete mettere, ma anche di quanto vi piace sentirvi gratificati e soddisfatti.

Thimbleweed Park Immagine PC Xbox One 11

l’avventura vanta due diversi livelli di difficoltà, Casual e Difficile

La versione finale del gioco supporta anche il controller, con il puntatore del mouse controllato dallo stick analogico sinistro, il D-pad che permette di muoversi rapidamente tra i verbi di interazione e gli oggetti dell’inventario, e i dorsali destro e sinistro che spostano automaticamente il cursore sugli hot spot più vicini. Su console non c’è alternativa a questa soluzione, evidentemente, ma su PC è di gran lunga preferibile (e comodo) l’uso del solo mouse, che con il tasto destro richiama anche la voce contestuale più coerente in una determinata situazione.

PARLA

Volendo cercare qualche minuscolo pelo nell’uovo, perché neanche Thimbleweed Park è perfetto nel suo essere bellissimo, un paio di enigmi sono davvero un po’ troppo tirati per i capelli, e d’accordo la gratificazione e tutto, va bene stare attenti agli indizi, ma non sono mancate occasioni in cui mi sono davvero ritrovato a corto di idee, salvo arrivarci alla fine più per caso che altro.

Più evidente, in un’avventura con diversi personaggi giocabili, è la pressoché totale assenza di situazioni in cui devono collaborare tra loro per risolvere enigmi in co-operativa. Alla fin fine, ognuno agisce di fatto per conto proprio; non creare mai momenti di “squadra”, anche limitati e sporadici, mi è sembrata un’occasione sprecata, anche se probabilmente questo avrebbe ridotto considerevolmente la non linearità dell’azione. Infine, val la pena sottolineare come tutti quanti, anche i principali comprimari non giocabili, abbiano una dignitosa “chiusura” narrativa. Tutti tranne uno, che non vi dirò, ma che incontrerete un sacco di volte, e che semplicemente – a un certo punto – sparisce nel nulla, come se gli sceneggiatori se ne fossero dimenticati.

USA

Thimbleweed Park non è doppiato in italiano, ma sono stati tradotti tutti i testi a video. A questo proposito, spendo qualche parola per lodare l’ottimo lavoro svolto, per la qualità dei testi, ma non solo: la traduzione non è stata fatta alla “cieca”, come troppe volte accade, ed è una cosa che si apprezza particolarmente in un titolo dove il nome corretto o involontariamente sbagliato di un oggetto può rappresentare la differenza tra “difficile” e “inutilmente frustrante”. Dopo essermela gustata un po’ nell’italico idioma, comunque, sono tornato ai testi originali, perché ascoltare l’audio in inglese e leggere i sottotitoli in italiano mi fa venire il mal di testa in tempo zero. Non si preoccupino, però, quelli che non conoscono l’inglese, perché la cosa non rappresenta affatto un problema. Per inciso, le voci originali sono fantastiche, e doppiarle – visti gli standard attuali – sarebbe quasi stato un sacrilegio.

Bellissima da vedere, una gioia per gli occhi dei nostalgici (e non solo), musiche fantastiche e doppiaggio eccellente: nel suo essere “minimal”, Thimbleweed Park è davvero un’avventura dai valori di produzione altissimi. Il talento di Gilbert e Winnick emerge con forza in ogni schermata, in ogni dialogo, in ogni assurdo personaggio che incontrerete nella desolata cittadina che dà il nome al gioco, e in una storia dai toni leggeri, ma con una profondità che fa quasi male. Un’alchimia complessa, che funziona con la precisione di un pendolo svizzero collocato all’ingresso di una misteriosa villa. Pensare che occorra davvero tornare al 1986 per realizzare un gioco di questo spessore è quasi assurdo, se ci riflettete, ma alla fine è una delle “magie” che rende Thimbleweed Park una delle migliori avventure grafiche di tutti i tempi.

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Pro

  • Da vedere, e da sentire, è davvero una gioia continua e ininterrotta.
  • Citazioni, inside joke, battute e personaggi che manderanno in brodo di giuggiole gli amanti delle avventure dell’epoca d’oro di LucasArts.
  • Una storia che parte come “semplice” noir, ma che si arricchisce poco alla volta di uno spessore e una ricchezza straordinari.
  • Enigmi impegnativi, ma (quasi) mai impossibili.
  • Ottimo lavoro di localizzazione dei testi.

Contro

  • Poche interazioni tra i diversi personaggi giocabili.
  • Un paio di punti piuttosto criptici.
9.1

Ottimo

Il giovin virgulto si diletta con i racing game da molto prima che inventassero la ruota. Pare che Crammond, nei ritagli di tempo di Claudio, abbia usato delle sessioni di guida del nostro eroe per programmare l’IA dei piloti in GP2. Oltre ai titoli corsaioli, Claudio ama le avventure, le serie TV, i platform e gli FPS vecchia scuola.

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