Call of Duty: Infinite Warfare - Recensione

PC PS4 Xbox One

[N.B. L’iter della recensione di Call of Duty: Infinite Warfare è lo stesso che abbiamo usato con i colleghi FPS degli scorsi giorni: il testo qui sotto è stato aggiornato con le considerazioni sul multiplayer e il voto finale solo dopo che abbiamo testato il multiplayer nel pieno delle sue capacità, dopo il day one.]


Nel caso di Call of Duty: Infinite Warfare mi stupirei di rilevare problemi di connettività, considerate la contenuta esuberanza tecnica e la proposta multiplayer sostanzialmente costante negli ultimi 10 anni. Al contrario, temo che i motivi per cui il nuovo capitolo di Infinity Ward risulta un pochino più debole rispetto ai diretti concorrenti del 2016, pur nel contesto di un gioco più che valido, risiedano in altre e più puntigliose questioni: le idee valide richiedono coraggio, e quello mostrato dagli sviluppatori arriva fino a un certo punto con indubbia potenza, per poi tornare nel solco e assicurarsi che il sapore della zuppa sia lo stesso di sempre, capace nel corso degli anni di assuefare milioni e milioni di giocatori. Spara, nasconditi per recuperare energia e spara ancora, persino a decine di milioni di chilometri dalla Terra.

MARS AETERNUM

Giusto per non alimentare esageratamente le speranze degli hater, dico subito che il voto di Call of Duty: Infinite Warfare probabilmente sarà – a meno di inattesi disastri del netcode – tutt’altro che negativo: modalità zombie e multiplayer fanno il loro mestiere senza grosse sorprese, come vedremo, entrambe su modelli lungamente collaudati, e anche la campagna a singolo giocatore si dimostra solida e divertente, non stupefacente per durata ma ben orchestrata nel crescendo spettacolare, peraltro con il supporto di una delle modalità aggiuntive più interessanti nella storia della serie. In quest’ultimo caso avrei addirittura preferito che lo “Specialists-Mode” fosse inserito fra le opzioni subito disponibili, invece di sbloccarsi come livello di difficoltà aggiuntivo alla fine della prima run.

Infinite Warfare

Avrei preferito che lo “Specialists-Mode” fosse inserito fra le opzioni subito disponibili, con le sue intriganti variazioni al sistema dei danni

In buona pratica, su tutte le missioni principali e facoltative è possibile fruire di inediti tocchi di verosimiglianza, con modifiche di velocità e visuale a seconda della parte del corpo ferita, l’arma che salta dalle mani se colpita dai nemici (un po’ banale, però, il Quick Time Event per recuperarla), o ancora i “Nano-Shots” che fanno le veci dei vecchi medkit e possono ripristinare l’uso di uno o più arti, andando a sostituire del tutto il sistema di recupero automatico. Inutile aggiungere che l’intera campagna – circa 6/7 ore a difficoltà normale, qualcosa di più con tutte le missioni secondarie – guadagna in tal modo in termini di sfida e nella longevità complessiva, portando a far maggior uso delle soluzioni stealth fin quando, inevitabilmente, il fracasso delle armi torna a essere protagonista. Personalmente non mi sarebbe dispiaciuto giocarci subito, e anzi mi auguro che la possibilità sia introdotta in uno dei prossimi aggiornamenti: in fin dei conti non si tratta di un nuovo innalzamento della potenza nemica, o della severità dei danni, ma di una complessiva riorganizzazione dei tempi di gioco e dei criteri di difficoltà, a mio modo di vedere più interessante per i veterani della serie.

Per il resto, la sfida è comunque corposa già in modalità “hardened”, e la varietà risulta sicuramente maggiore del solito, per gli inviti alla silenziosità di alcuni tratti e, in misura maggiore, per il grande sfoggio di combattimenti spaziali di questo capitolo.

Infinite Warfare

La nave ammiraglia funge da HUB per la scelta dell’equipaggiamento e delle missioni

Che piaccia o meno – a me, ad esempio, non è dispiaciuto per nulla – Call of Duty: Infinite Warfare rompe qualsiasi indugio sul tema della fantascienza e ci propone una storia a base di coloni ribelli e scontri nello spazio, su superfici di lune e di pianeti, e solo brevi incursioni sulla vecchia Terra, ormai eternamente grigia e martoriata dalla deriva ambientale. La trama cerca di dare un certo peso a tutti i personaggi coinvolti, in modo da creare pathos per il loro destino, e molto presto ci porta a viaggiare per il Sistema Solare sulle tracce dei ribelli destrorsi del Settlement Defence Front, quando il nostro Capitano Reyes si trova improvvisamente a capo dell’intera flotta terrestre. In questo caso si è scelto di accompagnare i vertiginosi script in prima persona con filmati più classicamente cinematografici, cosa che non mi fa impazzire a prescindere ma, indubbiamente, aiuta a caratterizzare con più dettagli il protagonista. Mi è dispiaciuto un pochetto, inoltre, che la suddetta caratterizzazione “corale” dei personaggi vada un poco a discapito di quelli principali, con particolare riferimento all’interessante antagonista digitalmente interpretato da Kit Harington de Il Trono di Spade, animato dai propri brutali principi e, per questo, più interessante dei villain a senso unico che s’incontrano in tanti altri giochi d’azione, serie CoD compresa. A mio modo di vedere, uno dei migliori cattivi della serie resta Raul Menendez di Black Ops II, e l’Ammiraglio Kotch di Call of Duty: Infinite Warfare avrebbe potuto offrire una paragonabile caratterizzazione.

MARMITTONI A GRAVITÀ ZERO

Il tutto passa attraverso un nuovo sistema di missioni contestualizzato sulla mappa del Sistema Solare, dove il susseguirsi delle azioni principali viene affiancato da una serie di compiti secondari, talvolta misti tra abbordaggio e volo spaziale oppure interamente vissuti alla guida del nostro caccia Jackal. Nelle missioni opzionali cambiano i contesti ambientali e, dunque, le dinamiche di assalto a relitti e basi nemiche, ma per il resto abbiamo a che fare con obiettivi e meccaniche sostanzialmente simili; quelle primarie, invece, rispettano grossomodo la varietà di scontri a fuoco e, così, lo spirito classico della serie, con la principale novità determinata dalla frequente compresenza del volo spaziale accanto al più classico approccio terrestre di Call of Duty.

Infinite Warfare

Infinity Ward propone un poderoso ampliamento dei “canaloni” lineari tipici del genere, questa volta letteralmente collegati tra terra e cielo

Per l’occasione è stato predisposto un sistema di controllo a sei gradi di libertà più dettagliato e ben fatto rispetto, ad esempio, agli aerei di Black Ops III o di altri capitoli del passato; questo riguarda la nave Jackal e, in misura minore, anche i combattimenti fucile in pugno a gravità zero, arricchiti da spettacolari killing-move e dall’uso dei rampino per spostarsi tra piccoli asteroidi e pezzi di tecnologia fluttuanti. L’unico appunto, soprattutto per chi è abituato a masticare le vere simulazioni spaziali, riguarda quello che è ragionevolmente lecito aspettarsi: scenari e situazioni sono costruiti sugli stessi concetti d’azione in stile CoD, dunque sulle coperture dal fuoco nemico e sulla ricarica automatica dell’energia che restano fondamentali anche per navicelle e fanti spaziali, e lo svolgersi delle missioni che rimane confinato in uno spazio discretamente ampio ma ben delineato.

Mettendola in altre parole, Infinity Ward propone un poderoso ampliamento dei “canaloni” lineari tipici del genere, questa volta letteralmente collegati tra terra e cielo, con sparatorie sulla superficie dei corpi celesti e battaglie fra decine di astronavi comunque studiate per rendere l’esperienza non eccessivamente decentrata rispetto alla media della serie. Il sapore è addirittura classicissimo negli scontri sul suolo, al punto che in questi casi non troviamo nemmeno i droni volanti visti nei recenti capitoli, ma solo e unicamente soldati nemici e robot vagamente antropomorfi molto simili, peraltro, a quelli visti in Black Ops III. Oltre alla già citata selezione delle missioni sul Sistema Solare, negli spazi dell’enorme incrociatore è possibile usufruire di un sistema di loadout con le armi reperite di volta in volta sul campo: accanto a versioni leggermente evolute di fucili semiautomatici, da checchino, shotgun e mitragliatrici leggere (gli slot sono due, come in multiplayer), troviamo varianti a energia che non si comportano in modo troppo diverso dai modelli canonici, con scariche serratissime di colpi che, per chi ha seguito la serie, risultano meno realistiche rispetto ai fasci di energia concentrata visti qualche anno fa in Advanced Warfare (ispirati, almeno nel concetto, a prototipi militari realmente in sviluppo). Quella di Call of Duty: Infinite Warfare è una fantascienza più decisa, e allo stesso tempo si preoccupa di mantenere inalterati i ritmi della serie, persino nel ritardo dell’esplosione delle granate o nell’hacking esclusivamente rivolto al controllo dei robot di terra. Ciò nondimeno, sequenze come quella dell’asteroide nell’orbita di Mercurio offrono contesti ben più originali della media della serie, insieme ad altri scenari spaziali e a dettagli graditi come le vetrate distruttibili che risucchiano i nemici nel vuoto. Anche in quest’ultimo caso, però, le paratie di sicurezza intervengono a ripristinare l’atmosfera negli interni delle basi, quasi a rappresentare il fatto che le sorprese del gameplay, alla fine, rimangono sempre meno profonde di quello che avrebbero potuto essere.

60 FPS, CASCASSE IL CIELO

Sotto il profilo meramente tecnico è evidente la volontà di puntare sulle 60 immagini al secondo in qualsiasi condizione, non solo nella versione PC ma anche nelle controparti PS4 (oggetto di questa prova preliminare) e Xbox One.

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Il livello di dettaglio spazia allegramente fra panorami e scorci ben rifiniti ed altri molto meno convincenti, sempre alla ricerca dei 60 frame per secondo

In attesa di mettere le mani sull’edizione Windows, il lavoro appare valido tenendo in considerazione, appunto, la ricerca di una perfetta fluidità, con livello di dettaglio che spazia allegramente fra scorci ben rifiniti e, quando lo spettacolo coinvolge vere masse di nemici e astronavi, una sensibile riduzione nella profondità di texture o della complessità poligonale. D’altra parte, la qualità del racconto visivo, delle animazioni in prima persona e la varietà delle missioni rendono Call of Duty: Infinite Warfare un’offerta più rifinita rispetto allo storymode un po’ spartano di Battlefield 1 (non ho ancora visto, ahimè, il più volte lodato Titanfall 2), almeno per chi si rivolge preminentemente al comparto a singolo giocatore e non guarda troppo alla competitività di modelli ed effetti, o all’originalità complessiva del soggetto.

Nella prossima e ultima parte della recensione andranno di scena la modalità zombie e il multiplayer competitivo, entrambi molto vicini, almeno nella struttura e nelle principali meccaniche, a quanto visto l’anno scorso dalle parti di Treyarch;.  Accennerò anche alla Remasterd di Call of Duty: Modern Warfare, disponibile con la Legacy Edition, e a una fugace prova del gioco in 4K e 60 fps su una PlayStation 4 Pro; in entrambi i casi non andrò oltre le impressioni, però, dal momento che, seppur per ragioni diverse, non si tratta di fattori che possono entrare nel giudizio finale di questo articolo, rivolto all’edizione base di Call of Duty: Infinite Warfare. 


LE SORTI DELLA BATTAGLIA

A server pieni (quelli di Steam e dei sistemi console; della versione Windows Store, abbiamo scritto qui) e ben funzionanti, il comparto multiplayer di Call of Duty: Infinite Warfare si dimostra solido e corposo come sempre, ma anche poco ardito nel scegliere la propria strada. Infinite Ward ha adoperato soluzioni vicine al lavoro di Treyarch tanto per il comparto competitivo quanto per la modalità Zombie, raggiungendo risultati spesso stilosi ma confermando, nei fatti, di aver assunto un ruolo ormai “gregario” nell’evoluzione della serie.

La prima cosa che balza agli occhi, una volta che un rude sergente con una caratterizzazione superficialmente sci-fi ci introduce al comparto competitivo, è che gli equipaggiamenti del Combat Rig non sono altro che una versione riveduta e corretta degli Specialisti di Call of Duty: Black Ops III. Sono equipaggiamenti, e non personaggi (a parte l’androide Synaptic, magari comandato in remoto), sicuramente più vari nelle abilità e nell’aggiunta dei “Tratti”, ma per il resto si dimostrano molto vicini a quanto visto un anno fa, con una potente arma speciale che viene resa disponibile col tempo e i punti accumulati. Si dimostra invece più varia, pur se paragonabile in termini quantitativi, la struttura degli sblocchi: è possibile “craftare” (nell’accezione più elementare che esiste) nuove armi con un’apposita risorsa, seguire i “compiti di squadra” (obiettivi opzionali, tracciati nelle partite online) per sbloccare un ulteriore ramo di oggetti, o ancora comprare pacchetti più o meno rari con le chiavi guadagnate in gioco, peraltro acquistabili anche con moneta reale. Alla prova dei fatti, i risicati miglioramenti ottenibili elargendo euro incidono in maniera trascurabile sul sistema dei danni – particolarmente fulmineo – tipico di Call of Duty; si tratta pur sempre di microtransazioni, però, non esattamente necessarie per un prodotto già venduto a prezzo pieno.

Call of Duty Infinite Warfare recensione PC_PS4_Xbox One_TGM

Il comparto multiplayer è solido e corposo come sempre, ma anche poco ardito nel scegliere la propria strada

Sul multiplayer competitivo non c’è molto altro da dire, se non che è divertente come al solito, almeno per gli appassionati, e strutturato secondo tradizione. Le 12 mappe sono specializzate senza sorprese su scontri a media e corta distanza, e come negli ultimi due capitoli sono attrezzate per le acrobazie dei jetpack in dotazione ai soldati, con maggiori opportunità di attacco dall’alto e rampe verticali per la corsa sui muri. All’insegna del classico si rivela anche la collezione di modalità, con regole che spaziano tra Team Deathmatch, Cattura la Bandiera, Uccisione Confermata, Gun Game, Drop Zone, Uplink e tante altre varianti introdotte nel corso degli anni, semplici ma ludicamente infallibili. L’unica e parziale eccezione è incarnata nella nuova “Difensore”, simile per molti versi alla modalità Oddball di Halo: una sfera viene posizionata in un punto semi-casuale della mappa e deve essere raccolta e difesa fino allo scadere del tempo, per poi venir riallocata sul terreno. Il portatore è impossibilitato a sparare, ma può decidere di “regalare” la palla al nemico e metterlo nella stessa condizione. Non nuovo né originale, ma sempre spassoso.

IL PRIMO FILM DI WILLARD WYLER

Anche la modalità Zombie si rivela prudente, preferendo una struttura collaudata agli esperimenti dell’ultimo capitolo firmato Infinity Ward (la campagna co-op con gli alieni di Call of Duty: Ghosts). Zombies in Spaceland segue i criteri dettati da Treyarch fin ai tempi di World in Conflict, con frotte di zombie e mostri speciali che fuoriescono da scenari progressivamente ampliati, pieni di armi, segreti e diramazioni da sbloccare. In questo caso ci troviamo in un Luna Park a tema spaziale, nei panni di 4 personaggi che ricordano un pochetto la stagione cartoon di Hanna & Barbera, attirati in un cinema da un bizzarro regista di culto. In buona pratica, i film proposti dal misterioso Willard Wyler non sono altro che le ambientazioni delle nuove avventure, in cui verremo magicamente scagliati, la prima delle quali è appunto Zombies in Spaceland. Ed è facile intuire come arriveranno le altre.

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Zombies in Spaceland segue i criteri dettati da Treyarch fin ai tempi di World in Conflict

Se la freschezza latita un po’ sul piano del concept, la modalità si rivela molto più vitale nell’azione di gioco: lo scenario è ben sfruttato per tutta una serie di citazioni demenziali – o comunque connesse alla cultura pop anni ’80 – e non mancano piccole introduzioni come le abilità temporanee delle Tarocchi, o ancora meglio l’opportunità della “Sala Arcade” per tornare in partita – giocando a piccoli minigiochi, in uno spazio dedicato – a patto di aver comprato l’apposito biglietto fra un’ondata e l’altra. Il resto è cibo per i veterani di Origins, ben cucinato e coperto da mille spezie.

REMASTERED E ANTICIPI IN 4K

La prestazione della Call of Duty: Modern Warfare Remasterd non può entrare nel giudizio, anche perché la sua presenza nella Legacy Edition (80 euro circa) non è certo equiparabile a un “regalo”. Ciò detto, ci troviamo di fronte a un ottimo lavoro di rivitalizzazione tecnica: texture, effetti di luce e persino alcuni modelli si dimostrano ben più definiti alle controparti originali, e possono piacevolmente essere fruiti da un nuovo appassionato alla ricerca delle radici (almeno, per la vena dei conflitti moderni) di Call of Duty. Tutti gli altri valutino bene la faccenda: Modern Warfare appartiene al periodo d’oro di Infinity Ward, con eccellenti invenzioni nel racconto visivo e nella trama, ma è anche uno dei principali modelli di un gameplay eternamente reiterato, di cui ci siamo cibati fino a scoppiare.

Mi permetto di cambiare idea, infine, sul’intento di descrivere la versione PS4 Pro provata qualche minuto. Credo che il motivo sia condivisibile: in questo momento, quella che va incensata senza alcun dubbio o concorrenti impropri è l’edizione PC, drasticamente superiore alle controparti console in tutti gli aspetti visivi, poligoni a parte. Gli FPS sono sempre più dei 60 promessi, al massimo dei dettaglio su una 980ti, con texture ed effetti più nitidi che vanno ulteriormente a condire un quadro – almeno nel suo genere – già abbondantemente spettacolare. Nel bene e nel male è il gioco come dovrebbe essere, senza i compromessi a cui le “vecchie” PS4 e Xbox One non possono più sottrarsi da un nel pezzo.

Il nuovo capitolo di Call of Duty si dimostra piuttosto solido nell’offerta di gioco, e tuttavia frenato dalla sua stessa tradizione. La campagna è sicuramente la parte più aggressiva e compiuta, grazie (o “a causa”, per chi proprio non digerisce la svolta sci-fi) a un approccio deciso al tema spaziale e alla bontà della direzione artistica, ancora una volta senza rivali sul piano dello spettacolo ipercinetico in prima persona. Per la prima volta fanno la loro comparsa le missioni opzionali, meno complesse di quelle della storia ma comunque ben realizzate, e dispiace solo che il volo spaziale, i combattimenti fra fanti a gravità zero e diversi pregevoli dettagli non rientrino in una messa in scena ancora più coraggiosa e meno scontata, nell’articolazione del gameplay come nei toni un po’ pomposi della storia. Il comparto multiplayer, dal canto suo, gioca sul sicuro con soluzioni e dinamiche già rodate, con risultati corposi per gli appassionati della serie ma non esattamente imprescindibili per tutti gli altri.

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Pro

  • Campagna spettacolare e ben confezionata.
  • Diversi bei tocchi nella modalità zombie.
  • Il multiplayer, pur se classicissimo, diverte sempre.

Contro

  • Storia un po' troppo retorica e pomposa.
  • Storymode a parte, ci sono pochissime introduzioni inedite.
8

Più che buono

Marietto è così dentro alla sci-fi che non riesce a trovare la strada per uscirne. Per lui i videogiochi sono proprio questo, una porta per accedere a un pezzo di fantascienza che si realizza qui e ora, senza aspettare la fine del mondo.

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