Mirror's Edge Catalyst - Recensione e Videorecensione

PC PS4 Xbox One

L’originale Mirror’s Edge è stato uno dei titoli più significativi della vecchia generazione e, personalmente, uno dei miei videogiochi preferiti in assoluto, almeno in termini di concept e feeling. Velocità, controllo e adrenalina, coniugati con una visione estremamente metropolitana del platform, mi hanno fatto perdutamente innamorare delle tonalità contrastanti del capitolo originale e non nascondo che l’hype per Mirror’s Edge Catalyst era altino. Finalmente ci siamo, e non appena staccato il mio biglietto per Cascadia, destinazione Glass City, mi sono lanciato a tutta velocità verso i tetti della città di vetro, dopo la fugace, e non pienamente convincente, visita effettuata in tempo di beta.

UNA PRIGIONE DI VETRO

Purtroppo, sin da subito i limiti evidenziati in beta si sono rivelati fondati. L’approccio, lo sviluppo narrativo e la messa in scena della vicenda di Faith sono davvero pessimi, e la scrittura dell’intero gioco è completamente insufficiente. Colpevolmente superficiale e ai limiti del gentismo, la distopia di Cascadia e del regime delle corporazioni di Glass City si rivela talmente generica e mal costruita, tanto da rendere quasi priva di senso la nostra esperienza lungo le missioni principali. Facciamo cose senza capire perché e le motivazioni sono quasi sempre banali e inutilmente esagerate, mentre i cambiamenti sono eccessivamente repentini e poco credibili. Anche i personaggi, Faith in primis, sono caratterizzati in maniera approssimativa e tutto sembra ammantato da un filtro adolescenziale che poco si confà al potenziale degli argomenti trattati. L’unico che si salva e per cui ho provato empatia è Plastic, che è una hacker asociale e con gravi problemi di relazione con gli altri: lei ha tutta la mia simpatia, perché neanche io vorrei avere nulla a che fare con quella gente lì.

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Il mondo di Mirror’s Edge Catalyst è uno scintillante teatro di marionette dall’aspetto un po’ malinconico e inquietante

Se la scrittura è tremenda, la messa in scena non aiuta. Glass City, per quanto bellissima a colpo d’occhio, alterna strutture meravigliose a inquietanti vuoti pneumatici di banalità, con zone, come la Ricostruzione, che si lasciano amare ed esplorare con piacere, e altre, come i quartieri bene, che sono di un’approssimazione disarmante. La decisione di puntare sul free roaming e sulla libertà di scegliere il proprio percorso lungo i tetti e le strutture della città funziona ed è davvero convincente dal punto di vista delle sezioni di parkour. Queste, a patto di disattivare la terribile nuova visione del runner – eccessivamente guidata – e riportarla al classico highlight di rosso, restituiscono finalmente un senso pieno di libertà e controllo. Altrettanto non si può dire della sensazione di vivere in un mondo credibile e, soprattutto, in grado di reagire a quello che accade. E così, in maniera quasi incredibile per il 2016, abbiamo alcuni PNG che restano fissi immobili sui tetti perché semplicemente sono dei trigger spara-quest, oppure altri che nonostante la storyline principale ci abbia messo in conflitto con loro, restano disponibili a darci alcuni incarichi secondari, semplicemente perché non li abbiamo completati in precedenza. E così, se da un lato il free roaming ci consente di esplorare il semi open world nel modo in cui più ci piace, andando alla ricerca di collezionabili e integrando al meglio sfide e missioni all’interno dell’ambientazione, dall’altro la mancanza di credibilità e omogeneità dell’universo di gioco ci fa spesso mancare quel senso quell’urgenza e quella spinta necessaria a rendere davvero significative le nostre azioni su Glass City. Il mondo di Mirror’s Edge Catalyst è uno scintillante teatro di marionette dall’aspetto un po’ malinconico e inquietante.

Anche tecnicamente, tra l’altro, il titolo di DICE alterna cose splendide a momenti non esattamente esaltanti: se, infatti, gran parte delle strutture significative è caratterizzata da un’attenzione al dettaglio a dir poco eccezionale e, soprattutto, da una resa delle superfici e delle fonti di illuminazione da sogno erotico per architetti contemporanei e interior design victim, le zone di passaggio, l’orizzonte e alcuni quartieri sono sede di modelli molto meno sensuali e texture spoglie, laddove la densità del dettaglio a pochi palmi dal nostro naso scende vorticosamente. Certo, almeno il frame rate è sempre altissimo e l’ottimizzazione del Frostbite mi è sembrata ottima, anche perché, se c’è una cosa che a Mirror’s Edge Catalyst riesce è proprio quella di correre nel flusso.

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PERCHÉ CORRIAMO?

Il gameplay avrebbe dovuto essere la ciliegina su una torta estremamente gustosa, ma all’atto pratico si rivela l’unico appiglio gourmet cui reggersi per salvare un menù disastroso. Se nel trailer omonimo a questo paragrafo Faith, a cui anche questa volta non è stato risparmiato un doppiaggio indecoroso, si chiedeva il motivo per cui essere una runner, il gioco in definitiva riesce a dare un’unica risposta: per il semplice gusto di farlo. Al crollo di tutte le altre motivazioni, quello che resta a Mirror’s Edge è aggrapparsi a quello che sa fare da sempre, al concept puro alla base del titolo: il parkour. In questo, Catalyst riesce a restituire tutto il feeling dell’originale e a migliorarlo quanto basta per rendere l’esperienza di corsa un flusso adrenalinico, costante e impareggiabile. Il sistema di controllo leggermente rivisto e un’attenzione meticolosa ai tempi di reazione e alla fluidità dell’azione, infatti, permettono di esprimere una vera e propria poetica del movimento che non ha eguali nella storia dei videogiochi.

se Mirror’s Edge Catalyst fosse stato una sorta di Runmania e avesse parlato solo della vita dei runner sarebbe stato un capolavoro senza eguali

L’azione di Faith, per fortuna, ci fa spesso dimenticare tutto quello che non funziona e, quando si è in pieno flusso, la danza fra i tetti diventa inarrestabile, impetuosa, degna di un giro capolavoro sul circuito di Spa. Ecco, se Mirror’s Edge Catalyst fosse stato una sorta di Runmania e avesse parlato solo della vita dei runner sarebbe stato un capolavoro senza eguali. Le missioni secondarie, le corse di consegna e l’hacking dei Nodi Rete rivelano un level design molto ricercato e sfidano costantemente il senso del limite e le abilità del giocatore. In quei frangenti, Mirror’s Edge Catalyst diventa bellissimo. Peccato che per raggiungere il meglio si debba passare necessariamente per la missione principale, che offre davvero pochi momenti di eguale bellezza.

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Il senso di Mirror’s Edge Catalyst sta tutto lì, nell’esperienza della corsa quasi fine a se stessa

Il motivo per cui Mirror’s Edge Catalyst dà il meglio di sé alla fine è dovuto anche all’introduzione di un sistema di abilità che ci permette di ottenere il massimo dalla corsa di Faith, dotandola di movimenti particolari così da migliorare atterraggi o potenziare il guanto per trasformarlo nell’immancabile rampino. Lo schema delle abilità si massimizza tutto con relativa facilità, e dunque conviene completare tutte le quest secondarie e le corse in un secondo momento, un po’ perché rappresentano la parte migliore del gioco, e un po’ perché siamo effettivamente in grado di essere più efficaci nella nostra azione. Dove, invece, Mirror’s Edge Catalyst non è migliorato così tanto rispetto all’originale è il combattimento: di sicuro più fisico e meglio integrato nel flusso, il sistema è minato per lo più da un’AI dei nemici davvero basilare. In sostanza, il gioco suggerisce costantemente di utilizzare l’ambiente e piegare gli avversari nel flusso della corsa: in caso contrario, più che per la loro bravura, i nemici possono essere rognosi per l’uso di armi da fuoco e il soverchiante numero, ma non rappresentano mai una vera e propria minaccia. In ogni caso, quando il flow scorre davvero, e la barretta della concentrazione di Faith è al massimo, anche la presenza degli avversari contribuisce semplicemente a rendere le coreografie dei nostri movimenti più elaborate, e ci costringe in una lettura dello spazio immediata e costante.

Il senso di Mirror’s Edge Catalyst sta tutto lì, nell’esperienza della corsa quasi fine a se stessa: abbandonarsi al piacere del parkour è l’unico modo per vivere al meglio il nuovo titolo di DICE, che in questo senso ha davvero molto da dire. Quanto questo basti, non saprei: chi, infatti, si aspettasse un’esperienza completa, in grado di intrattenere con una buona storia, un mondo di gioco credibile e capace di restituire emozioni, rischia di restare inevitabilmente deluso.

Sono passati otto anni e Mirror’s Edge si ritrova nella stessa situazione di allora, con l’aggravante, per DICE, di aver promesso qualcosa di diverso. Catalyst è, come l’originale, l’esaltazione massima del movimento, della fluidità e del senso del limite, ma per il resto non riesce a costruire mai un vero legame empatico con il giocatore. L’impalcatura narrativa realizzata attorno all’ottimo concept è, a tratti, davvero fastidiosa e mortificante per quello che poi è il cuore pulsante dell’esperienza. Se siete in grado di chiudere ben più di un occhio su tutto quello che Mirror’s Edge Catalyst prova faticosamente a comunicare con parole e messa in scena, allora probabilmente riuscirete a godervi il level design splendido di alcune zone e la bellezza del parkour, ma complessivamente il ritorno di Faith Connors non è stato esaltante come speravo.

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Pro

  • Parkour ai massimi livelli.
  • Level design altissimo a tratti.
  • Missioni secondarie di buon livello.

Contro

  • Storia atroce e scrittura pessima.
  • Main quest non esaltante.
  • Tecnicamente altalenante.
  • Faith ha un altro doppiaggio terrificante.
7.6

Buono

Se serve un tuttofare il buon Mancini è l’uomo da chiamare. La nostra principessa fotografa, usa la videocamera come se fosse un’estensione naturale del corpo e monta video manco fosse in una catena di montaggio. Ah… e scrive anche. Insomma… il classico “bravo guaglione”.

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