DOOM – Recensione

PC PS4 Switch Xbox One

Devo dire la verità: ero preoccupato. Preoccupatissimo. Ci sono pochi giochi a cui sono legato, emotivamente e non solo, come i primi due DooM di id Software. Chi mi conosce, sa che sono abbastanza folle da giocarci ancora, ogni tanto, e sa quanto li adori. Il reboot di una serie come questa era tanto difficile da imbroccare quanto facilissimo da sbagliare. I timori e le preoccupazioni erano ulteriormente accentuate da un comparto multiplayer (provato nella beta chiusa di qualche settimana fa) che mi aveva convinto solo in parte, e che comunque ha ben poco a che vedere con l’originale, e dalla totale assenza di qualsivoglia informazione e anticipazione della componente single player a ridosso dell’uscita del gioco, quasi che Bethesda avesse timore a svelare le carte in anticipo, temendo di non avere una mano vincente. Niente di più sbagliato.

UN’EPIFANIA INFERNALE

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Alla fine di una battaglia contro cacodemoni, mancubus e minotauri, ho tirato un sospiro di sollievo. In quell’esatto momento ho capito che il nuovo DOOM era bellissimo

Il gioco parte bene, e convince fin dalle prime battute, ma è stato a metà della campagna single player, alla fine di una battaglia con orde di cacodemoni, mancubus e baroni dell’Inferno, in una mappa aperta tra le rocce rosse di Marte, che ho tirato un sospiro di sollievo. In quell’esatto momento ho capito che il nuovo DOOM era bellissimo. Avevo appena finito di massacrare l’ultimo mostro cornuto “strafe-andogli” attorno come un folle, sparandogli nella schiena e in faccia con il double shotgun, a poco meno di due metri, mentre lui cercava di starmi dietro e tirarmi le sue orrende palle verdi. Pochi istanti prima, la gatling si era sbarazzata di un paio di mancubus che da lontano cercavano di colpirmi sparandomi le loro palle di fuoco, che ho evitato senza troppa fatica. E con il fucile al plasma ho polverizzato tre revenant (gli scheletri, come li chiamavamo noi) che cercavano di bersagliarmi con i loro velocissimi missili. Il cacodemone, invece, me lo sono giocato con la motosega, e buonanotte al secchio. Ed è tutta qui, brutale e semplice, la formula di DOOM, uguale a quella di vent’anni fa, ma riletta in chiave moderna: tante armi diverse per efficacia e risultato, nemici che non danno tregua ma al tempo stesso lasciano sufficiente libertà di manovra per scegliere la tattica migliore per sbarazzarsene, scontri dal ritmo indiavolato che fanno schizzare alle stelle la pressione sanguigna, che arrivi alla fine col cuore in gola e le mani che tremano per la tensione. E la soddisfazione di tirare un colpo di double shotgun in faccia a un imp mentre stai atterrando da un salto ruotando su te stesso è semplicemente impagabile, oggi come allora.

BRUTAL DOOM

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Il marine di DOOM è uno che non si pone troppe domande, se non quella di capire a chi sparare per primo

Brutale. DOOM è brutale. Lo è fin dalle prime battute, con il marine che si risveglia su un non meglio precisato altare sacrificale, e la prima cosa che fa è spappolare il cranio di uno zombie contro la roccia. Uno che quando si becca gli “spiegoni” dello scienziato di turno si spazientisce ancor prima del giocatore e spacca tutto. Uno che non si pone troppe domande, se non quella di capire a chi sparare per primo. Fanno quasi tenerezza i vari frammenti di informazioni sparsi nella base su Marte, il codex dei mostri, i dialoghi tra i personaggi secondari che cercano di raccontare al marine dello spazio (e a noi con lui) come mai l’Inferno si è rovesciato su Marte, perché il Portale, perché l’energia, perché il crogiolo di qua e il generatore di là. A lui non frega niente. E in fondo in fondo, neanche a noi. Che poi, id Software si è messa anche d’impegno a tirar fuori una storia non banale, ma è proprio il contesto che la rende (e perdonatemi l’ossimoro) utilmente inutile. L’unica cosa che conta è ammazzare i mostri vomitati dagli Inferi, con tutta la violenza di cui siamo capaci.

SIAMO TUTTI LIBRI DI SANGUE

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Dal punto di vista del gameplay puro, id Software ha davvero portato a casa un risultato straordinario, addirittura superiore a quello – già ottimo – visto con il reboot di Wolfenstein, riprendendo gli elementi caratteristici “old school” dell’originale, adattandoli in maniera sublime agli standard moderni. Perché ci sono gli stessi mostri di due lustri fa, che nella stragrande maggioranza dei casi lanciano colpi che possono essere evitati con accurati strafe laterali, ma sono più veloci e dotati di una mobilità maggiore; e sono tanti, davvero tanti. Ci sono le stesse armi, tante, tutte accessibili in ogni istante, altro che loadout da due alla volta, senza necessità di ricaricarle e con in più la possibilità di modificarle e potenziarle, senza stravolgerne l’essenza ma regalando un piacevole senso di progressione cui oggi ormai non sappiamo fare a meno, e lo stesso vale per armatura e rune di potenziamento assortite (complici un ottimo sistema di upgrade legato a obiettivi opzionali e a sfide extra-partita nascoste nei livelli); ci sono le chiavi colorate da scovare in giro per i livelli, tipicamente appese al corpo devastato di qualche povero scienziato dilaniato dai demoni, con tanto di mappa da studiarsi in lungo e in largo, ma comunque senza troppo backtracking.

Le Glory Kill trasformano ogni scontro in una macabra danza di ultra-violenza

La struttura delle missioni è abbastanza prevedibile, e comunque in linea con l’originale, nel bene e nel male: cammina, ammazza un po’ di mostri, prendi la chiave, torna indietro, ammazza altri mostri, esci, ripeti. Talmente banale da risultare quasi liberatorio, in alcune occasioni. I livelli di difficoltà sono – ovviamente – quelli storici, da “I’m too young to die” a “Hurt Me Plenty” fino a “Nightmare”, che si sblocca però solo dopo aver completato la prima run, insieme a un demenziale “Ultra-Nightmare”.
La principale novità (e concessione alla modernità) del gameplay di DOOM riguarda le Glory Kill (o Uccisioni Epiche, nell’eccellente traduzione italiana del gioco), ossia la possibilità di fare a brandelli, letteralmente, i nemici storditi dopo essere stati investiti da una raffica di piombo, che possono essere eseguite tanto sui demoni più sfigati quanto su quelli più ingombranti, da posizioni diverse, con animazioni una più brutale e violenta dell’altra. Al di là dello spettacolo visivo offerto, che regala sempre grande soddisfazione, le Glory Kill regalano qualche dose di curativo extra che si rivela essenziale negli scontri più affollati, specialmente verso il finale, ma soprattutto contribuiscono a rendere molto più fluidi gli scontri, trasformandoli in una macabra danza di ultra-violenza, al punto che ci si trova a squartare cacodemoni e imp più per il gusto di farlo, per l’effetto coreografico in sé che non per qualche punto salute (che ovviamente non si rigenera automaticamente, ma solo con i medikit sparsi qua e là).

MARTE – INFERNO, ANDATA E RITORNO

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L’approccio a pistole spianate è quello meno efficace: le arene vanno studiate bene, anche a costo di sacrificare una o due vite

Tra un corridoio e l’altro ci sono le arene, camuffate di volta in volta da laboratorio, magazzino, altoforno, pianure marziane, ma sempre quello sono: aree in cui appena metti piede succede il finimondo, con mostri che spawnano da tutte le parti, uno più grosso dell’altro, pronto a dare il via a un balletto di piombo e sangue. Come nei primi due capitoli degli anni Novanta, e contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, l’approccio a pistole spianate-spacco-tuttoh è solitamente quello meno efficace: i campi di battaglia vanno studiati il più possibile, prima di riuscire a venirne fuori vittoriosi, anche a costo di sacrificare una o due vite. Buttarsi a capofitto nella mischia senza capire dove si trovano eventuali ripari e qualche power-up nascosto, o peggio ancora giocare di rimessa standosene all’inizio della mappa, solitamente non è una buona strategia… Che poi uno magari ne esce pure per il rotto della cuffia, sudando come un folle, solo per scoprire che due metri più avanti c’era un Quad Damage che lo aspettava. La routine di comparsa dei mostri è più o meno sempre la stessa, ed è forse uno degli aspetti meno convincenti del gioco, quello su cui id Software non ha voluto rischiare: cominciano quelli piccoli e debolucci, in un crescendo di nemici sempre più grossi e incazzati, che tipicamente si conclude con i Mancubus e i Baron of Hell. L’idea funziona, intendiamoci, perché costringe a usare le armi meno potenti all’inizio senza sprecare missili o proiettili al plasma, da tenere rigorosamente da parte per i demoni più coriacei, ma alla lunga lo schema diventa fin troppo prevedibile, e confesso che non mi sarebbe dispiaciuto qualche guizzo più originale. Il design delle mappe si conferma eccellente: contorte, spesso labirintiche ma non caotiche, piene di stradine e passaggi secondari (e di un sacco di secret da scoprire!), estremamente sviluppate in senso verticale, non concedono nulla a chi vuole star fermo ad aspettare l’arrivo dei demoni, e rappresentano uno degli aspetti di principale rottura rispetto alla formula originale (che era di fatto bidimensionale per puri limiti tecnici); in questo senso trovano perfettamente senso modifiche come la maggiore velocità di movimento dei nemici, la loro capacità di muoversi su colonne se non addirittura di volare – come nel caso dei Revenant – e la possibilità stessa del marine di saltare.

CARTOLINE DALL’INFERNO

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DOOM è il primo titolo di Bethesda a usare il nuovo id Tech 6 Engine, motore OpenGL/Vulkan che vedremo presto sui nuovi titoli della casa americana. I passi in avanti rispetto all’iterazione precedente sono davvero notevoli, e regalano – almeno su PC – uno degli shooter più belli che si siano mai visti, con riflessi, luci volumetriche e altri effetti ambientali come il vento e le scintille, un rendering fisico dei modelli e una qualità del dettaglio davvero notevoli; il colpo d’occhio migliore arriva dalle mappe all’aperto, ovviamente, che si tratti di Marte o dell’Inferno, con sangue, teschi, pentacoli e gore gettato in faccia al giocatore in ogni possibile frangente, con quella sana dose di blasfemia tipica di id Software, e di cui sentivo tanto la mancanza.

Le mappe dell’Inferno sono infarcite di sangue, teschi, pentacoli e quella sana dose di blasfemia tipica di id Software

Davvero una piacevole e inaspettata sorpresa la qualità delle animazioni, sia quelle di combattimento dei nemici che i “siparietti” delle Glory Kill, sempre molto fluide e perfettamente legate tra loro. Il gioco richiede un PC discretamente pompato per dare il massimo, ma ci sono comunque abbastanza opzioni su cui smanettare in grado di regalare una buona fluidità anche a configurazioni meno potenti. Tra le varie impostazioni segnalo quelle per regolare il FOV, disabilitare le aberrazioni cromatiche e la grana da pellicola, oltre alla possibilità di scegliere tre diverse modalità di rendering. C’è qualche problema di stabilità con le GPU AMD, che nel mio caso hanno portato a diversi crash e relativo ritorno al desktop durante le partite, che mi aspetto possano venir sistemati nelle prossime settimane con driver e patch ad hoc.

NON È TUTTO SANGUE QUEL CHE LUCCICA

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Difetti? Multiplayer a parte, su cui mi soffermo più avanti, ho già accennato a una certa ripetitività nel modo in cui si presentano i nemici nelle arene; a questo aggiungo che la parte finale del gioco tende ad andare un po’ troppo per le lunghe, senza guizzi narrativi che giustifichino un continuo avanti e indietro tra Marte e l’Inferno, trascinando un po’ la partita, che si porta a casa in una quindicina di intense ore di gioco. Intendiamoci, non è che uno si annoi a massacrare demoni, ma si avverte una certa stanchezza di fondo (e un finale forse un po’ troppo buttato via). Per finire, ma qui si scende forse fin troppo nel personale e nel modo in cui uno è abituato a giocare, ho sofferto parecchio l’assenza dei quick save: i checkpoint vanno benissimo, non sono neanche disposti male, ma personalmente trovo molto più comodo riprendere la partita un secondo prima dello scontro in cui sono appena morto, che rifarmi duecento metri a raccattare curativi e munizioni e poi gettarmi nell’arena.

MULTIPLAYER E SNAPMAP

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Del multiplayer ho già avuto modo di scrivere in lungo e in largo qualche settimana fa, in occasione della beta chiusa, e dopo averci passato sopra qualche ulteriore ora non posso che confermare tutto quanto scritto allora, aggiungendoci solo che si tratta probabilmente dell’aspetto meno riuscito del gioco. La corsa relativamente lenta del marine, la assurda limitazione del loadout che strizza l’occhio ai giocatori di Call of Duty, una generale scarsa ottimizzazione grafica (il balzo all’indietro rispetto al single è notevole, e le performance peggiori), fanno quasi impallidire il gioco online rispetto alla campagna principale.

Il gioco online è l’aspetto meno convincente di DOOM, e quasi impallidisce nel confronto con il single player

Un buon diversivo, ma dopo aver visto i (bellissimi) titoli di coda del single, uno non può non chiedersi perché mai non sia stato preso quel gameplay e usato paro paro per il multiplayer, preferendogli invece un approccio così poco convincente. Assai più sfiziosa è invece la componente SnapMap, l’editor di livelli, quello che nei prossimi mesi dovrebbe garantire che l’eseguibile di DOOM continui a rimanere tra i più lanciati sul PC. Già adesso ci sono parecchi livelli di ogni genere, e non penso che ci vorrà molto prima che fiocchino total conversion dei primi due capitoli, se non addirittura dei remake dei WAD più famosi. L’editor in sé è molto facile da utilizzare, anche se per riuscire a ottenere qualcosa di più di un paio di stanzette standard occorre dedicarci un po’ di tempo e armarsi di pazienza, ma in tanti ci si stanno già cimentando, in alcuni casi con risultati più che egregi. Al momento, SnapMap ha solo due grosse lacune: la possibilità di collegare tra loro livelli diversi (permettendo così di dar vita a vere e proprie campagne extra, magari accessibili dal menu principale), e di rimappare i tasti di gioco, costringendo quelli come me a usare i layout di comandi predefiniti.

DOOM è tornato, e non potrei essere più contento. Brutale, ultra-violento, iper-cinetico e capace di far andare l’adrenalina in circolo come non mi accadeva da tempo. Il gameplay è costruito sui solidissimi pilatri dei suoi precedessori di oltre vent’anni fa, opportunamente svecchiati con elementi ormai irrinunciabili nel 2016, ma comunque intimamente connessi a un level design davvero ispirato, e che traccia una nuova strada per il genere degli FPS. Il gioco si porta in dote un nuovo motore grafico, e con esso uno degli shooter più belli a vedersi di quest’ultimo periodo, almeno su PC, e sufficientemente scalabile da permettere a chiunque di andare all’Inferno ad ammazzare un po’ di demoni in tutta tranquillità. Spiace solo per il multiplayer, davvero non all’altezza dell’esperienza in solitaria, mentre sono ottimista sul fatto che l’editor SnapMap saprà regalarci grandi soddisfazioni nei mesi a venire, oltre a un’ottima scusa per continuare a giocare a DOOM. E adesso scusatemi, me ne torno all’Inferno.

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Pro

  • Gameplay straordinariamente divertente.
  • Level design eccellente.
  • Brutale, violento, entusiasmante.
  • Tecnicamente notevole.
  • L’editor integrato promette una grande longevità.

Contro

  • Multiplayer modesto e fin troppo poco coraggioso.
  • Qualche crash e instabilità di troppo (per ora).
9.1

Ottimo

Il giovin virgulto si diletta con i racing game da molto prima che inventassero la ruota. Pare che Crammond, nei ritagli di tempo di Claudio, abbia usato delle sessioni di guida del nostro eroe per programmare l’IA dei piloti in GP2. Oltre ai titoli corsaioli, Claudio ama le avventure, le serie TV, i platform e gli FPS vecchia scuola.

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