Homefront: The Revolution - Recensione

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Arrivato al finale di Homefront: The Revolution, il mio umore è un miscuglio di rispetto e amarezza. Rispetto perché lo sforzo di donare varietà allo scenario “aperto” (ma diviso da caricamenti) e al gameplay è evidente, al punto da guadagnarsi buona parte del giudizio a fondo pagina. Amarezza perché il gioco di Dambuster Studios – in cui è confluita buona parte di Free Radical Design, ex sussidiaria di Crytek – fa una fatica boia a portare a casa lo status di titolo appena discreto, sul piano tecnico ma non solo, e il risultato è addirittura inferiore al pur modesto capofila della saga, uscito nel 2011 sotto la bandiera di Kaos Studios (e che a me non era mica dispiaciuto, ndKikko). Per la trama e il background, invece, è d’uopo una precisazione preliminare: personalmente non amo molto il tema della “resistenza” statunitense all’invasore, e anzi sono convinto che questo sotto-genere di action game, come pure film e serial sull’argomento, dimostrino come gli americani non abbiano visto i (veri) partigiani nemmeno in fotografia. O, meglio, li hanno visti quando sono arrivati a salvarci il didietro, ma evidentemente non se li ricordano bene.

Il che vale solo per il soggetto, sia chiaro: i ragazzi di Dambuster sono inglesi, ma la sostanza è grossomodo la stessa. Stavolta siamo a Philadelphia, dove i nordcoreani – cattivi come il Todeschini a stomaco vuoto – continuano a trasmettere video propagandistici in TV e, nella pratica delle strade, a opprimere in tutti i modi possibili la popolazione locale. L’idea di partenza è gustosa e tuttavia già vista: dopo anni di crisi economica, gli Stati Uniti hanno l’ottima idea di comprare dalla Corea del Nord (ben più economicamente rilevante, rispetto alla realtà odierna) gran parte delle proprie risorse tecnologiche, sia civili che militari, fino a che gli amiconi d’oltreoceano non decidono di staccare letteralmente la spina. I furbissimi discendenti di Kim Jong-un hanno infatti installato nei propri balocchi dei simpatici switch, per cui al momento giusto non devono fare altro che premere un bottone e bum… l’ex potenza mondiale rimane priva di difese e, dopo qualche tempo, anche di dignità.

VIA LE MANI DALLA TORTA DI MELE

Non so se John Milius (regista alquanto reazionario ma, dopo la sceneggiatura di Apocalypse Now e la regia di Conan il Barbaro, da rispettare nei secoli dei secoli) sia poi così contento di aver dato il via al filone, considerati gli scarsi risultati narrativi di tutti gli emuli. Che si tratti dei russi di Alba Rossa, dei nordcoreani di Homefront o persino degli alieni di Falling Skies, la ribellione che ne consegue è sempre un mix di eroismo di grana grossa e imbecillità dell’invasore, capace di prendere un sacco di botte nonostante la netta superiorità sul piano tecnologico e militare – e di prenderle direttamente in città, dove in genere si combatte l’ultima e definitiva parte della ribellione, e certo non l’inizio. D’altra parte, i problemi di Homefront: The Revolution non risiedono qui, e nemmeno nel fatto che il totale silenzio del protagonista – incidentalmente coinvolto nel grosso della rivolta, da semplice recluta a vero commando – risulti in questo caso particolarmente fuori luogo, a fronte di dialoghi lunghi e pieni di pause in cui, ovviamente, si parla sempre di farci rischiare la pelle.

homefront the revolution recensione pc ps4 xbox oneIl modello di gran parte del gameplay, giusto per intendersi, è quello di Far Cry dal secondo capitolo in poi. Le somiglianze, ad esempio, riguardano la possibilità di scovare rifugi alleati, impossessarsi di roccaforti e rinvenire tutta una serie di obiettivi secondari, oppure di approcciare gli obiettivi con un certo grado di libertà, taggando i nemici (attraverso uno smartphone riadattato dalla resistenza, per questa come per altre funzioni) e muoversi così in relativa sicurezza. Il che non è un male, chiaramente, al di là della scarsa originalità e del fatto che Homefront: The Revolution, per quanto abbia chiari i modelli da imitare, non lo è altrettanto nel metterne in pratica gli aspetti migliori. I problemi iniziano immediatamente dall’impostazione shooter, che ci obbliga a tenere premuto un tasto per avere qualche chance di sparare diritto, caratteristica riservata da tanti colleghi – e non a caso – solo e unicamente ai fucili da cecchino. In realtà, tale trovata è connessa ai miglioramenti per armi ed equipaggiamento che nemmeno Homefront: The Revolution si fa mancare, e tuttavia fa parte degli elementi che finiscono per non funzionare in nessun caso, nella resa dei combattimenti e neppure nell’atteggiamento silenzioso che viene consigliato, ma mai del tutto risolto.

Homefront: The Revolution, per quanto abbia chiari i modelli da imitare, non lo è altrettanto nel metterne in pratica gli aspetti migliori

Per dirne un paio, non è possibile agganciare silenziatori alle armi sulla media e lunga distanza, e comunque il sistema di controllo risulta più incline a uno sparatutto puro, privo di coperture, nonostante la presenza della balestra e la possibilità di sbirciare da sopra le barriere. Qui entrano in ballo i dettagli – visto che lo schema di Homefront: The Revolution è vicino al suddetto open world di Ubisoft – determinati dalla rete fin troppo fitta di ronde e droni, dal puro level design e dall’inserimento non troppo riuscito di alcune caratteristiche, votate allo stealth ma senza risultati degni di tale nome. Ci viene consigliato di tenere nascoste le armi e sfruttare la vicinanza dei cittadini, in modo che sia più difficile rilevarci, ma all’atto pratico la tecnica risulta inutile e quasi controproducente, vuoi perché i soldati ci riconosceranno comunque in pochi istanti, vuoi perché il numero di passanti è troppo esiguo per emulare le azioni di un Assassin’s Creed a caso.

STRUMENTI DELLA RIVOLTA

Prima di tornare sui particolari meno piacevoli, proprio le armi e l’equipaggiamento danno modo di spendere qualche parola sugli aspetti positivi di Homefront: The Revolution. Per gli strumenti d’offesa di tratta in gran parte di semplice cosmesi, per far sì che il nostro eroe non si porti appresso un numero inverosimile di bocche da fuoco, ma l’idea di modificare al volo le armi è comunque piacevole da vedere e utile nel gameplay, così da poter cambiare tattica in men che non si dica. Con il denaro e i punti abilità possiamo comprare una serie di pezzi che mutano totalmente la funzione del gingillo, magari da pistola a pistola mitragliatrice, oppure da fucile da cecchino a lanciarazzi e ancora da balestra a lanciafiamme improvvisato, con annessa animazione del nostro eroe che smonta componenti e ne innesta altri.

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Il dettaglio grafico non riesce a sfruttare al meglio le potenzialità del CryENGINE

A parte, poi, le varie ottiche, le modifiche al caricatore e alla canna, nonché i potenziamenti vari (anche alle prestazioni in battaglia, o alla possibilità di venir rilevati), abbiamo a disposizione una serie di gadget che permettono, se non di risolverli del tutto, almeno di lenire alcuni dei limiti della componente stealth. Mi riferisco nello specifico alle “macchinine” o alle modifiche del telefono che consentono di attivare o distruggere i meccanismi, in modo da poter svolgere a distanza le operazioni di sabotaggio più difficili, o di infiltrarci in luoghi altrimenti inaccessibili. Non male anche il fatto di poter ottenere i suddetti strumenti attraverso il crafting, con la solita fuffa apparentemente inutile sparsa in ogni dove, anche se tale possibilità viene in parte inficiata dalle notevoli retribuzioni al completamento degli obiettivi, per cui comprare gli item belli e pronti è sempre la strada più veloce. Il fattore varietà trova un buon corrispettivo anche nell’aspetto degli scenari, partendo da quelli più anonimi (idea sempre discutibile, in qualsivoglia videogioco) di indistinte macerie fino ad ambientazioni più interessanti e, se vogliamo, più citazioniste, che sembrano tirare in ballo le atmosfere di Metro 2033, una città-carcere a cavallo tra 1997: Fuga da New York e (una parte di) The Chronicles of Riddick: Escape from Butcher Bay, fino a coinvolgere persino la mai dimenticata City 17 di Half-Life 2.

In termini di obiettivi, invece, i risultati tornano a essere controversi. Più raramente abbiamo a che fare con missioni specifiche e ben caratterizzate, mentre molto più spesso ci troviamo di fronte a banali riproposizioni degli obiettivi secondari, oppure all’obbligo di completare tutte le azioni possibili per spingere definitivamente la popolazione verso la rivolta. Poco male, almeno in quest’ultimo caso: osservare la gente che finalmente si ribella ha sempre il suo perché, e sono da apprezzare i dettagli che Dambuster ha inserito nella messa in scena per indicare i cambiamenti nei cittadini, dalle animazioni di una semplice rissa ai più decisi atti della rivolta. Infine, fanno da contorno all’azione piccole caratteristiche come la guida di motociclette, la possibilità di reclutare fino a cinque alleati – senza, però, poter impartire alcun ordine – e addirittura l’easter egg giocabile di un vecchio titolo, sviluppato dallo studio quando ancora si chiamava Free Radical Design (prima di incorrere in quel mezzo fiasco che è stato Haze). Lascio a voi il gusto di scoprire quale.

PHILADELPHIA NEL CAOS

Fino a questo punto, le caratteristiche descritte sembrano un mix di errori in parte perdonabili e tentativi – comunque onorevoli – nella ricerca della varietà. Purtroppo, però, la collezione di bug e imprecisioni che mi è passata davanti peggiora non poco la situazione, accompagnata da un dettaglio grafico che non riesce a sfruttare al meglio le potenzialità del CryENGINE. Modelli che spariscono o risultano incastrati in ogni dove, improvvise “inclusioni” del personaggio nei muri, cadute nell’abisso sotto la mappa e caricamenti a vista delle texture rendono Homefront: The Revolution uno spettacolo tecnico ben poco edificante, e tanti dettagli (l’eroe che talvolta cade senza danno, o il veloce ricaricamento della partita in caso di caduta fuori dalla mappa) sembrano indicare il tentativo dello sviluppatore di risolvere i problemi all’ultimo minuto. Il risultato minimo è stato ottenuto, visto che il gioco è privo di errori che ne impediscono il completamento, ma certo non si tratta della migliore condizione per aspirare all’eccellenza.

Per dovere di completezza va detto che non abbiamo potuto provare nel dettaglio la piccola componente online, fondata su una serie di missioni co-op e su personaggi largamente personalizzabili, ognuno con un suo background e una vasta base di abilità, armi o elementi estetici da sbloccare. Al massimo, però, l’aggiunta potrebbe innalzare il voto di un paio di decimali, a patto di essere realizzata ai limiti della perfezione. Ed è normale dubitarne, considerata l’entità degli altri problemi.

L’idea di portare Homefront: The Revolution dalle parti di Far Cry – o anche di un Freedom Fighters in soggettiva – non era malvagia. Purtroppo, però, imperfezioni del gameplay e veri e propri bug hanno inficiato considerevolmente il risultato, al punto da poter consigliare il gioco di Dambuster solo a chi ha un debole per lo specifico background. Dalla sua parte Homefront: The Revolution ha la buona varietà dello scenario urbano, peraltro non così grande e inframezzato da caricamenti, insieme a discrete idee per armi ed equipaggiamento assortito. Nulla, però, che possa risollevarlo dalla condizione di prodotto appena discreto.

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Pro

  • Migliora strada facendo…
  • Buona varietà delle ambientazioni.
  • Alcune armi o gadget ben pensati.

Contro

  • …ma non abbastanza da riscattarsi del tutto.
  • Bug a non finire.
  • Poligoni, texture ed effetti sotto gli standard del CryENGINE.
7

Buono

Marietto è così dentro alla sci-fi che non riesce a trovare la strada per uscirne. Per lui i videogiochi sono proprio questo, una porta per accedere a un pezzo di fantascienza che si realizza qui e ora, senza aspettare la fine del mondo.

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