Frequenza Critica racconta: Ubisoft e gli esperimenti in soggettiva

Questa volta non parliamo di una fase in particolare quanto piuttosto di ricorrenti esperimenti con la visuale in soggettiva. Perché quando usciva una nuova console, Ubisoft non si tirava certo indietro.

Ubisoft soggettiva red steel

Oggi la nostalgia mi porta a un altro filo rosso che la Ubisoft artistoide e mattacchiona percorreva di quando in quando: quella dei “first person shooter” sperimentali. La visuale in soggettiva è sempre stata una scelta stilistica, più che un vero identificatore di un genere e mai come nel roster delle produzioni Ubisoft la cosa è evidente. Facciamo una piccola menzione d’onore a XIII, che di recente ha avuto un remake. Facciamo menzione perché XIII, almeno lui, in qualche modo è arrivato ai giorni nostri, sia nella versione classica che in remake, com’è giusto che sia.
Perché ci sono altre opere che invece rischiano di venire dimenticate come lacrime nella pioggia.

DI SCIMMIONI E TASCHE PICCOLE

La prima goccia di nostalgia va a Peter Jackson’s King Kong di Ubisoft Montpellier, uscito nel 2005 sia per le console contemporanee, sia poi infiocchettato per il lancio di Xbox 360. “Ma questo è fuori come un cavallo, prima rompe tanto le scatole sugli adattamenti e poi osanna un tie-in”. Sì, caro immaginario lettore, capisco l’osservazione, ma le regole sono composte anche da eccezioni, giusto? Per quanto io mi ritrovi a preferire universi comunicanti con differenti media che si arricchiscono a vicenda, devo dire che questo gioco mi ha sopreso. Lo ha fatto pur avendomi costretto a “scegliere la versione della storia che preferisco” e sì, scelgo quella del gioco. Non perché racconti una storia migliore, anzi, questo aspetto è difficilmente confrontabile e vedremo subito perché. Lo preferisco perché l’esperienza di gioco che offriva era fantastica, indipendentemente dalla presenza dello scimmione. Anzi, diciamo pure che la parte in cui si controlla il vero motore degli eventi della storia, il gioco crolla proponendo lineari sequenze di platforming e di combattimento in cui assaggiamo il potere di Kong. Sicuramente spettacolari e per il contenuto che vogliono portare è anche necessario che siano guidate, ma proprio in virtù di questo, sono emozioni videoludiche che tendono a durare solo per la prima volta.

La parte che funzionava meglio era invece proprio quella di “attesa” dello scimmione, dove nei panni di Jack Driscoll, accompagnato dal resto dello sciagurato equipaggio della Venture, esploriamo Skull Island dal punto di vista di un normale umano. Tanto che il gioco non ha un singolo elemento di HUD, se non attivandolo appositamente nelle opzioni. Niente barre dell’energia, niente contatore di munizioni, nada. Se oggi è un fattore che in qualche misura si può trovare anche in altri giochi, tipicamente nei survival horror, al tempo era una cosa abbastanza insolita. In realtà lo è ancora oggi, perché Peter Jackson’s King kong non è esattamente un horror.

UNA DELLE CARATTERISTICHE PIÙ PECULIARI DI KING KONG È L’ASSENZA DI HUD

L’equipaggio era preparato per ogni evenienza e la nave ospitava un generoso numero di armi, che ben presto vengono messe in uso. E quando si presenta davanti un velociraptor, meglio avere in mano qualcosa per obiettare. Le armi, divise in quattro categorie, possono però essere trasportate una per volta e il gioco non era pensato per privilegiarne una al posto di un’altra. Se piace gestire gli avversari con raffiche controllate c’è il mitra Tommy, chi preferisce mirare bene e stare leggeri ha l’affidabile pistola e finché le munizioni durano non c’è obbligo a cambiarle. Chiaro che però ci si espone al rischio di rimanere proprio senza e allora bisogna arrangiarsi con delle lance improvvisate da accendere, perché come sappiamo, “quasi tutti gli animali retrocedono di fronte al fuoco”. Come si fa a sapere quando stanno per finire le munizioni se non ci sono elementi a schermo? Ma contandole, naturalmente. Alla pressione del pulsante adibito Jack menzionerà ad alta voce quanti caricatori di scorta sono rimasti, tanto che se lo faremo in un momento in cui il gruppo sta agendo di soppiatto, verremo richiamati al silenzio.

Per chiarezza, il gioco è linearissimo con entrambi i personaggi. Ma quando si concentra sul gruppo di umani sono state fatte delle scelte sottrattive che hanno portato l’esperienza a essere particolare ancora oggi. Non perché il gioco alzasse particolari asticelle tecnologiche e di gameplay, ma perché la scelta dell’hud inesistente è stata poco raccolta da produzioni successive. Pochi arditi esperimenti e comunque sempre vincolati ad atmosfere horror dove l’incedere è lento e a meno che i mostri non siano nella stanza con noi, c’è quel minimo di tempo per guardarsi le tasche. Ma Peter Jackson’s King Kong era invece un’esperienza cinematografica in tutto e per tutto, con un ritmo veloce e nel quale molto spesso non c’è occasione di prepararsi bene alla prossima sequenza. Ed è a questo punto che entra in gioco l’improvvisazione. Un gioco invecchiato, certamente, ma chi è interessato a sistemi di inventario o di assenza dello stesso alternativi, nonché ai fan delle esperienze videoludiche altamente cinematiche, dietro i segni del tempo Peter Jackson’s King Kong ha ancora qualcosa da dire.

DI ZOMBI E TABLET

Ci spostiamo un po’ avanti nel tempo, più precisamente alla comparsa di WiiU e del suo bizzarro controller-tablet nel 2012. Qui, sempre Ubisoft Montpellier si unisce al gruppo di sperimentatori che hanno provato a ideare esperienze pensate appositamente attorno al controller e il risultato è uno dei migliori giochi di zombi mai fatti. Che poi non è che in verità siano molti. Azzardo che è forse l’unico gioco davvero horror tutto puntato attorno a questo archetipo. Dove gli zombi non sono né carne da macello facile in preparazione a mostri più cattivi in stile Resident Evil, né poveri tonti di cui abusare in modo comico a là Dead Rising, ma sono brutali, inquietanti, dannatamente resistenti e possono anche ignorare il nostro primo passaggio restando dormienti, per poi decidere di svegliarsi così, di botto, in un altro momento.

ZOMBIU ERA UN ESPERIMENTO MOLTO INTERESSANTE, SIA PER L’USO DEL PAD CHE PER ALCUNE SCELTE DI GAMEPLAY

Ogni porta varcata in ZombiU è un momento delicato. Non aiuta che il classico sparare alla testa non sia automaticamente la soluzione a tutti i problemi, perché il nostro personaggio è un civile e la sua mira è un disastro, pur se migliorabile nel corso dell’avventura. Ad aggiungere problemi su problemi c’è la questione che il rumore qui attira i non morti e decidere di ricorrere alle armi da fuoco può diventare un punto di non ritorno per tutta l’area in esplorazione. In alternativa è sempre possibile procedere a suon di vigorose bastonate tramite la fidata mazza da cricket e non è nemmeno impensabile riuscire a mettere le mani su una pistola silenziata in stile James Bond. Non cito a caso l’agente segreto di sua maestà in quanto ZombiU è interamente ambientato a Londra e vedremo qualche architettura tipica riflettere questa scelta. Staccarsi dalla tipica ambientazione statunitense è a sua volta una rarità nella rarità nel contesto dei giochi con gli zombi, forse accompagnata soltanto da Dying Light che invece sceglie uno scenario fittizio ispirato alla Turchia.

Tuttavia, il motto del gioco rimane che le armi non vi salveranno qui, perché nessun nuovo arnese da guerra cambierà una cosa: un morso uccide. Punto. Gli zombi possono anche provare ad ammorbidirci a unghiate e più siamo superficialmente feriti, meno siamo preparati a un mortale abbraccio. Ma anche a barra dell’energia piena, venire sorpresi lateralmente o da dietro corrisponde al morso e quello non perdona. Nel malaugurato caso, similmente a un Soulslike, prenderemo il controllo di un altro superstite al rifugio centrale e potremo andare a cercare il precedente ormai zombificato per recuperare lo zaino con gli oggetti da lui collezionati. Con l’ulteriore malus che dovremo affrontare la precedente porzione di missione con tutti gli zombi lasciati indietro già svegli e a caccia e senza le armi rimaste nello zaino del predecessore.

aprire l’inventario è una scelta rischiosa e che va fatta con coscienza: ci lascerà infatti completamente esposti a eventuali attacchi

In tutto questo il pad del WiiU era uno strumento tanto nelle nostre mani quanto in quelle del nostro personaggio, fungendo da mappa del livello, da organizzatore dell’inventario e da scanner ambientale in alcune sequenze nelle quali dovremo cercare informazioni in codice e passaggi segreti nascosti. In tutti e tre i casi, durante il loro utilizzo saremo inermi. In particolare, nell’atto di organizzare l’inventario, vedremo il nostro protagonista depositare lo zaino a terra e rovistarne l’interno, perdendo la concentrazione in ogni altra direzione. Anche solo la scelta di cambiare arma va quindi pensata tenendo in considerazione il tempo necessario per farlo, che non è molto, in realtà. Però è comunque il tempo fisicamente necessario per portare la mano allo zaino, riporre l’arma precedente, impugnare la successiva e a volte la differenza tra la vita e la morte sta davvero in pochi preziosi secondi.

Ubisoft soggettiva zombiu

Tre anni dopo il gioco arriva su PC, togliendo dal titolo la “U” e presentandosi all’utenza con uno dei più immediati nomen omen: Zombi. Le funzioni relative al pad del WiiU vengono adattate per un singolo schermo. La mappa è accessibile in modo più fluido, l’accesso all’inventario è un momento gravoso tanto quanto nell’originale, mentre le sessioni investigative con il pad perdono un po’ di mordente in quanto non vi è più il senso connettivo di tenere in mano lo stesso esatto tipo di oggetto che il protagonista utilizza. Ciònonostante il gioco mantiene la sua personalità e gli appassionati dei non-morti ciondolanti dovrebbero provare almeno a fare un giro. Perché è bello che giochi usciti per console ormai fuori mercato restino accessibili e giocabili in una qualche forma, pur se originariamente pensati attorno a precise specifiche hardware.

DI SENSORI DI MOVIMENTO E KATANE

E qui arriviamo a Red Steel 2 di Ubisoft Paris uscito nel 2010, che invece ha un grave problema: non lo conosce nessuno che non lo abbia giocato su Wii. Perdonate la montagna russa temporale, ma intendo porre un accento finale sul discorso di preservazione digitale e di come sarebbe nell’interesse di tutti mantenere l’accesso a vecchi giochi nel tempo. Perché anche qui ci troviamo in presenza di gemme il cui contributo all’industria rischia di venire dimenticato.

RED STEEL 1 AVEVA QUALCHE IDEA INTERESSANTE, MA NEL COMPLESSO DICEVA POCO

Red Steel nasce come titolo di lancio per la neonata console Wii. Appena fu presentata, una delle più fervide fantasie che ispirò fu la sensazione di essere più “dentro” al gioco, tramite appunto un sistema di controllo che si basava per metà sui pulsanti e per l’altra metà sul movimento. Il primo Red Steel fu messo assieme in fretta, ma partiva comunque dall’interessante premessa di essere per metà uno shooter con armi da fuoco e per l’altra metà un gioco di combattimento armati di katana e kodachi. Tuttavia la fretta di sviluppo lo portò ad essere davvero poco rifinito e tra problemi di riconoscimento dei movimenti che impediva le mosse più elaborate, un comparto grafico da PS2, cutscene con schermate fisse e dialoghi in sottofondo, finì per essere interessante giusto in quanto sperimentazione, più che per la sua esperienza finale. Serviva un upgrade, sia di visione che tecnologica.

Ed ecco che arriva il Wii MotionPlus, un piccolo cubetto da collegare al controller e che gli permetterà di riconoscere i movimenti in tutte le direzioni. E arriva anche il gioco con cui provarlo: Red Steel 2. E qui ci si diverte, amici miei. Il gioco si colloca in un fumettoso ibrido tra far west steampunk e ispirazioni orientali, sicché ogni personaggio sfoggerà abbigliamento e armi che coprano entrambi gli archetipi. Il nostro protagonista non farà eccezione. Cappello da cowboy, cappotto penzolante al vento, katana nel fodero e revolver a canna lunga in fondina, presto ci faremo largo tra muscolosi predoni che ricordano i cattivoni di Hokuto no Ken, alla distanza quando necessario e spade in mano non appena gli sfidanti saranno così vicini da poter parare e schivare le pallottole.

IL WII MOTIONPLUS CI PERMETTE DI CONTROLLARE DIRETTAMENTE I COLPI DI SPADA

E qui entra in gioco il Wii MotionPlus: ogni fendente che lanceremo in ogni direzione sarà effettivamente quello che avremo mimato con il controller. Da destra a sinistra o viceversa, dall’alto in basso o viceversa, varie diagonali. Ma un combattente ha sempre da imparare ed ecco che si presenta il dojo, dove impareremo mosse quali il fendente a lungo raggio, l’affondo per coprire le distanze in un attimo, il montante per lanciare in aria un nemico, il salto per seguirlo, la mazzata per sbatterlo a terra. Esatto, è il moveset base di Devil May Cry tradotto in prima persona e con il totale controllo dei movimenti di lame e cannoni.

Ubisoft soggettiva red steel

Il gioco non ebbe sequel né su console Nintendo né in generale, e pur ammettendo che stavolta sia proprio difficile tradurre l’esperienza su mouse a tastiera, trovo comunque un peccato che quest’opera sia impossibile da godere al di fuori di Wii. Il sistema di controllo ne risulterebbe inevitabilmente alterato, però Red Steel 2 vantava anche una direzione artistica non ovvia e che è un peccato perdere tra le pieghe del tempo. Da lato Ubisoft ci troviamo purtroppo in presenza, ancora una volta, di un passato ignorato e mai ripreso né da sequel diretti, né da progetti adiacenti.
Il concetto di “gioco d’azione cinetico in prima persona” è per fortuna stato ripreso egregiamente da colleghi quali Ghostrunner e Shadow Warrior, quindi stavolta un certo senso di eredità raccolta c’è. Rimane però un retrogusto amaro nel constatare che i giocatori con cui mi sono ritrovato a parlare di questo gioco sono soltanto quelli che c’erano ai tempi di Wii e hanno avuto l’idea di acquistarlo. Però ehi, almeno, se non altro, questi giochi sono tutti usciti in qualche modo. Perché è nel prossimo articolo che dobbiamo parlare davvero dell’elefante nella stanza. Un elefante al di là del bene e del male.


Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.

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