Recensioni videogiochi pc, PS4, XBOX, Wii U, app | THE GAMES MACHINE https://www.thegamesmachine.it/hubs/hub-recensioni/ Il riferimento per i giochi PC, Playstation, Switch, Xbox e le migliori piattaforme con anteprime, notizie e recensioni Thu, 25 Jan 2024 14:52:27 +0000 it-IT hourly 1 https://www.thegamesmachine.it/wp-content/uploads/2016/01/cropped-TGM_logo_tapa512512-32x32.png Recensioni videogiochi pc, PS4, XBOX, Wii U, app | THE GAMES MACHINE https://www.thegamesmachine.it/hubs/hub-recensioni/ 32 32 – Recensione https://www.thegamesmachine.it/howl/howl-recensione/ Wed, 24 Jan 2024 12:43:16 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=269073 Una misteriosa piaga trasforma in bestie assetate di sangue chiunque senta l’Ululato. Ma l’eroina non udente di Howl è pronta a fronteggiare il nemico con armi affilate quanto il suo intelletto.

Sviluppatore / Publisher: Mi’pu’mi Games GmbH / Astragon Entertainment Prezzo: 14.99 euro Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: Assente Disponibile su: PC (Steam ed Epic), Nintendo Switch

Nessuno sa come sia nata la Peste Ululante, né chi sia stato il primo ad ammalarsi, dando inizio all’epidemia che avrebbe inginocchiato il mondo. Il misterioso morbo era capace di trasformare gli uomini in bestie assetate di sangue, lupi zombie in perenne caccia lungo villaggi e campagne, attaccando chiunque. Le loro zanne e i loro artigli erano letali, ma morire sbranati non si poteva definire un destino poi così atroce. Ben peggiore era la sorte di chi udiva l’Ululato, trasformandosi a sua volta in uno di quegli abomini infernali. Tra i pochi sopravvissuti circola la voce di una possibile cura, ma avventurarsi fuori delle proprie abitazioni significa non farvi più ritorno. Perlomeno non sotto sembianze umane.




L’unica speranza è una ragazzina incapucciata non udente e quindi immune all’Ululato. Scaltra e abile con arco e frecce, eroina e protagonista di Howl, turn based puzzle game ambientato in un mondo fantasy medievale del quale non vorremmo mai far parte. Attraverso sessanta livelli suddivisi in quattro capitoli, il nostro obiettivo è uccidere quante più bestie possibile raccogliendo indizi su quanto accaduto, fino al terribile scontro finale che non posso spoilerare.

I simboli delle carte sotto i mostri indicano il numero di azioni che eseguiranno. Quali?

Gli austriaci Mi’pu’mi Games, responsabili dello sviluppo, potrebbero suonare sconosciuti ai più, ma il loro curriculum annovera oltre all’ottimo adventure The Lion’s Song anche collaborazioni nella realizzazione di capolavori come Control, Hitman, e il recente Shadow Gambit: The Cursed Crew.

HOWL, PIÙ PUZZLE CHE STRATEGICO

Curiosamente Howl è presentato nei vari store come uno strategico con combattimenti a turni, il che potrebbe indurre a pensare che si tratti di un gioco dal gameplay simile a XCOM, quando in realtà non è così. Tutti i nemici hanno delle precise regole di movimento e attacco a seconda della nostra posizione e della presenza di possibili prede. Significa che a ogni specifica situazione c’è sempre una ed una sola reazione dei mostri. Non è questa l’essenza di uno strategico, nel quale è richiesta una componente aleatoria per spingerci a sperare che il fuoco nemico vada a vuoto, o per indurci a cambiare approccio quando subiamo un danno critico inaspettato.

Howl è presentato come uno strategico a turni, ma in realtà è un solido puzzle game in cui niente è lasciato al caso

Questo gioco invece va sicuramente incasellato nella sezione puzzler. Non è una critica, ma la necessità di far chiarezza su ciò che ci aspetta. Ciascuno dei livelli, grandi quanto una schermata, è rappresentato da un tabellone suddiviso in caselline lungo le quali muoverci. Non siamo però obbligati a spostarci. Possiamo decidere di aspettare fermi dove ci troviamo, scagliare una freccia in uno dei quattro punti cardinali, o eventualmente spingere ciò che si trova davanti a noi.

Sette mostri, e ho solo tre frecce. Ottimo.

Dopo ogni nostra azione, entrano in gioco i nemici, che si comporteranno come da script. Un gameplay mutuato dal capostipite Rogue, arricchito da un sadico particolare: dobbiamo preimpostare fino a sei turni. Significa che se per esempio decidessimo di fare un passetto verso nord, dovremo immaginare il conseguente riposizionamento dei mostri, per poi magari scoccare una freccia verso est perché sicuri che lì si troverà una minaccia, dopodichè, sempre ragionando per prevedere ciò che accadrà, si dovrebbe liberare un corridoio verso sud, e così via per ben sei volte, in un ribollire di meningi

.Prevedere movimenti dei nemici e conseguenze delle nostre azioni per i prossimi sei turni è una sfida ardua, ma ci viene in soccorso la modalità assistita

Una volta sicuri delle nostre scelte, basta premere il tasto Play per capire se ci avevamo visto giusto. Spoiler: avrete trascurato qualche particolare e finirete per diventare la cena degli infetti. La protagonista è sì immune all’Ululato, ma le sue carni si lacerano facilmente. E a quel punto capirete che la rigidità dei comportamenti dei nemici è il fiore all’occhiello della sfida. Prevedere l’evolversi della situazione così a lungo termine è un’impresa tutt’altro che facile, e poco male se con qualche trial and error si riesce ad affinare la strategia, basta una sola considerazione errata e ci si trova a dover ricominciare.

E SE CAPPASSIMO CAPPUCCETTO ROSSO?

Raggiungere l’uscita non è quasi mai sufficiente, perché il sistema di valuta virtuale ci obbliga a eccellere. Guadagniamo teschi per ogni uccisione e punti essenza se completiamo il livello entro un numero determinato di turni. Queste risorse ci servono per sbloccare e potenziare nuove skill come la capacità di gettare bombe fumogene per disorientare i mostri, o sparare una vampata di energia in stile Hadouken, più altri modi di nuocere o difendersi che vi lascio il piacere di scoprire, tutti potenziabili.

Dobbiamo evitare che i sopravvissuti sentano i mostri ululare, o si trasformeranno.

Non pensiate che cappare la piccola protagonista renda Howl una passeggiata, poiché, come abbiamo imparato da Spiderman, da un grande potere derivano grandi responsabilità, ma soprattutto grandi conseguenze da prevedere. Aggiungiamo vari tipi di mostri ciascuno con le proprie caratteristiche, munizioni limitate, e vari livelli che potranno dirsi perfettamente completati solo tornando ad affrontarli più volte nel gioco, una volta guadagnati i perk adeguati, e abbiamo per le mani una bella gatta da pelare. Troppo difficile? Vi siete spaventati? Esiste anche una modalità assistita pensata appositamente per chi vuole godersi la trama senza che gli inizi a fumare il cranio, tuttavia priva il gioco della sua caratteristica principale, ovvero la pianificazione. A voi la scelta.

UNA FIABA ILLUSTRATA

Howl non è solo una sequenza di livelli lungo i quali infilzare bestie feroci, ma racconta anche la storia dell’epidemia e dell’intrepida protagonista, con una voce narrante molto evocativa e uno stile grafico semplice ma carismatico, che raffigura l’azione con una serie di disegni animati, quasi come se una mano invisibile aggiornasse il tabellone di gioco cancellando e tratteggiando nuovi elementi man mano che l’azione si evolve.

Anche la colonna sonora si adatta perfettamente al contesto, rimane però il dubbio che alla fine il gioco sia stato indirizzato al pubblico sbagliato

Anche la colonna sonora si adatta perfettamente al contesto, rimane però il dubbio che alla fine il gioco sia stato indirizzato al pubblico sbagliato: gli amanti degli strategici a turni nel senso stretto del termine potrebbero trovarlo troppo rigido, mentre chi cerca spasmodicamente i puzzle game rischia che gli sfugga. Ecco perché il nostro lavoro è importantissimo!

In Breve: Howl è un puzzle game in cui pianificazione delle proprie mosse e previsione delle conseguenze giocano il ruolo del leone. Tenere a mente le reazioni dei nemici per i prossimi sei turni può rivelarsi molto impegnativo, anche se con la modalità assistita o una sana dose di trial and error riuscirete a completare tutti i sessanta livelli in due o tre serate. La storia dalle tinte cupe, l’ambientazione medievale e il particolare aspetto grafico lo rendono un gioco assolutamente interessante. Una volta completato non c’è motivo di rigiocarlo se non per tentare di guadagnare tutti i trofei, ma rimane un’esperienza consigliata agli amani di questo genere di giochi.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: AMD Ryzen 9 6900HS, 16GB RAM, GeForce RTX 3080, SSD
Com’è, Come Gira: Le richieste tecniche sono veramente modeste, e non c’è stato alcun problema. Gli shortcut da tastiera però non sono molto pratici, rendendo preferibile giocare solo con il mouse.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/like-a-dragon-infinite-wealth/like-a-dragon-infinite-wealth-recensione/ Tue, 23 Jan 2024 15:01:56 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268981 Per conquistare le Hawaii c’è bisogno di due draghi: SEGA e Ryu Ga Gotoku Studio firmano la seconda avventura di Ichiban Kasuga, Like a Dragon: Infinite Wealth, ed è un trionfo.

Sviluppatore / Publisher: Ryu Ga Gotoku Studio / SEGA Prezzo: € 69,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Competitivo/cooperativo locale PEGI: 18 Disponibile su: PS4 / PS5, Steam, Xbox One / Series X

Se dovessi scegliere un solo elemento che mi ha colpito in Like a Dragon: Infinite Wealth, sarebbe la naturalezza con cui la narrazione fa convivere registri differenti, alternando risate e spensieratezza a momenti ben più drammatici, toccando con sapienza temi delicati e coccolando i fan della serie con un pizzico di nostalgia. Se siete tra questi, è probabile che proverete a trattenere maldestramente qualche virile lacrima durante un’avventura coinvolgente come poche; io l’ho terminata impiegando oltre cinquanta ore, gustandomi ogni singolo istante anche grazie al solito, ineccepibile doppiaggio in giapponese.




Merito anche di due protagonisti di prim’ordine: Ichiban Kasuga è il solito duro dal cuore d’oro, oggi dedito ad aiutare gli ex yakuza a reintegrarsi nella società dopo gli sconvolgenti eventi del capitolo precedente. Essere acclamato come l’eroe di Yokohama non gli ha dato alla testa e, anzi, continua a portare avanti una vita modesta con gli amici di sempre, impacciato con la ragazza che gli piace ma pronto a pestare come il più tosto tra i duri quando si tratta di onorare i precetti del suo mentore.

Like a Dragon: Infinite Wealth mette in scena una feroce critica alla società contemporanea a partire dalla cultura tossica di social media e influencer

Kazuma Kiryu, l’altro drago, è invece impegnato a riscrivere il significato del termine “carisma” ogni volta che appare sullo schermo; tenebroso, intelligente ma anche sorprendentemente vulnerabile, Kiryu è una leggenda vivente che completa con la sua freddezza il contagioso entusiasmo di Ichiban, formando una coppia impossibile da non amare. I due si incroceranno alle Hawaii, ognuno con una propria missione…

IL PARADISO DI LIKE A DRAGON: INFINITE WEALTH

Dopo decenni passati a percorrere in lungo e largo località giapponesi più o meno romanzate, la nuova soleggiata mappa hawaiana è una boccata d’aria fresca, con le sue grandi strade e i tramonti rosso fuoco sulla spiaggia, agli antipodi dei tentacolari vicoli baciati da pioggia e neon che scavavano nell’anima stessa di Kamurocho. Non è però tutto oro quello che luccica: Like a Dragon: Infinite Wealth mette in scena una feroce critica alla società contemporanea a partire dalla cultura tossica di social media e influencer, scrivendo una vicenda mai tanto attuale.

Il sistema di combattimento a turni del precedente capitolo è stato in parte riscritto per donare alle risse una buona dose di dinamicità

Sole e palme faranno da sfondo a un paradiso costruito sulla mera apparenza, tanto che in certi momenti cederanno il posto alla vecchia Yokohama, dimostrando che il marciume e gli intrighi non conoscono confini territoriali. Fortunatamente il sistema di combattimento a turni del precedente capitolo è stato in parte riscritto per donare alle risse una buona dose di dinamicità, a partire dalla costante richiesta di input da inserire col giusto tempismo per potenziare gli attacchi speciali o ridurre il danno ricevuto. Il nuovo, grande protagonista è il raggio d’azione con cui muoversi liberamente prima di scegliere cosa combinare in un turno, in modo da avvicinarsi al bersaglio o tentare di colpirlo alle spalle. O ancora per scegliere la traiettoria che lo sventurato compirà dopo essere stato riempito di botte, in modo da spedirlo contro i compagni di squadra e spingerli a innescare attacchi supplementari se sufficientemente affiatati.

Il Segway è quello che ci vuole per spostarsi con stile.

Questo è un aspetto molto importante, uno che dona a Like a Dragon: Infinite Wealth un convincente senso di progressione: lo sviluppo personale di Ichiban è governato da sei parametri che garantiscono bonus strada facendo, e che permetteranno di prendere parte ad attività turistiche con cui sbloccare nuovi lavori una volta raggiunti determinati valori. Qui entra in gioco l’amicizia, giacche l’eccentrico entourage potrà intraprendere determinate professioni solo con il dovuto affiatamento; inoltre le tecniche faticosamente conquistate nei vecchi lavori potranno essere trasferite verso i nuovi, creando moveset personalizzati adatti a ogni evenienza. Conviene dunque ascoltare i compagni e trascorrere un po’ di tempo assieme davanti a un bicchiere, dato che gli amici per la pelle si daranno maggiormente da fare quando arriverà il momento di menare le mani, attaccando indipendentemente al di fuori del loro turno e aiutando il personaggio principale con potenti assalti combinati.

Mai separare Ryu Ga Gotoku dal karaoke.

Per diversificare ulteriormente le cose, ogni personaggio inizia l’avventura perseguendo un lavoro unico e inaccessibile agli altri; quello di Kiryu, ad esempio, permette di alternare a piacimento tre diversi stili di combattimento che influenzano il raggio d’azione, il numero di attacchi per turno, la loro potenza e l’efficacia nei confronti delle parate. Sebbene Ichiban resti indubbiamente il personaggio principale, questa resta comunque la storia di due draghi. Il Drago di Dojima vanta però un sistema di crescita tutto suo, che scoprirete andando avanti. Non voglio rovinarvi la sorpresa, ma sappiate che l’ho trovato azzeccatissimo e perfettamente adatto a un personaggio tanto importante. Tirando le somme ho trovato la sfida meglio studiata rispetto al vecchio Like a Dragon, con minori penalità economiche in caso di sconfitta e privo di fastidiosi picchi di difficoltà; il gioco si prende inoltre la briga di suggerire il livello migliore prima di ogni missione principale, mettendo anzitempo in guardia il giocatore.

VOGLIO PICCHIARLI TUTTI

Like a Dragon: Infinite Wealth è un gioco intelligente che non ama far perdere tempo al giocatore, trasformando la mappa in un alleato utilissimo. Questa evidenzia chiaramente le zone dove iniziare a cementare le amicizie, ma anche le merci di punta dei vari negozi o le tante fermate del taxi, che andranno progressivamente rivelate esplorando i vari quartieri. Spostarsi però non è mai una seccatura, anche perché il gioco sin dalle prime ore mette a disposizione del gruppo un Segway elettrico con tanto di pilota automatico per sfrecciare rapidamente per le strade in cambio di occasionali ricariche.

Like a Dragon: Infinite Wealth presenta indubbiamente il più ricco campionario di passatempi della serie

Anche volendo andare per forza a piedi, ogni angolo è costellato di oggetti più o meno rari da scovare per motivare costantemente l’esplorazione, e gli scontri con i gruppi di nemici più deboli possono essere automaticamente vinti con la pressione di un tasto, creando un comodo metodo per racimolare rapidamente risorse e sviluppare un nuovo mestiere. Le attività secondarie continuano a ricoprire una grandissima importanza al di fuori della trama principale, permettendo al gruppo di potenziarsi e vivere avventure fuori di testa.

Virtua Fighter 3tb è ancora giocabilissimo.

Al netto delle piacevoli storie secondarie che spesso fruttano nuovi Pestamici (l’equivalente delle evocazioni di JRPG un attimo più seriosi) o tecniche impossibili da apprendere altrove, Like a Dragon: Infinite Wealth presenta indubbiamente il più ricco campionario di passatempi della serie, un’affermazione non da poco. Tra le immancabili vecchie glorie SEGA da ingozzare di monetine nei game center figurano SEGA Bass Fishing (un po’ debole senza l’apposito controller, va detto) e Virtua Fighter 3tb, episodio amatissimo dal pubblico giapponese nonché titolo di pregio al lancio dell’indimenticabile Dreamcast.

Personalmente non mi stupirei affatto se tra un mese SEGA decidesse di vendere Dondoko Island da solo, come legittimo spin-off di Yakuza

A completare il terzetto c’è Spikeout, belt scroller invecchiato maluccio ma qui storicamente rilevante, visto che dobbiamo tornare indietro al 2005 per trovare tracce del suo debutto domestico su una piattaforma atipica per il mercato nipponico come la prima Xbox. Lui e Virtua Fighter possono essere giocati liberamente da soli o con avversari in carne e ossa direttamente dalla schermata iniziale, ma se non siete in vena di retrogaming il menu comprende altre opzioni come il ritorno dei famigerati Sujimon. Vedete, Ichiban è cresciuto senza genitori ed è stato amorevolmente allevato dal personale di una soapland, trovando una salubre dose di escapismo nel mondo digitale di Dragon Quest, un avvenimento che lo ha dotato di una ferrea immaginazione. Per questo motivo i cattivi incontrati nel gioco assumono forme grottesche una volta iniziato il combattimento, una trovata che dona al singolare “bestiario” una forte personalità.

L’amicizia porta tanto vantaggi, tra cui potenti attacchi di squadra.

Se nel precedente Like a Dragon questa gentaglia veniva semplicemente catalogata, stavolta i bizzarri avanzi di galera possono essere schierati per combattere in una parodia di Pokémon ancora più dissacrante, con tanto di medaglie e lega da conquistare per detronizzare un misterioso imperatore. Iniziare è facile, visto che un’orda di agguerriti allenatori di Sujimon attende di combattere a ogni angolo: basta sfidarli e due squadre composte da tre adorabili criminali l’una vengono disposti una di fronte all’altra, pronte a darsi battaglia tra attacchi speciali e traiettorie dei colpi da indirizzare al meglio per colpire le altrui debolezze. Se l’idea vi aggrada troverete un passatempo sufficientemente profondo da giustificare la continua ricerca del Sujimon perfetto, da pestare brutalmente e successivamente invitare nel roster con regali e suppliche.

TUTTO DENTRO L’ISOLA DONDOKO

Questo però è nulla confronto all’Isola Dondoko, ennesima parodia di un altro campione d’incassi Nintendo. Durante i primi capitoli Ichiban si troverà suo malgrado spiaggiato su un’isola trasformata in discarica da una banda di facinorosi pirati. Spinto dal solito buon cuore, l’eroico capellone si ingegnerà per riportare l’atollo ai fasti di un tempo, aiutando gli sgangherati proprietari costruendo edifici e suppellettili per trasformare questa pattumiera in un resort turistico a cinque stelle. Si tratta di un’attività pericolosissima, capace di vampirizzare il tempo come niente fosse se non si presta attenzione: si inizia catturando insetti o pesci per mostrare al mondo la biodiversità del posto e in un attimo ci si trasforma in famelici imprenditori, pianificando le aree urbane e le attrazioni per spillare soldi ai visitatori, accogliendoli e incantandoli con attenzioni e souvenir durante il loro soggiorno.

Cosa c’è di meglio di un tramonto in riva al mare?

L’isola gode di una valuta propria e di un sistema di combattimento in tempo reale, e sa dispensare appagamento a ogni progresso con precisione chirurgica: andando avanti verrà annessa una fattoria dove mettere al lavoro i Sujimon che battono la fiacca, automatizzando parzialmente la raccolta di risorse e allenando nel frattempo gli energumeni. Nel frattempo, sulla terraferma, figure più o meno importanti potranno essere importunate per convincerle a visitare l’isola, a patto che il prestigio della struttura soddisfi i loro desideri, instaurando una sinergia tra questo bizzarro manageriale e il resto dell’avventura. Personalmente non mi stupirei affatto se tra un mese SEGA decidesse di vendere Dondoko Island da solo, come legittimo spin-off della serie.

In Breve: Avrà anche perso la console war, ma questa nuova incarnazione di SEGA come publisher è un’inarrestabile forza della natura: Like a Dragon: Infinite Wealth è il seguito perfetto, che corregge le sbavature e i dubbi sorti durante un primo episodio forse fin troppo sperimentale. Un sistema di combattimento incredibilmente appagante incornicia una delle più coinvolgenti vicende scritte dal Ryu Ga Gotoku Studio in un’avventura che si candida come serio contendente al gioco dell’anno, e siamo appena a gennaio.

Piattaforma di Prova: PS5
Com’è, Come Gira: Artisticamente il gioco è pienamente soddisfacente, anche se la natura cross-gen (nel 2024?!) mostra il fianco a un inevitabile riciclo di asset nella familiare Yokohama. Non sono presenti impostazioni grafiche, ma PS5 riesce a mantenere i 60fps bene o male in ogni occasione, con qualche cedimento giocando con la telecamera mentre si viaggia a tutta birra sul Segway. Ma del resto siamo pur sempre turisti, quindi tutto ci è concesso.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/stargate-timekeepers-pc/recensione-2/ Tue, 23 Jan 2024 15:00:22 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268995 Cosa succede quando l’IP di SG-1 si fonde con il gameplay di Commandos: Behind Enemy Lines? Stargate: Timekeepers, RTS a stagioni, è qui per darci una risposta.

Sviluppatore / Publisher: Slitherine Ltd. / Slitherine Ltd. Prezzo: 28,99 euro Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: Assente Disponibile su: PC (Steam)

Corre l’anno 1994 quando Roland Emmerich porta sul grande schermo Stargate, scritto assieme a Dean Devlin e interpretato da Kurt Russel e James Spader. La storia ruota attorno alla scoperta di un dispositivo che funge da portale interdimensionale per viaggiare attraverso lo spazio. Una volta che i nostri eroi lo attraversano, vengono catapultati su un pianeta che in gergo videoludico definiremmo Pharaoh-like, e seguiranno peripezie e love story assortite. Nei piani di Emmerich il film sarebbe dovuto essere il primo di una trilogia, che però non viene mai realizzata. Stargate tuttavia riesce lo stesso a diventare una IP di successo dando vita a un franchise la cui produzione più famosa è la serie televisiva Stargate SG-1, forte di ben sette stagioni più due sequel sotto forma di film direct-to-video.Dal piccolo schermo, la saga si appronta a sbarcare anche sui nostri monitor con il videogame Stargate SG-1: The Alliance, che però non vedrà mai la luce.




Semaforo verde invece per Stargate: Timekeepers, che propone un nuovo cast e una nuova storia nell’universo di SG-1. Al  timone c’è Slitherine, già a proprio agio nel genere sci-fi militare grazie a Starship Troopers: Terran Command. In tutto questo susseguirsi di licenze e inevitabili citazioni, c’è spazio per chi non ha la più pallida idea di quanto narrato finora? Certamente, alla fine si tratta di un real time strategy con visuale isometrica e background fantascientifico, quale miglior occasione per conoscere gli alieni Goa’uld se non prendendoli a calci? Magari con un gameplay Commandos-like?

STARGATE: TIMEKEEPERS, IN MEZZO AI DESPERADOS

Non è passato nemmeno un mese dalla chiusura ufficiale di Mimimi Games, responsabile dei migliori stealth RTS come Shadow Tactics: Blades of the Shogun, Desperados III e il recente Shadow Gambit: The Cursed Crew, e pare ci sia già chi sta provando a raccogliere il testimone passato dalla software house tedesca per scattare nuovamente in mezzo a livelli pieni di nemici che pattugliano anche il più piccolo anfratto, pronti a inquadrarci con il loro maledetto cono visivo per poi dare l’allarme e metterci alle calcagna l’intero esercito. La prima regola di questo genere di gameplay è infatti non farsi scorgere dagli avversari. Più facile a dirsi che a farsi dato che non stanno mai fermi, si guardano le spalle l’un l’altro e presidiano tutti i luoghi di interesse.

Meglio muoversi con molta cautela, questi sono veramente troppi.

Ma gestiamo una squadra di specialisti, non l’Armata Brancaleone, dunque disponiamo di molte frecce nel nostro arco, a partire dalle peculiarità di ciascun membro del team. C’è Eva, esperta di armi automatiche, o Max il cecchino, o ancora Sam l’esperto in tecnologia aliena, più altri che lavorando in sinergia formeranno il party adatto per ogni occasione. Movimenti furtivi, nascondigli, agguati, occultamento di cadaveri e diversivi si susseguono a ritmo serrato nelle ampie mappe brulicanti di pericoli. Eliminare guardie e sentinelle in tempo reale è sicuramente divertente, ma ancor più appagante è la modalità di pianificazione, durante la quale il gioco entra in pausa per permetterci di impostare le azioni di tutti i membri del party, che al nostro via agiranno all’unisono.

AI SAGGIAMENTE TONTA

Come tutti i giochi di questo genere, oltre al level design è determinante una gestione dell’AI che sia sì impegnativa ma che ci lasci anche giocare in santa pace. Un colpo di fucile in un ghiacciaio nella vita reale si sentirebbe a miglia di distanza allertando anche le truppe più distratte, così come la reazione alla scoperta di un commilitone legato come un salame non si limiterebbe a un paio di giri extra di perlustrazione.

Nascosto nel cespuglio sono al sicuro anche dagli sguardi diretti.

Comportamenti troppo realistici renderebbero dunque la progressione impossibile, mentre Stargate: Timekeepers propone il giusto compromesso tra credibilità e giocabilità.Sono anche presenti tre livelli di difficoltà per consentire a chi vuole semplicemente seguire la storia di proseguire senza troppi problemi, o per mettere a dura prova i veterani di questo genere di RTS proponendo una sfida estrema. Ben congegnate le missioni, che prevedono di esplorare in lungo e in largo le mappe, evitando gli scontri quando possibile, e spingendoci a utilizzare l’ambiente stesso come opportunità: una recinzione abbattuta può diventare un ponte per attraversare un crepaccio, e un tronco d’albero fatto rotolare giù per una discesa metterà fuori combattimento anche le guardie più coriacee. Difficilmente si raggiungerà l’uscita prima di una mezz’oretta buona, e un pratico timer ci avvisa da quanto tempo non abbiamo salvato per evitare di dover ripetere tutto daccapo.

STAGIONE UNO, PARTE UNO

Una particolarità di Stargate: Timekeepers è la sua modalità di lancio sul mercato. Il gioco è infatti pensato in stagioni, come se fosse una serie televisiva, al punto che tra una missione e l’altra prima del briefing c’è il famoso recap “nelle puntate precedenti”, però al day one sarà disponibile solamente la prima parte della prima stagione – ovvero del gioco vero e proprio – con la seconda in arrivo in aprile. Non si tratterà di un DLC ma di un download gratuito per chi già in possesso del gioco. Sulle stagioni successive non si sa ancora nulla, ma ricapitolando e utilizzando una terminologia ben nota agli amanti del piccolo schermo, all’inizio avremo la cosiddetta S01E01 mentre tra due o tre mesetti si aggiungerà la S01E02.

Ho legato una guardia, e ora la getto, ancora viva, giù per un dirupo. Poesia.

A questo punto possiamo vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. I mezzopienisti saranno contenti di ricevere a breve un sostanzioso update gratuito, gli altri storceranno un pochino il naso al pensiero di pagare tutto subito per ricevere solo metà prodotto perché come ben sanno Bacco e Arianna, di doman non v’è certezza. Nonostante ogni videogame sia un universo a sé stante, il paragone con gli ultimi prodotti Mimimi è inevitabile, dunque la riposta alla domanda che non dovreste porvi è: no, nonostante sia un ottimo rappresentante del genere, Stargate: Timekeeper non raggiunge le vette toccate dal compianto studio tedesco, ma la strada imboccata è molto promettente e possiamo guardare – anzi dirigere il nostro cono visivo – al futuro con ottimismo.

In Breve: Gli ultimi spiacevoli avvenimenti ci hanno portato a pensare che il genere Commandos-like avrebbe faticato a proporre nuovi giochi di qualità, ma ecco arrivare Stargate: Timekeepers a ribaltare la situazione, riabilitando al contempo la IP di SG-1 che era un po’ finita nel dimenticatoio. Livelli vasti e molto articolati pieni di nemici da evitare, sopraffare o eliminare sfruttando l’ambiente, una AI che sa quando chiudere un occhio e dei personaggi carismatici dotati di abilità esclusive rendono questo gioco un acquisto obbligato per tutti gli amanti degli stealth RTS.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: AMD Ryzen 9 6900HS, 16GB RAM, GeForce RTX 3080, SSD
Com’è, Come Gira: Giocato a 1440p senza problemi, si controlla tranquillamente il party con il mouse e la telecamera con la tastiera senza bisogno di ridefinire nulla.

 

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/tekken-8-pc-ps5-xboseriesxs/tekken-8-recensione/ Tue, 23 Jan 2024 14:39:58 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268983 L’invito all’ottavo King of Iron Fist Tournament è finalmente stato consegnato anche alla redazione di TGM. Non potevamo perderci una festa simile, con TEKKEN 8.

Sviluppatore / Publisher: Bandai Namco / Bandai Namco Prezzo: € 69,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Competitivo locale/online PEGI: 16 Disponibile su: PC (Steam), PlayStation 5, Xbox Series X/S

TEKKEN 8 spacca tutto. Letteralmente: il primo capitolo della nuova modalità Storia, molto appropriatamente chiamata “Il risveglio dell’Oscurità”, si apre con un duello tra Jin e papà Kazuya tale da ridurre in polvere uno scenario liberamente ispirato a Times Square, tra colonne di energia, botte da orbi, palazzi livellati al suolo ed elicotteri sufficientemente sfortunati da capitare nella traiettoria di una furia incontrollabile, inasprita dalla decennale faida che anima la famiglia Mishima.




È una scena ipercinetica che funge un po’ da dichiarazione d’intenti, mostrando i muscoli dell’Unreal Engine 5 tra scorci apocalittici che lasciano spazio al piatto forte, ovvero un duello in tempo reale che mostra di cosa è capace il nuovo motore. I due lottatori sono caratterizzati da una miriade di particolari che esplodono durante zoomate e intermezzi, mentre tutto intorno la devastazione è accompagnata da effetti particellari e detriti vari.

La modalità Quest Arcade è una versione semplificata del bel Quest Mode presente nel vecchio Virtua Fighter 4 Evolution per PS2

Tekken 8 mette subito le carte in tavola offrendo uno spettacolo tale da farci ringraziare che qualcuno, lì dalle parti di Namco, abbia deciso finalmente di tagliare i ponti con la vecchia generazione di console; è tutto bellissimo, specie se si paragona questa cataclismatica narrazione a quella del capitolo precedente, caratterizzata da tediose voci e poco eloquenti illustrazioni. Come si fa, però, a diventare forte come un Mishima? Anche senza buttare a terra grattacieli, chiaro; quello non è strettamente necessario.

IL CAMBIO DI RITMO DI TEKKEN 8

Davanti a una simile, abbacinante bellezza, la pratica accumulata in anni di memoria muscolare inizia a scricchiolare appena i nemici mostrano i frutti del nuovo Heat System, divenendo improvvisamente ossi più duri. È comprensibile, giacché dopo l’introduzione delle Rage Art (per i più smemorati, l’equivalente delle Desperation Move dei picchiaduro SNK, da attivare stavolta con in input universale) in Tekken 7, l’ottavo torneo del Pugno d’Acciaio mette in gioco un indicatore nuovo di zecca, che trova posto sotto quello della vitalità. Premendo contemporaneamente i pulsanti 2 e 3 (o comodamente R1 su PlayStation), il personaggio effettua una volta per round un attacco chiamato Heat Burst e attiva un potenziamento che dura dieci secondi, durante il quale può causare chipping damage sotto forma di danno temporaneo, che l’avversario può annullare contrattaccando.

Anche stavolta gli accessori (per i lottatori e l’avatar) saranno sbloccabili combattendo e mettendo da parte pecunia virtuale.

Non si tratta dell’unica condizione d’innesco, perché questo periodo può essere avviato anche mandando a segno particolari colpi (Heat Engager); in questo secondo caso lo stato di Heat dura di più, e l’attaccante si proietterà rapidamente verso l’avversario per proseguire l’assalto. I vantaggi sono parecchi: a seconda del personaggio, questa nuova condizione migliorerà alcune mosse con proprietà supplementari (Law, ad esempio vede migliorati gli attacchi che sfruttano il nunchaku) o estendendo il numero di colpi, mentre eseguendo nuovamente un Heat Engager si potrà decidere se attivare nuovamente uno scatto con cui applicare pressione, causando però la fine del potenziamento.

Se le Rage Art rappresentavano un semplice meccanismo di recupero, tutto quello che gira attorno all’Heat è una vera e propria rivoluzione trasformativa

Questo avviene anche qualora si decidesse di giocare il tutto per tutto scatenando l’Heat Smash, una potente mossa speciale che causa danno critico. Tutte queste novità influenzano drasticamente Tekken, facendolo diventare un gioco ancora più aggressivo rispetto al passato; se le Rage Art rappresentavano un semplice meccanismo di recupero, tutto quello che gira attorno all’Heat è una vera e propria rivoluzione trasformativa. E qui iniziano i mal di testa: Harada è sempre andato fiero dell’aspetto user friendly della sua creatura, ma aggiungere un tale livello di complessità supplementare a un roster che comprende 32 personaggi (senza contare i DLC già annunciati) rende l’apprendimento dei vari matchup una sfida degna solo dei più determinati. Già era difficile memorizzare le contromisure per fronteggiare un personaggio come Hwoarang prima dell’arrivo dell’Heat, ma ora allenarsi contro moveset tanto versatili e ricchi richiede un aiuto dal cielo. O forse basta solo l’aldilà.

A CACCIA DI FANTASMI

Facciamo un passo indietro: avete giocato Il risveglio dell’Oscurità e l’esaltazione è alle stelle, tuttavia le nuove meccaniche non sono una cosa da sottovalutare e sarebbe meglio fare un po’ di pratica prima di sfidare amici e sconosciuti in giro per il mondo. La modalità Quest arcade è esattamente il passo successivo da compiere, nonché il momento ideale per creare l’avatar che vi rappresenterà nella lobby online. In pratica è una versione semplificata del bel Quest Mode presente nel vecchio Virtua Fighter 4 Evolution per PS2: si passa da un game center all’altro fino alla resa dei conti con il rivale di turno, tra dialoghi e personaggi francamente dimenticabil

iL’intelligenza artificiale usata per dare vita a queste copie digitali è notevole.

La cosa bella sono le lezioni di Max, nostro amico nonché fedele spalla; spuntano appena si mette piede in una nuova sala giochi e chiariscono con esempi interattivi le basi dell’Heat System, ma la vera sorpresa è un’altra. Progredendo infatti verrà svelata una locazione segreta incentrata sulla gestione dei cosiddetti Fantasmi, e lì le cose diventano interessanti. Funziona così: ogni personaggio usato nella modalità Arcade o online apprende progressivamente le tecniche e le abitudini del proprio padrone, migliorando continuamente.

Tekken Ball è un passatempo tutto sommato spensierato, però che gusto quando la sfera colpisce l’avversario in faccia!

Poi viene automaticamente caricato e aggiornato online dopo ogni terzo match disputato, a uso e consumo di tutti. L’intelligenza artificiale usata per dare vita a queste copie digitali è notevole, ho provato più volte a fronteggiare il mio e ho riconosciuto schemi d’attacco e gestione degli spazi, e questo mi ha spinto ad aggiungere varietà un po’ alla volta per metterlo in difficoltà e diventare un po’ più bravo assieme a lui. Andando online, nella lobby, potete avere un assaggio della potenza altrui avvicinandovi all’avatar degli astanti per sfidare i loro Fantasmi, e nulla vi vieta di scaricare quelli dei giocatori più forti (potete farlo accedendo alla classifica, dalla lista amici o dopo un duello) per imparare qualcosa di nuovo. Un vostro amico continua a pestarvi? Sfidate il suo Fantasma per comprendere al meglio i suoi punti di forza. Paul Phoenix vi spaventa con il suo stile impetuoso? Cercate in classifica qualcuno che lo padroneggi per bene e fatevi le ossa contro il suo alter ego digitale, magari scaricandone diverse alternative per allenarvi contro molteplici schemi d’attacco.

Ci sono diversi volti interessanti da incontrare nella modalità Quest Arcade.

Avere una scorta costantemente rifornita di credibili compagni d’allenamento adatti a ogni necessità è una trovata pazzesca, specie considerando quanto credibili possano sembrare una volta saliti sul ring; per comodità, una volta sbloccato, l’accesso a questo speciale game center sarà disponibile direttamente dal menu principale. Visto che sia la modalità Storia che quella Quest godono di una longevità risicata, è qui che passerete la stragrande maggioranza del tempo lontani dai riflettori del gioco online; come piacevole extra avrete modo di sbloccare capi d’abbigliamento e accessori con cui personalizzare i lottatori, tenacemente tenuti in ostaggio dai tanti Fantasmi già compresi nel gioco, amorevolmente modellati dagli sviluppatori.

COSE DA FARE?

Facciamo il punto della situazione: la modalità storia cerca di mettere nuovamente la parola fine agli atavici dissapori dei Mishima, con Jin privo dei poteri demoniaci ai ferri corti contro un Kazuya in grande spolvero, pronto a sovvertire l’ordine mondiale per abbracciare i propri deliri di onnipotenza. Questo apre la strada agli Episodi personaggio, su cui ci hanno chiesto di evitare particolari rivelazioni. Vi basti sapere che equivalgono alle classiche sfide arcade dei vecchi Tekken, con una manciata di scontri dedicati ai singoli lottatori coronati da sequenze finali. Tekken ball è il solito party game spassoso ma alla prova dei fatti privo di profondità, peraltro giocabile solo in locale, mentre l’online presenta tutte le opzioni del caso come partite classificate, libere e del giocatore.

Voglio immortalare il mio ricordo della lobby così, sotto i poster di alcuni miei giochi Namco preferiti.

Ottimi i replay da cercare, scaricare ed esaminare con cura certosina, uno strumento di approfondimento fondamentale che farà la gioia delle varie community che si formeranno attorno al gioco. Molto interessanti i consigli elargiti dal gioco quando vengono riprodotti i replay personali, con l’azione che viene fermata nei momenti critici per segnalare le possibili strategie. La fluidità delle partite effettuato nel breve periodo di prova concesso ci è sembrata molto buona, merito senz’altro di un’esperienza comprovata e dei dati raccolti durante le precedenti beta; anche il cross platform tra PC e PS5 non ha mostrato il fianco a critiche e, a patto di accettare avversari con una connessione dignitosa, non avrete problemi a divertirvi come si deve

Solo tre nuovi combattenti, a nostro parere però molto più riusciti e a fuoco rispetto a mezzi falsi come Gigas o Akuma

Naturalmente la situazione è destinata a diventare rovente e imprevedibile all’uscita del gioco, ma si tratta di uno scenario su cui torneremo in seguito con uno speciale dedicato. La sezione dedicata alla pratica è particolarmente ricca, e comprende un buon numero di combo sufficientemente abbordabili da imparare, assieme a prove con cui allenarsi a punire le mosse più usate dell’avversario di turno; la lista delle tecniche cerca di venire incontro all’iniziale caos – inevitabilmente creato dall’introduzione delle nuove meccaniche – proponendo una selezione di attacchi consigliata assieme a quella completa, ovviamente mai come in questo caso tanto enciclopedica. Come già espresso in sede di anteprima, Tekken 8 mette a disposizione un sistema di controllo alternativo estremamente semplificato e contestuale, richiamabile con la pressione del tasto l1 e in grado di lottare praticamente da solo, generando combinazioni e attacchi ideali a seconda della situazione; è chiaramente studiato per chi si avvicina alla serie per la primissima volta e vuole giocare contro un amico già pratico, ma la sua banalità lo rende una scelta da non considerare in nessun altro caso.

Un personaggio tutto personalizzabile.

La conta dei combattenti presenta al momento solo tre nuovi volti, a nostro parere però molto più riusciti e a fuoco rispetto a mezzi falsi come Gigas o Akuma, quest’ultimo vero catalizzatore dell’odio in un roster, quello di Tekken 7, considerato divisivo sin dai primi giorni. Probabilmente Victor Chevalier sarà particolarmente popolare grazie ai suoi gadget da super spia con katana hi-tech e postura da iaido in dotazione, ma l’agilità della peruviana Azucena (con tanto di schivata automatica abbinata a particolari stance) e la versatilità della misteriosa Reina sapranno sicuramente conquistare quella fetta di pubblico desideroso di staccarsi dai personaggi classici. Per loro, l’Unreal Engine 5 porta in dote un character design particolarmente convincente, al netto di alcune proporzioni un filo troppo “nerborute”, vedi la massiccia armatura di Lars o i volti di Jin e Steve. Benissimo per i vestiti che si sporcano e perdono smalto durante lo scontro, mentre l’hardware di nuova generazione garantisce anche su console tempi di caricamento estremamente rapidi.

In Breve: Tekken 8 è l’ennesimo, grande capitolo di una serie incapace di compiere passi falsi. Le nuove meccaniche cambiano pelle al gioco e, sebbene gli storici detrattori non troveranno particolari ragioni per cambiare idea (il famoso “simulatore di pallavolo” per l’enfasi posta sulle juggle), tutti gli altri troveranno un gioco incredibilmente profondo, che li accompagnerà per diversi anni a venire. Chissà, magari grazie ai Fantasmi anche chi è completamente refrattario al gioco online troverà il coraggio di fare i primi passi in un nuovo mondo.

Piattaforma di Prova: PS5
Com’è, Come Gira: Il primo picchiaduro a usare l’Unreal Engine 5 è una vera delizia, splendido da vedere e fluidissimo da giocare. I tempi di caricamento di Tekken 7 sono fortunatamente solo un brutto ricordo.

 

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/apollo-justice-ace-attorney-trilogy/apollo-justice-ace-attorney-trilogy-recensione/ Mon, 22 Jan 2024 15:01:36 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268944 La seconda trilogia dell’iconica visual novel Capcom, Apollo Justice: Ace Attorney Trilogy, torna in un’unica collection di grande valore ludo-narrativo.

Sviluppatore / Publisher: Capcom / Capcom Prezzo: 49,99€ Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: 12 Disponibile su: PlayStation 5, PlayStation 4, Nintendo Switch, Xbox Series X|S, Xbox One Data d’uscita: 25 gennaio 2024

Si sa, quando si scrivono le anteprime bisogna essere sempre un po’ vaghi, è il gioco delle parti, ma insomma, sulla qualità di questa Apollo Justice: Ace Attorney Trilogy non potevo avere chissà quali dubbi, avendo giocato e adorato tutti e tre i titoli all’epoca delle uscite originali. Questo perché è una trilogia che non si limita a riproporre la struttura dei primi titoli ma, approfittando di un cambio al timone che avrebbe anche potuto essere traumatico, ha trovato nuovi stimoli e argomenti per evolversi e maturare.




Shu Takumi, un po’ il John Grisham della visual novel giapponese, storico scrittore e director della prima trilogia e di Apollo Justice: Ace Attorney, il primo titolo della seconda, impegnato nello sviluppo del cross-over Professor Layton vs Phoenix Wright, lascia la serie in mano al trio Yamazaki-Nakamura-Fukada e la serie, con Dual Destinies, cambia definitivamente passo. Uscendo (non del tutto, chiaramente) dalla dimensione parodistica del legal thriller, mantenendo sempre toni scanzonati e squisitamente comedy, il secondo capitolo di questa trilogia comincia a fare paralleli più mirati con la realtà, affrontando i problemi del sistema giudiziario giapponese e imbastendo una vicenda complessa, che racconta di errori giudiziari, innocenti condannati, attentati e intrighi internazionali.

L’ERA OSCURA DELLA GIUSTIZIA

Un capitolo fortemente legato al precedente, che a sua volta inizia in maniera scioccante, con l’eroe della serie, Phoenix Wright, alla sbarra, caduto in disgrazia anni prima, dopo essere stato accusato di aver fabbricato prove false per scagionare un cliente (altro argomento centrale della trilogia) e ora accusato di omicidio. Il coinvolgimento è immediato, c’è poco da fare. Dal mio punto di vista questa collezione va in crescendo, laddove Apollo Justice: Ace Attorney ha il ruolo di collante tra i capitoli precedenti (che trovate comodamente nella Phoenix Wright: Ace Attorney Triogy, uscita qualche anno fa) e i successivi, rimanendo molto interessante di fondo ma forse meno riuscito come amalgama e personaggi (per quelli che sono gli standard altissimi di Takumi), mentre Dual Destinies e, soprattutto, Spirit of Justice stupiscono positivamente. L’ultimo capitolo è un inno alla figura dell’avvocato, all’importanza del diritto alla difesa, elemento fondamentale di una giustizia che possa ritenersi tale.

Ormai un personaggio iconico.

Lo fa ambientando la vicenda nel fittizio stato asiatico del Khura’in, dove la figura del difensore è stata distorta a tal punto da diventare sinonimo di  “complice”, “quelli che aiutano i criminali a farla franca”, portando alla scomparsa della professione dopo l’applicazione di una legge brutale che prevede, in caso di condanna, la stessa pena a imputato e avvocato. Che la figura dell’avvocato sia, a livello populista, vista proprio così, non è certo una novità, e il titolo indaga proprio le cause di questo sentire comune, inserendo il tema in un contesto di tumulti politici (tra rivoluzionari e governo teocratico che guida il paese), e ragionando sul ruolo della religione nella giustizia. Il capitolo più suggestivo e mistico, dove le aule dei tribunali profumano di incenso e i destini degli imputati sono decisi dalle visioni della sacerdotessa Rayfa Padma Khura’in.

Non si va mai sotto ritmo, le fasi di investigazione e processo sono alternate con sapienza, i casi sempre intriganti e le novità di gameplay lo rendono ancora più “action visual novel” che in passato

Per scelta personale voglio scendere poco nel dettaglio, perché ci sono talmente tanti intrecci, colpi di scena e momenti intensi, costruiti giocando con la suspence e l’ironia, che viverli conoscendo il meno possibile è proprio parte dell’esperienza; ma vi dico che la qualità della scrittura è mediamente altissima, rapportata anche alla durata dei giochi (per tutta la Trilogy mettete in conto 100 ore abbondanti, vista anche la presenza di 2 capitoli extra usciti originariamente come DLC, uno ciascuno per Dual Destinies e Spirit of Justice). Non si va mai sotto ritmo, le fasi di investigazione e processo sono alternate con sapienza, i casi sempre intriganti e le novità di gameplay lo rendono ancora più “action visual novel” che in passato. Gli scontri coi procuratori (da sempre star della serie), vere e proprie incarnazioni dei temi affrontati nei rispettivi titoli, sono intensi picchiaduro dialettici, botta e risposta, frecciate, prove e controprove, campi e controcampi gestiti da una regia che rincorre le parole come se il tribunale fosse un campo da tennis. Klavier Gavin, procuratore-rockstar che lavora in aula quasi come hobby, egocentrico e amato dalle folle. Simon Blackquill, personaggio funereo, tagliente come una katana, riabilitato alla professione nonostante la condanna a morte che pende sopra la sua testa.

Il potere di Apollo fa molto “The Mentalist”.

Nahyuta Sahdmadhi, ragazzo prodigio, colto, serafico, meditativo, dal passato misterioso, legato a doppio filo alle vicende della sua nazione, passate e presenti. Gavin a parte, che è forse il procuratore meno riuscito della serie, gli altri due sono personaggi splendidi, scritti in modo tridimensionale, integrati perfettamente nel racconto, con una personalità e un ruolo nelle vicende che si svela gradualmente, facendoceli ora odiare, ora amare e rispettare.

VISUAL NOVEL GAMEPLAY-CENTRICHE, ECCO APOLLO: JUSTICE TRILOGY

Un altro cambiamento consistente, rispetto alla prima trilogia, è la percepibile quantità di gameplay in più che intervalla le abbondanti fasi di lettura. L’abilità di Apollo di percepire i tic dei testimoni, innervositi e a disagio, aggiunge ai confronti uno strato psicologico che verrà poi approfondito in Dual Destinies. Grazie alla presenza della collega Athena Cykes, specializzata in psicologia analitica, e del suo Mood Matrix, una sorta di IA particolarmente evoluta, saremo capaci di rilevare particolari inflessioni nella voce degli imputati e, quindi, dare la possibilità alla stessa di mettere a confronto testimonianze e relative emozioni, cercando di far emergere contraddizioni. Ancora più intrigante è però l’analisi degli ultimi attimi di vita di un defunto, nelle divinazioni di Rayfa in Spirit of Justice. Momenti forti, vissuti in prima persona, da rivivere più volte per scovare dettagli, incongruenze, facendo attenzione anche a suoni e odori che compaiono in sovrimpressione. Grande idea ed esecuzione.

Mentre il potere di Athena fa un po’ “Minority Report” ma in piccolo.

Questi nuovi elementi si vanno a incastonare perfettamente nel classico gameplay della serie, fatto di indagini, deduzioni, contro-interrogatori e colpi di genio che possono ribaltare un processo che sembra già deciso. Ogni caso è diverso dal precedente e si ha sempre la sensazione di essere protagonisti delle vicende, con l’interazione che diventa parte fondamentale del racconto e tiene il giocatore/lettore sempre sulla corda, mai passivo. È anche per questo che i titoli scorrono che è un piacere, fluidificati anche dalla possibilità di abilitare la modalità Storia con la semplice pressione di un tasto, lasciando che il software prenda il controllo, a nostra discrezione e in modo immediato, lasciandogli risolvere gli enigmi più complessi.

Questi nuovi elementi si vanno a incastonare perfettamente nel classico gameplay della serie, fatto di indagini, deduzioni, contro-interrogatori e colpi di genio che possono ribaltare un processo che sembra già deciso

Che si sa, spesso si arriva a sera col 20% delle capacità cerebrali normali. Ad aumentare il coinvolgimento ci pensa poi il restyling generale dei 3 giochi, con Apollo Justice: Ace Attorney che, essendo uscito originariamente su Nintendo DS, beneficia dello stesso stile utilizzato nella Phoenix Wright: Ace Attorney Trilogy, mentre gli altri due, che già giravano su un motore 3D su Nintendo 3DS, sono stati riproposti con risoluzione aumentata e fanno davvero una bella figura. Molto “anime”, coloratissimi, dettagliati ed estremamente appaganti alla vista.

Rivivere l’angoscia delle vittime di morte violenta, in prima persona, fa un certo effetto.

Chiude l’offerta tutta la consistente sezione extra. L’Orchestra Hall parla da sé ed è il luogo dove ascoltare in relax l’imponente colonna sonora della trilogia, riarrangiata e più bella che mai. L’Art Library è invece il posto dove spulciare tutto il materiale artistico che ha preceduto la realizzazione dei titoli, il charachter design, gli sfondi, le illustrazioni e anche i filmati in-game da riguardare a piacere. L’Animation Studio è sicuramente la sezione più bizzarra invece e dà la possibilità, appunto, di pasticciare con le animazioni dei vari personaggi, rivederle, apprezzarle, scegliendo poi il look preferito e l’ambientazione: carino!

In Breve: Alla fine che dire di questa trilogia? È stato sicuramente fatto un ottimo lavoro di riproposizione, i giochi sono belli da vedere e da ascoltare, mentre il materiale originale, quello legato alla scrittura e al gameplay, è ancora quello di altissimo livello che era all’epoca, ovviamente. Certo, probabilmente Apollo Justice: Ace Attorney è il capitolo meno riuscito della saga (ma comunque buonissimo e con dei momenti indimenticabili) e, in generale, la trilogia di Phoenix Wright è probabilmente più memorabile, scritta da uno Shu Takumi in stato di grazia. Dual Destinies e Spirit of Justice, però, rimangono due capitoli splendidi, capaci di trattare temi rilevanti, con leggerezza ma idee molto chiare, costruendo al contempo vicende articolate, tentacolari e misteriose, aggiungendo elementi di gameplay vincenti alla già consolidata formula della serie. Un cast adorabile a cui è impossibile non voler bene, un sacco di extra (DLC compresi) e una quality of life stra-migliorata sono ulteriori punti a favore per questa seconda Trilogy, dedicata soprattutto a chi sta scoprendo la serie in questi anni, ma consigliata anche a chi vuole rivivere queste vicende dopo tanto tempo. Nessuna obiezione, vostro onore!

Piattaforma di Gioco: PlayStation 5
Com’è, come gira: Giocato su PlayStation 5, riempie lo schermo coi suoi colori vibranti, sembra quasi di vedere un anime giudiziario!

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/another-code-recollection-nintendo-switch/another-code-last-recollection-recensione/ Thu, 18 Jan 2024 11:46:27 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268839 Bentornati nell’epoca d’oro delle avventure grafiche per console, che in Giappone spesso facevano rima con Cing. I due Another Code arrivano in un colpo solo su Nintendo Switch completamente rivisti dal punto di vista grafico, corredati da un’atmosfera ricca di misteri e un gameplay opportunamente modernizzato.

Sviluppatore / Publisher: Nintendo/Ark System Works / Nintendo Prezzo: € 59,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: +12 Disponibile su: Nintendo Switch Data d’uscita: 19 gennaio 2024

Quando lo scorso settembre, durante uno dei suoi Direct, Nintendo annunciò l’arrivo su Switch di Another Code: Recollection, una piccola parte degli spettatori dell’evento si lasciarono andare a un breve grido di giubilo. Erano coloro che a suo tempo, tra il 2005 e il 2009, giocarono e goderono dei due capitoli di questa mini-serie usciti rispettivamente su DS e Wii.




In cabina di regia c’era l’ormai defunta Cing, compagnia giapponese specializzata in avventure grafiche che rivive in questa mini-raccolta che anche a distanza di così tanto tempo mantiene intatto buona parte del proprio fascino. Protagonista di entrambe le storie è Ashley Mizuki Robins, ragazza dall’animo gentile e il cervello sveglio alla disperata ricerca di indizi che la portino a scoprire che fine hanno fatto i suoi genitori, creduti morti. Nel primo gioco, Another Code: Two Memories, Ashley ha 13 anni e dopo aver ricevuto un misterioso pacchetto contenente una lettera del padre e un misterioso aggeggio elettronico, si reca insieme alla zia Jessica nel luogo in cui si erano perse le ultime tracce del genitore: una maestosa villa sull’isola Blood Edwards.

LETTERE MISTERIOSE

Poco dopo essere sbarcate, anche Jessica fa perdere le proprie tracce ma le cose iniziano a farsi davvero strane solo quando Ashley viene in contatto con una presenza eterea, il fantasma di un giovane che afferma di vagare sull’isola da oltre 50 anni alla ricerca di qualcuno che lo aiuti a ricordare. I due alleano le forze per far luce sui rispettivi passati e la vera avventura ha inizio.

Pur essendo mutuato da un gioco più recente, il capitolo per Wii, anche il restauro estetico fatto sulla della seconda avventura è più che apprezzabile.

Nel sequel arrivato su Wii quattro anni dopo, intitolato Another Code: R – Viaggio al Confine della Memoria, ritroviamo una Ashley 16enne, che si appresta a vivere una vicenda molto simile alla precedente, ancora una volta legata a una lettera sul cui contenuto glissiamo per non rovinarvi parte delle sorprese anche del primo gioco.

CLASSICO RIVISTO MA NON TROPPO

Ark System Works, nuova casa di molti ex-sviluppatori Cing, si è occupata di entrambe le riedizioni. La prima in particolare ha richiesto un lavoro non da poco sotto il profilo grafico (anche se si poteva fare sicuramente di più per quanto riguarda le ambientazioni, un po’ scarne e poco definite) ma anche dal punto di vista del sistema di controllo, in fondo stiamo parlando di un titolo bidimensionale con funzionalità affidate ad un pennino che si è trasformato in un gioco 3D con controllo diretto del personaggio. Il risultato finale è più che soddisfacente: Ashley e i suoi compagni d’avventura brillano sullo schermo forti di un look più ricco e nuove espressività, le ambientazioni che incorniciano Blood Edwards Island sono ora totalmente tridimensionali e impreziosite da un’effettistica al passo con i tempi… almeno per gli standard Switch.

Il primo Another Code ha richiesto un lavoro non da poco sotto il profilo grafico ma anche dal punto di vista del sistema di controllo

Completamente rinnovato, ovviamente, anche il sistema di controllo visto che ora l’inquadratura non è più “a volo di uccello” ma posizionata dietro le spalle della protagonista, che negli spazi più angusti sparisce per evitare problemi alle telecamere, per poi riapparire subito dopo e consentire anche una rotazione a 360° dell’inquadratura.

La fotocamera del DAS può essere utilizzata per fermare dei ricordi, per scovare indizi ma anche come aiuto per risolvere enigmi.

Quest’ultimo elemento è fondamentale in quanto la progressione dell’avventura è legato quasi totalmente alla risoluzione di puzzle che spesso e volentieri si fanno ambientali e richiedono quindi l’attenta osservazione degli ambienti circostanti e di qualsiasi oggetto con cui si possa interagire. Il sistema di controllo sfrutta il sensore di movimento della console Nintendo (una feature ormai dimenticata dalla maggior parte degli sviluppatori) per l’utilizzo della fotocamera in-game e anche la risoluzione di alcuni enigmi. Stranamente invece lo schermo touch della console non è stato fondamentalmente implementato, una scelta a cui non riusciamo a trovare una spiegazione logica visto che avrebbe aiutato non poco la fruibilità di alcune parti del gioco. Detto questo, anche con il controllo classico tramite pulsanti l’avventura anzi, le avventure sono perfettamente godibili e mantengono ancora quel piacevole alone di mistero che ce le aveva fatte apprezzare all’epoca.

FATEVI CONVINCERE

Non esistono livelli di difficoltà nei due Another Code e a dirla tutta portarli a termine non è un’impresa titanica, ma per i neofiti del genere il team di sviluppo ha inserito un sistema di indizi non invadente ma utile a procedere nella storia senza troppi patemi. Si può attivare e disattivare in qualsiasi momento tramite la pressione di un tasto e consiste fondamentalmente in un’indicatore a schermo che suggerisce la direzione da prendere e gli oggetti con cui interagire per proseguire.

Stranamente lo schermo touch del Nintendo Switch non è stato sfruttato, una scelta a cui non riusciamo a trovare una spiegazione logica

Anche se avete un’esperienza limitata con questo genere di giochi vi sconsigliamo di usarlo perché oltre a ridurre notevolmente la longevità complessiva (che si aggira sulle 6/8 ore per il primo gioco e quasi il doppio per il secondo) constribuisce a dissolvere quasi totalmente l’immersione nelle vicende di Ashley, anche perché gli enigmi che vi troverete di fronte quasi mai sono fuori contesto o totalmente astrusi.

Il dispositivo DAS che il padre invia ad Ashley è stato cambiato. Nell’originale assomigliava ad un Nintendo DS e ora… provate a indovinare?

Difetti veri e propri i due Another Code non ne hanno, hanno però un ritmo piuttosto lento, con trame che si svelano con consumata lentezza e questo potrebbe tenere lontano il pubblico più giovane, notoriamente sempre alla ricerca di fruizioni veloci e dinamiche. Non abbiamo dubbi che i fan storici di Cing e delle vecchie avventure grafiche acquisteranno questa Another Code Recollection, ma anche a tutti gli altri consigliamo di farci più di un pensiero perché verranno ricompensati con due giochi dall’atmosfera avvolgente… magari un possibile successo potrebbe anche convincere Nintendo a riportare in vita altri due capolavori dell’epoca Nintendo DS: Hotel Dusk: Room 215 e Last Window: The Secret of Cape West.

In Breve: Nella prima decade degli anni 2000 “Cing” era sinonimo di avventure grafiche ricche di atmosfera e straordinarie idee di gameplay. Due di quelle avventure arrivano ora su Switch con un deciso e obbligatorio restyling grafico e un gameplay modernizzato. Ritmo lento, tanta atmosfera e trame intriganti sono punti di forza di due produzioni che hanno mantenuto (quasi) intatto il loro fascino.

Piattaforma di Prova: Nintendo Switch
Com’è, come gira: Anche in questo caso vale il discorso fatto per la maggior parte dei giochi first/second party usciti su Switch, che non presentano particolari criticità. Il restyling grafico dei giochi è ottimo e anche “sparati” su un pannello di grandi dimensioni i due giochi fanno la loro discreta figura. Nessun bug o glitch incontrato nel corso del test, giusto un paio di “incagli” della protagonista in zone particolarmente anguste, risolti però senza troppi patemi.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/the-cub/the-cub-recensione/ Wed, 17 Jan 2024 15:59:13 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268792 The Cub è un platform vecchio stile che va ad arricchire l’universo narrativo di Demagog Studio, pur avendo qualche difetto e complessivamente meno mordente dei precedenti titoli del team.

Sviluppatore / Publisher: Demagog Studio / Untold Tales Prezzo: € 14,99 Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: +12 Disponibile su: PC (Steam), PS4, PS5, Xbox One, Xbox Series X|S, Switch

Tutto è politica, l’arte è politica, i videogiochi sono politici. Se volete la politica fuori dai videogiochi, The Cub non fa per voi, questo team di sviluppo non fa per voi. Se invece state ancora leggendo, parliamo prima un po’ di Demagog Studio. Sul loro sito c’è scritto “creiamo contenuti digitali per una generazione che vivrà per assistere alla fine dei tempi”. La prima cosa realizzata da questo team serbo – ma localizzato nell’antropocene – è stato un gioco di golf per cellulari che racconta un pianeta Terra distrutto dal riscaldamento climatico e un’umanità in fuga su Marte. Quel gioco si chiamava Golf Club Wasteland, ci ho giocato nel 2021 quando arrivò su Switch, e adesso si chiama Golf Club Nostalgia – per problemi legali.




Cosa c’entra questo con The Cub? Potremmo in pratica definire quest’ultimo un pre-sequel ambientato nello stesso setting con gli stessi protagonisti, circa. L’obiettivo di Demagog Studio in questi anni è stato più quello di costruire un universo narrativo complesso e articolato, capace di veicolare un messaggio, anziché concentrarsi sulla cura degli aspetti ludici. Un immaginario in cui gli esseri umani sono riusciti a portare la Terra al collasso, allo scioglimento totale dei ghiacciai, all’invivibilità definitiva del pianeta. E nonostante questo i ricchi e potenti ne sono usciti comunque relativamente tranquilli, fuggendo a vivere una vita (triste) su Marte.

The Cub ci riporta in alcuni luoghi già visitati in Golf Club Nostalgia, ed è un piacere ritrovarli con questo look rinnovato.

Al tempo stesso il team di Belgrado guidato da Igor Simić, Stepko e Shane Berry ha lavorato per definire una propria identità artistica e sonora. Il filo conduttore potremmo identificarlo facilmente in quella Radio Nostalgia From Mars che accomuna Golf Club e The Cub.

Una Terra al collasso, ghiacciai sciolti, pianeta tossico. E nonostante questo i ricchii ne sono usciti relativamente tranquilli, fuggendo a vivere una vita (triste) su Marte

Tuttavia ampliando il discorso è evidente l’importanza che hanno voluto dare alla radio come accompagnamento in generale, tanto da inserirla come elemento ricorrente anche in Highwater – titolo mobile del 2023 ambientato nello stesso universo prima degli eventi che hanno portato i sopravvissuti su Marte – per quanto sia una stazione diversa con una funzione narrativa diversa. Il lavoro di narrazione ambientale non si ferma però alla radio, ma si articola anche nei vari collezionabili sparsi in giro che contribuiscono al racconto come tessere di un mosaico, cifra stilistica dello studio.

THE CUB: PLATFORM ALL’ANTICA

The Cub ludicamente parlando è un platform vecchio stile, puro e semplice, come un vecchio Tarzan per PlayStation 1 o un Donkey Kong Country. Strutturato in livelli sequenziali che ci mettono nei panni di questo cucciolo che dà il titolo al gioco, bambino mutante sopravvissuto alla “fine del mondo”, sorprendentemente in grado di resistere alle radiazioni e alle esalazioni tossiche che il pianeta adesso emana. Cresciuto dai lupi, questo bambino si aggira selvaggio per le wasteland, e incontra alcune spedizioni di marziani che, come appunto in Golf Club, tornano sulla terra per giocare a golf.

Il bambino per buona parte del gioco è in fuga da questi marziani che tentano di catturarlo, e il suo atteggiamento al riguardo è abbastanza irriverente.

Da qui prendono il via una serie di eventi che vedranno il piccolo braccato, prima per effettuare esperimenti scientifici sulla sua incredibile resistenza, poi forse anche per cancellare le tracce della sua stessa esistenza, in qualche modo inammissibile per gli invidiosi marziani costretti a bere il proprio piscio e vivere sempre chiusi nelle loro bocce di vetro. The Cub ci porta di livello in livello a esplorare varie zone della terra in rovina, alternando a volte le acrobazie e i salti mortali a delle fasi stealth in cui evitare di farsi scoprire dai marziani, e ad altre di vera e propria fuga.

Un pianeta ormai prosciugato.

Il tutto è accompagnato dal ritorno di Radio Nostalgia From Mars, questa stazione radiofonica che arriva direttamente da Marte e che il nostro protagonista può sentire dopo aver rubato il casco spaziale dal cadavere di un marziano. Cosa che tra l’altro gli permetterà, a suo dire, di imparare la lingua che parlano questi invasori, per lui che è cresciuto selvaggiamente. Anche in questo caso lo speaker alterna pezzi di vario genere a piccoli discorsi sulla vita sul pianeta rosso, che dissimula con fittizia tranquillità nel maldestro tentativo di convincere i suoi ascoltatori della bellezza di questa nuova vita. Maldestro perché, come testimoniano anche in questo The Cub le interviste che ogni tanto vengono mandate in onda dallo stesso DJ, si tratta davvero di una vita di nostalgia della semplicità e della purezza di quella precedente, sulla terra.

PASSI INDIETRO E PASSI AVANTI

Bisogna ammettere che il lavoro fatto su Golf Club per quanto riguarda la radio era effettivamente superiore, sia nella scelta dei pezzi musicali – più variegati – sia nel numero e nella qualità delle interviste, che in The Cub non raggiungono quella profondità a tratti toccante del titolo precedente. In ogni caso dove non riesce ad arrivare la narrazione “sonora” il gioco compensa con una maggiore cura nei dettagli ambientali, e utilizza libri, giornali, messaggi e trasmissioni televisive che troviamo in giro per arricchire e approfondire il mondo. Non mancano anche qui una serie di rimandi al capitalismo che ha portato alla rovina il pianeta fittizio come sta portando alla rovina il nostro reale, con strizzate d’occhio a Jeff Bozo, a Fakebook, a Goopgle eccetera.

La techno ritorna anche in questo The Cub, con il pezzo iconico “Repetition” che qui viene… Ripetuto.

Va sottolineato anche che The Cub purtroppo sbaglia in modo evidente il posizionamento dei checkpoint molto spesso, nel tentativo di aumentare la difficoltà. Soprattutto avvicinandosi al finale alcuni di questi sono risultati davvero frustranti nel voler essere punitivi. Da segnalare anche alcuni piccoli bug audio e dei sottotitoli, che portavano in alcuni casi l’accompagnamento musicale a spegnersi del tutto o i sottotitoli stessi a scomparire, cosa piuttosto fastidiosa essendo un gioco che basa molta della sua narrativa sull’audio.

The Cub è un buon platform, un passo avanti sul piano ludico e un passo di lato nel continuare ad arricchire il mondo narrativo disastrato di Demagog Studio

Complessivamente The Cub è un buon platform, un passo avanti sul piano ludico per Demagog Studio e un passo di lato nel continuare ad arricchire sia questo mondo narrativo disastrato, sia il loro stile artistico. Un’esperienza complementare sia al precedente Golf Club Nostalgia sia a Highwater, che porta avanti ulteriormente un discorso politico ambientalista, ricordandoci che abbiamo un solo pianeta e che lo stiamo distruggendo. A tutto questo aggiunge anche un messaggio anticolonialista, di riappropriazione della natura nonostante tutto, di vita che trova la strada anche attraverso strati di cemento e radiazioni, e che non ci sta a lasciarsi intrappolare dal ritorno di egoisti invasori esterni.

In Breve: The Cub è un bel gioco, un buon platform complessivamente, che si lascia giocare per quelle cinque o sei ore che dura con piacere pur rappresentando una sfida non esattamente banale. Le ispirazioni dal passato si vedono, e si vede pure la voglia di raccontare in modo originale del team serbo, seppure ci sia ancora da fare nel processo di rifinitura del comparto strettamente ludico. Qualche inciampo, tra bug e checkpoint mal distribuiti, e complessivamente una narrazione meno impattante del precedente Golf Club Nostalgia rendono The Cub leggermente meno memorabile di quanto ci saremmo aspettati, pur essendo comunque un’esperienza validissima.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: Intel Core I710850H, 32 GB di RAM, NVIDIA Quadro T2000, SSD
Com’è, Come Gira: Sul notebook non da gaming su cui abbiamo giocato il gioco girava quasi stabilmente a 60fps e 4k, con dei cali sporadici attorno ai 45-50 fps.

 

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/bluethroot/bluethroot-recensione/ Wed, 17 Jan 2024 11:50:55 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268782 Bluethroot, sviluppato da Fortuna Imperatore (Axel Fox), è il racconto struggente della Generazione Z per la generazione passata ma anche, e soprattutto, per quella futura. In collaborazione con Francesca Balestri, Daniele Sichetti, Andrea Fusti e Argomedia.

Sviluppatore/Publisher: Axel Fox / Argomedia Prezzo: 6.89 euro Localizzazione: Presente Multiplayer: Assente PEGI: ND Disponibile su: PC Data d’uscita: Già disponibile

Vivere è sempre più dura, in questo momento storico. Lo è per chiunque, al momento, è costretto sopportare i macigni della storia e le loro conseguenze, sfilacciato e disilluso, provato e stanco. È un mondo complesso, quello là fuori, e nessuno si ferma un momento, nessuno ha voglia di ascoltare, sentire cosa dice l’altro, o dare la dovuta attenzione, all’altro. Quindi si vive con la costante sensazione di essere all’interno di una sorta di grande e immensa ruota che non porta da nessuna parte, se non al punto iniziale, lo stesso da cui si cerca di scappare per vivere nuovamente.




Il racconto di Bluethroot, a opera dell’autrice di Freud’s Bones, suona tonante con la più complessa sinfonia di Beethoven. Allo stesso modo, però, c’è una riflessione, che non sono riuscito a levarmi di dosso quando ho concluso l’opera, ora disponibile su PC (Steam), e per trovarci un senso sono costretto a citare Il Grande Gatsby: “Gatsby credeva nella luce verde, nel futuro orgastico che anno dopo anno si ritira davanti a noi. Ieri c’è sfuggito, ma non importa: domani correremo più forte, allungheremo di più le braccia. Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”.

Una storia che parla della nostra generazione

La storia di Andrea, protagonista di Bluethroot, potrebbe essere la tua, la mia o di chiunque altro, in questo momento, prova sensazioni del genere. Tenta di correre ma non riesce a stare al passo, poiché è ferito nell’animo, specie a causa della noncuranza della società e del mondo che si ritrova a vivere, prosciugato dal valore dell’empatia, ma soprattutto del buono, quello reale, quello che può fare del bene. In questa nuova opera dedicata alle scuole, ma anche un po’ alla nostra generazione e alla generazione Z, si scopre qualcosa di più su cosa rimane e, soprattutto, su cosa può essere utile agli altri. Ma meglio andare con ordine.

LE TEMATICHE DI BLUETHROOT

Andrea si trasferisce a Foggia, in Puglia. Non è affatto contento, come non lo sarebbe qualcuno costretto a lasciare la propria terra per ricominciare da qualche altra parte. Una nuova scuola, altri compagni di classe e sì, pure i classici patemi che non mancano mai agli adolescenti di oggi. La trama di Bluethroot, in tal senso, spinge a domandarsi esattamente cosa provano quei ragazzi che si sentono in questo turbinio di sensazioni ed emozioni che, a volte, non riescono completamente ad assorbire e a riconoscere.

L’importanza di riconoscere i comportamenti è fondamentale: Bluethroot è un ottimo insegnante

Parlo da fratello maggiore, eppure da interessato, considerando che faccio parte della Generazione Z: i ragazzi vanno ascoltati, supportati e agevolati nel percorso che intendono seguire. La società italiana, per un motivo o per l’altro, è terribilmente opprimente. Bluethroot ha l’obiettivo, però, di essere un videogioco formativo quanto, comunque, di dare un concreto valore alla forma dell’arte più che al mercato in sé. Lo si comprende dalle sue tematiche, che preferisco non raccontare apertamente, rischiando così di vanificare il messaggio finale della produzione: c’è il bullismo, c’è l’autolesionismo, c’è il maschilismo e l’insicurezza. L’obiettivo del gioco, in tal senso, è aiutare quegli stessi ragazzi che, per un motivo o per l’altro, si ritrovano esattamente nella stessa situazione di Andrea.

Al tempo adoravo ascoltare i Blink 182.

Sarebbe semplicistico dire che tutti, nel bene o nel male, ci ritroviamo sulla stessa barca. Bluethroot, però, lo sottolinea costantemente, urlando digitalmente cosa intende manifestare: a furia di ignorare, talvolta, qualcuno si perde e non torna più; che, se finisce male, davvero male, niente è facilmente risolvibile. E in Bluethroot questo è raccontato in modo particolareggiato e profondo, leggero e tagliente, dando modo al giocatore di vivere una situazione intricata e complessa mentre si domanda sulla propria esistenza. È un valore psicologico e terapeutico importante riconoscere di avere delle difficoltà, specie quando è necessario interfacciarsi con la realtà e capire che no, a volte è necessario quell’aiuto in più. Un aiuto che Andrea è ben felice di dare. Lo fa casualmente? E se lo fa, a che pro? No, lo fa perché si riconosce nelle parole di Pink: “La gentilezza è ribellione”. Poi, lo ammetto, il videogioco ha lasciato anche spazio alle risate: vedere la foto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un videogioco vale tutta l’esistenza umana.

UNA SEMPLICE AVVENTURA NARRATIVA

Bluethroot è un’avventura grafica come se ne potrebbero provare tante nel mercato, per cui non inventa la ruota, ma non è questo il suo scopo. È un punta e clicca in cui si evidenziano oggetti, scegliendo come interagire con questi ultimi per poi entrare in contatto con i personaggi. Andrea, per collegarsi con quello che è giusto e con quanto è facile, conserva delle cuffie in cui ascolta le frequenze per trovare le persone in difficoltà. Nella struttura ludica, infatti, c’è un’ispirazione alla serie Persona: un graditissimo omaggio è Andrea che cerca di togliere l’app dallo smartphone esattamente come ha cercato di fare Joker nel quinto capitolo del franchise.

Probabilmente uno dei momenti più emozionanti di Bluethroot.

Da questo punto di vista, anche perché Bluethroot è un videogioco interamente dedicato alle scuole, ciò si ricollega al racconto. Interagire con una persona in difficoltà diventa una missione, in cui si deve cercare di preservare il proprio interlocutore ed essere gentili e comprensivi. Ogni risultato positivo ottenuto, infatti, consente di aumentare le proprie proprietà sociali con qualcun altro. Al riguardo, è l’esercizio finale del gioco: cercare di comprendere l’altro e mettersi in contatto con quest’ultimo, per poi proteggerlo, anche, a volte, da sé stesso. A funzionare egregiamente sono poi le animazioni dei personaggi e le loro espressioni facciali.

Sentirsi persi, perduti e poi ritrovarsi. Già, era strano essere adoloscenti, a quel tempo. Dovremmo chiederlo ai nostri ragazzi, ora, come si sentono.

Per chi è stato abituato bene con Freud’s Bones, sono presenti dei minigiochi in cui è necessario interagire con gli scudi (utilizzo questo termine per non divagare troppo) e spezzare così quel velo che non consente di mostrare il vero “Io” dei comprimari all’interno della produzione. È un videogioco intimista, Bluethroot, concentrato unicamente per fare del bene e raccontare la Generazione Z sotto un’altra luce. Non dimenticherò facilmente le musiche scelte per l’occasione, davvero deliziose e particolari, nonché efficaci e dolci. E sulla longevità, per quanto breve, nulla da dire: è un videogioco con un preciso obiettivo.

In Breve: Un’opera semplice e affascinante quanto efficace e potente. Andrea si ritrova a vivere sé stesso negli occhi e nei comportamenti altrui all’interno di un’avventura narrativa potente che mette sul piatto i disagi e le problematiche della Generazione Z. Una prova concreta e riuscita, a nostro parere.

Piattaforma di Gioco: Steam Deck e PC
Com’è, come gira: L’ho giocato interamente su Steam Deck. Pur non essendo verificato, la macchina di Valve ha soddisfatto pienamente le aspettative. Il gioco gira liscio liscissimo.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/the-last-of-us-part-ii/the-last-of-us-parte-ii-remastered-recensione/ Tue, 16 Jan 2024 15:04:17 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268719 A distanza di tre anni e mezzo dall’uscita originale, The Last of Us: Parte II torna in versione Remastered su PlayStation 5, anche se sarebbe stato più appropriato chiamarla Director’s Cut. A fronte di interventi estetici minori e di un’esperienza di gioco sicuramente più fluida, a brillare in questa riedizione sono i contenuti inediti, tra cui una modalità roguelike tutta nuova e tre mini-livelli tagliati nel gioco finale… ma basteranno per incoraggiare al replay?

Sviluppatore / Publisher: Naughty Dog / Sony Interactive Entertainment Prezzo: € 49,99 Localizzazione: Completa Multiplayer: Assente PEGI: +18 Disponibile su: PlayStation 5 Data d’uscita: 19 gennaio 2024

Avete presente il geniale dipinto di René Magritte intitolato “Il Tradimento delle Immagini”? Consiste nella rappresentazione di una pipa su uno sfondo monocromatico, sotto la quale l’artista belga scrisse la didascalia “ceci n’est pas une pipe” (“questa non è una pipa”) nel tentativo di rinnegare il palese connubio che la pittura classica faceva tra ciò che viene mostrato e il suo stesso significato. Lungi dal volermi paragonare ad un genio di tale misura, ma quella che state per leggere non è una recensione… non nel senso classico del termine, almeno.




Che senso avrebbe infatti recensire nuovamente un gioco uscito meno di tre anni fa? La sua storia la conosciamo tutti, così come le sue indubbie qualità e purtroppo anche le inutili polemiche seguite alla sua uscita, legate a ben note scelte narrative. Siamo qui per capire invece se abbia senso riproporre a così breve distanza un titolo che, per quanto iconico, è ancora ben impresso nella memoria di tutti quelli che hanno avuto la voglia di viverlo in prima persona… o se questa riedizione possiede i requisiti adatti per convincere all’acquisto chi all’epoca dubitò.

BENTORNATI A JACKSON

Chi vi scrive realizzò la recensione di The Last of Us Parte II per TGM e all’epoca, anche a distanza di svariate settimane dal suo completamento, continuò a pensarci fino a maturare la ferma convinzione che si era trattata di una delle migliori esperienze single-player mai realizzate e di un prodotto capace di trascendere la semplice definizione di videogioco. Rigiocarlo oggi non ha modificato questa convinzione, anzi.

 Mentre giocate i tre (brevi) livelli tagliati non mancate i fumetti come questo sparsi in giro, che attiveranno commenti audio ricchi di informazioni e curiosità.

Se anche voi state pensando di intraprendere una seconda run vi consiglio di farlo alzando almeno di uno step il livello di difficoltà e di attivare il commento degli sviluppatori, che nulla toglie al coinvolgimento ma che, anzi, aggiunge ulteriori strati di approfondimento e immersione.

RISE AND SHINE, THE LAST OF US: PARTE II Remastered!?

Visivamente l’upgrade è percepibile fin dalla primissima scena della passeggiata a cavallo ma non nel modo che ci saremmo aspettati. Il materiale di partenza d’altronde era già di altissima qualità e il tempo passato non ha consentito chissà quale salto tecnologico, proprio per questi motivi in questo secondo playthrough alcuni “abbellimenti” ci sono sembrati quasi forzati.

Sarebbe stato più corretto chiamarla Director’s Cut perché buona parte dei contenuti inseriti vanno a rimpolpare le parti ludiche e narrative, svelando dettagli inediti spesso interessanti

Ci riferiamo in particolare al sistema di illuminazione e a tutta quell’effettistica che fa risaltare ray tracing, blooming e via dicendo. In molte scene il lavoro di “rinforzo” riesce ad esaltare efficacemente il lavoro originale (in particolare a beneficiarne è tutta la sezione di Seattle, contraddistinta da una maggiore presenza di chiaroscuri) ma in altre sullo schermo aleggia una vaga sensazione di superfluo, di “messo lì perché avevamo più potenza a disposizione e non sapevamo che farcene”.

La sequenza ambientata a Jackson in cui Ellie si prepara per partire per la ronda è una di quelle che è stata modificata a più riprese in fase di lavorazione.

Fortunatamente tale energia aggiuntiva è stata messa anche al servizio della fluidità dell’esperienza, che su PlayStation 5 trova una solidità del frame rate granitica grazie anche all’implementazione del VRR sui televisori che lo supportano. All’inizio è possibile scegliere tra le canoniche due modalità: Fedeltà (4K nativi e 30 fps) e Prestazioni (1440p upscalati a 4K e 60fps). Leggermente migliorata la qualità di alcune texture, che si caricano ora senza alcun tentennamento, e ampliata la risoluzione del FOV, così come la resa delle ombre. A soffrire un po’ sono i modelli poligonali, che mostrano qualche piccola ruga rispetto al contesto.

Le caratteristiche peculiari del DualSense sono state sfruttate per dare un feedback tattile alle azioni dei protagonisti e alle armi

Le caratteristiche peculiari del DualSense sono state sfruttate per dare un feedback tattile alle azioni dei protagonisti e alle armi, i cui “sentori” però non sono così vari come in altri giochi pensati fin dall’inizio per l’ultimo hardware Sony. Piacevole la resistenza dei grilletti adattivi, specie quando si usano armi da lancio e nelle fasi di scontri “corpo a corpo” che in The Last of Us: Parte II  non mancano di certo. Il comparto audio è ancora una volta una delle punte di diamante della produzione e in questa Remastered è stato ulteriormente pulito per esaltare la direzionalità delle fonti sonore.

NON UNA SEMPLICE REMASTERED

A nostro modesto parere sarebbe stato molto più corretto aggiungere un bel Director’s Cut al titolo originale invece dell’ormai banalissima definizione Remastered. Questo perché buona parte dei contenuti inseriti vanno a rimpolpare soprattutto le parti ludiche e narrative, svelando dettagli inediti spesso molto interessanti. Se avete già giocato la storia principale vi consigliamo di ricominciarla attivando il commento del regista, disponibile solo in inglese con sottotitoli, grazie al quale i filmati di intermezzo saranno impreziositi dalle informazioni date direttamente da Druckmann, Baker e compagnia bella. Potrete anche dedicarvi fin da subito ai tre Livelli Perduti, che da giocare non sono un granchè e durano una manciata di minuti, ma offrono una visione più approfondita su quello che era il progetto iniziale, modificato e limato nel corso degli anni fino ad arrivare all’edizione che oltre 10 milioni di giocatori hanno apprezzato. All’interno di questi brevi stage sono presenti dei fumetti che una volta raggiunti attivano un commento sonoro che spiega vari retroscena sulla lavorazione del gioco. Un corposo antipasto di quello che verrà poi raccontato nel docu-filmGrounded/Realismo 2 che uscirà a breve.

Nel rifugio del Senza Ritorno potrete modificare le armi, potenziare il personaggio, acquisire i bonus sbloccati e scegliere la sfida con cui proseguire.

Il pezzo forte di questa edizione è però rappresentato dalla modalità Senza Ritorno, decisamente corposa e impegnativa. Trattasi di una serie di sfide di difficoltà create casualmente con forti elementi roguelike, nelle quali dovrete dare prova delle vostre abilità di combattimento e adattamento. Il primo passo è rappresentato dalla scelta del personaggio tra quelli inizialmente disponibili, ognuno caratterizzato da un diverso set di armi e accessori con cui inizierà la prova e abilità specifiche la cui utilità dipenderà ovviamente dallo stile di gioco che deciderete di affrontare. Prima di iniziare potrete scegliere tra una serie di modificatori che andranno ad alterare le meccaniche di gioco, anche in questo caso (come per la quantità di personaggi, armi e abilità), completando determinate missioni e ottenendo buoni risultati andrete a sbloccare ulteriori possibilità di personalizzazione.

Il primo passo è rappresentato dalla scelta del personaggio tra quelli inizialmente disponibili, ognuno caratterizzato da un diverso set di armi e accessori

Lo stage iniziale è più che altro di riscaldamento e come tutti quelli che seguiranno può appartenere ad una delle due modalità principali: Caccia (nella quale bisogna sopravvivere fino allo scadere del tempo) e Assalto (in questo caso è necessario superare tutte le ondate di nemici con brevi pause per curarsi e recuperare scorte). In breve tempo potrete sbloccare ulteriori opzioni come la modalità Resistenza, giocabile insieme a un alleato, e Conquista, forse la più originale di tutte visto che vi chiederà di aprire una cassaforte protetta dai nemici entro un determinato limite di tempo per garantirvi il malloppo contenuto al suo interno.

Caricando i salvataggi della versione PS4 otterrete automaticamente i vostri “vecchi” Trofei ma anche tutti i filtri grafici e gli extra che avevate sbloccato.

Nel bel mezzo di una partita poi potrà capitarvi di imbattervi nei cosiddetti Azzardi, sfide speciali che appaiono una sola volta e che garantiscono ricompense maggiori a fronte di una difficiltà sensibilmente più alta. Alla fine di ogni ramo di sfide vi attende il boss, che ovviamente arriva direttamente dalla storia principale a volte con qualche piccola variante. Riuscire ad arrivare alla fine non è uno scherzo, il livello di difficoltà del Senza Ritorno è abbastanza alto e ci si impiega un po’ per scoprire il miglior set-up di personaggi che fanno al proprio caso. In più, essendo una modalità Roguelike, in caso di sconfitta perderete tutto quello che avrete guadagnato fino a quel momento e sarete costretti a ripartire dal primo step.

THE LAST OF US: PARTE II REMASTERED: TENTAZIONE IRRESISTIBILE?

Da giocare ce n’è e sebbene qualche aggiustamento in termini di equilibrio ed equazione sforzi/ricompense vada fatto (ma è già prevista una patch nei primi giorni post-lancio), la nuova modalità è un’aggiunta decisamente corposa, con tanti extra da sbloccare e un potenziale sul medio-lungo termine da non sottovalutare.

Al pacchetto di contenuti si aggiunge poi una delle feature più richieste dal pubblico fin dai mesi successivi all’uscita di TLOU2, la modalità Chitarra Libera

Al pacchetto di contenuti si aggiunge poi una delle feature più richieste dal pubblico fin dai mesi successivi all’uscita di TLOU2, la modalità Chitarra Libera. Anche questa è accessibile fin dall’inizio e offre una generosa quantità di opzioni. Oltre a poter scegliere il setting della vostra strimplellata tra varie location del gioco, vestire i panni di personaggi diversi da Joel ed Elli, potrete aggiungere effetti aggiuntivi e soprattutto scegliere strumenti alternativi come chitarre acustiche, elettriche e il divertentissimo banjo. Quest’ultimo è diventato istantaneamente il nostro strumento preferito, capace di dare alle sessioni musicali un divertente e piacevole tono folk.

La quantità di elementi estetici e skin sbloccabili è davvero notevole e alcune puntano decise sul cross-marketing.

Chiude il pacchetto una generosa manciata di skin e accessori da sbloccare che daranno ai protagonisti del gioco un look a volte anche totalmente fuori contesto, ma comunque divertente. Volete ad esempio vedere Abby e Lev vestiti come personaggi di Mad Max? Che ne dite di Ellie con una bella maglietta di Mortal Kombat o Death Stranding? Di oggetti da sbloccare ce ne sono davvero parecchi e i cacciatori di record troveranno ulteriore pane per i propri denti con la modalità Speedrun e i nuovi Trofei legati alla modalità Senza Ritorno.

Sebbene qualche aggiustamento in termini di equilibrio ed equazione sforzi/ricompense vada fatto, la nuova modalità è un’aggiunta decisamente corposa

A differenza della versione remastered del primo The Last of Us, il cui prezzo sollevò non poche polemiche, questa Parte II viene venduta a 49,99 Euro, che scendono a 10 per l’aggiornamento delle vecchie edizioni fisiche o digitali, prezzi a nostro parere adeguati per un prodotto che ha sì tre anni sulle spalle ma che alla luce dei miglioramenti descritti e dei contenuti bonus si presenta come un prodotto assai appetibile e quasi obbligatorio per chi ama i videogiochi e non ebbe l’occasione di giocarlo all’epoca, ma anche per chi vuole tornare su una delle migliori avventure single player mai realizzate e divertirsi con sfide tutte nuove.

In Breve: Far uscire una remastered di un gioco così in vista a poco più di tre anni di distanza dall’originale è stato sicuramente un azzardo. Fortunatamente Naughty Dog al lavoro di restauro audivisivo (adeguato e percepibile in alcune parti del gioco, quasi superfluo in altre) ha affiancato un’ottimizzazione generale che ha migliorato la qualità dell’esperienza con un frame rate molto più solido e caricamente sensibilmente più veloci. Ad accrescere ulteriormente il valore di questa versione troviamo una impegnativa e divertente nuova modalità roguelike, tre mini-livelli tagliati, skin da sbloccare e svariati altri extra che approfondiscono ulteriormente il mondo di TLOU2, facendocene scoprire tutti i dettagli e segreti.

Piattaforma di Prova: PlayStation 5
Com’è, come gira: Il passaggio su un hardware più potente ha ovviamente concesso più mezzi a Naughty Dog, che li ha messi a frutto in primis per dare all’esperienza una maggiore solidità e fluidità. Il lifting/potenziamento grafico ovviamente non poteva essere massiccio come in altre Remastered ma si percepisce, anche se in alcuni casi da una strana sensazione di superfluo. Ottima la quantità di extra disponibili da subito e sbloccabili. Adeguato il prezzo, sia quello del pacchetto completo che dell’aggiornamento.

 

 

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/prince-of-persia-the-lost-crown-pc-ps4-ps5-xbox-switch/prince-of-persia-the-lost-crown-recensione/ Mon, 15 Jan 2024 09:39:06 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268678 Dopo oltre un decennio di pausa, dimenticato tra le sabbie del tempo, Prince of Persia torna in una veste action platform 2D che si rifà ai migliori metroidvania moderni, ai quali lo stesso The Lost Crown va ora ad aggiungersi.

Sviluppatore / Publisher: Ubisoft Montpellier / Ubisoft Prezzo: € 49,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 16+ Disponibile Su: PC (Ubisoft Connect / Epic Games Store), PS4, PS5, Xbox One, Xbox Series X|S, Nintendo Switch Data di Lancio: 18 gennaio 2024

Ubisoft si è assunta un bel rischio nel produrre un videogioco appartenente a una serie così amata quanto quella del Principe di Persia, soprattutto dopo il passo falso compiuto con il remake de Le Sabbie del Tempo, il cui annuncio venne accolto negativamente dai fan, tanto da costringere il publisher a riportare il progetto negli studi di Montreal.




Anche The Lost Crown ha rischiato di fare una brutta fine a causa di quello che personalmente ritengo sia stato un errore di comunicazione davvero grossolano da parte della stessa Ubisoft, che presentò questo nuovo Prince of Persia nel peggior modo possibile: con un trailer dal taglio cinematografico che non faceva capire molto del tipo di gioco che sarebbe stato e un sottofondo musicale del tutto inadatto al “mood” dell’opera. Per fortuna Ubisoft riuscì a riprendersi quasi subito dopo averne mostrato il gameplay, riconquistando pian piano la fiducia dei fan delusi dal primo annuncio. Tra questi mi inserisco anch’io, sia chiaro, anche se ebbi l’occasione di provare il gioco già qualche mese fa così da cambiare idea dopo aver toccato con mano il metroidvania sviluppato in quel di Montpellier. Ora che scrivo queste righe, dopo aver visto i titoli di coda, non posso far altro che confermare le sensazioni positive iniziali.

SULLE ALI DEL SIMURGH

L’avventura di Prince of Persia: The Lost Crown comincia in medias res, buttandoci immediatamente nel bel mezzo dell’azione con un prologo che si svolge al di fuori di quella che sarà il mondo di gioco per le successive venti e più ore. Impersonando Sargon, uno dei sette guerrieri d’élite al servizio della corona persiana – i cosiddetti Immortali, bisogna porre fine alla ribellione del generale Uvishka. Durante il prologo possiamo apprendere le fondamenta del sistema di combattimento e le abilità di movimento di base del protagonista: di fatto è un breve tutorial che culmina con la sconfitta del generale e il successivo rapimento del principe Ghassan.

tocca proprio a Sargon e ai suoi compagni Immortali correre in aiuto del principe

Ghassan viene portato sul leggendario Monte Qaf, dove si trova un’antica città al cui interno il tempo non segue il suo corso naturale, generando anomalie e paradossi di ogni sorta. Manco a dirlo, tocca proprio a Sargon e ai suoi compagni Immortali correre in aiuto del principe, salvarlo dalle grinfie dei suoi rapitori e riportarlo in sicurezza nella capitale. I misteri del Monte Qaf e un’antica profezia, però, si mettono di traverso, per cui quella che comincia come una “semplice” missione di salvataggio si trasforma rapidamente in un’impresa da cui dipende il destino del mondo intero.

Prince of Persia The Lost Crown Recensione 05

Sul Monte Qaf è facile imbattersi in architetture impossibili.

Ci tengo comunque a mettere subito in chiaro che la trama non è certamente il punto di forza di Prince of Persia: The Lost Crown. Anzi, semmai è proprio l’elemento meno riuscito dell’opera, tra personaggi stereotipati che in alcuni casi non vanno oltre il ruolo di macchiette e una successione di eventi a dir poco telefonata dall’inizio alla fine. Per fortuna, però, tutto il resto si assesta su livelli più che ottimi.

IL TEMPO E LO SPAZIO

A cominciare dal sistema di combattimento che richiama alla mente quello di uno stylish action, piuttosto che uno ben più semplice mutuato da qualsiasi altro metroidvania. Sargon non è chiaramente Dante della serie Devil May Cry, ma la fonte di ispirazione di Ubisoft Montpellier è abbastanza chiara: il ventaglio di mosse del protagonista è sin da subito molto ampio, tra combo a terra, evoluzioni aeree, colpi caricati, parate, contrattacchi e abilità speciali, a cui via via si aggiungono ulteriori mosse legate ai poteri di manipolazione spazio-temporale acquisiti durante l’avventura, nonché alcuni accessori come l’arco da impiegare per estendere le combo aeree, o il chakram che può essere fatto rimbalzare sulle spade gemelle di Sargon con una parata al momento giusto.

Prince of Persia The Lost Crown Recensione 04

Le mosse speciali e i contrattacchi vengono evidenziati con effetti variopinti.

I combattimenti di questo Prince of Persia, soprattutto quelli contro i boss, risultano così adrenalinici e spettacolari, grazie anche a delle animazioni incredibilmente fluide e a dei pattern di attacco dei nemici sempre leggibili. C’è poi la possibilità di personalizzare il proprio stile di gioco con i vari amuleti raccolti durante l’esplorazione. Questi forniscono nuove capacità passive, per esempio la rigenerazione di un po’ di salute dopo una parata perfetta, oppure un piccolo incremento ai danni corpo a corpo, o ancora la capacità di scoccare frecce infuocate che bruciano i nemici e provocano danni nel tempo, per citarne alcune. Ovviamente non possono essere equipaggiati tutti contemporaneamente, ma bisogna effettuare delle scelte sulla base degli alloggiamenti disponibili, con la possibilità di aumentare gli slot proseguendo con l’avventura.

Il sistema di combattimento richiama alla mente quello di uno stylish action

Allo stesso modo, bisogna operare delle scelte anche per quanto riguarda le abilità speciali legate all’Athra. Questa è un’energia che si accumula colpendo i nemici o parando i loro attacchi, per poi incanalarla in mosse spesso devastanti che se usate al momento giusto possono capovolgere l’esito di uno scontro. Bisogna fare delle scelte, dicevo, perché ne possiamo equipaggiare solamente due alla volta, su un totale di una decina da sbloccare durante il gioco. L’assetto dei poteri dell’Athra e degli amuleti può essere modificato sotto le fronde degli alberi Wak-Wak, ossia i punti di salvataggio disseminati in tutto il Monte Qaf che servono anche a rigenerare tutta la salute e le munizioni di Sargon.

PRINCE OF PERSIA E I SUOI FANTASTICI AMICI

Il protagonista non sarà solo durante la sua impresa: a supportarlo troviamo diversi personaggi secondari pronti a dargli una mano nel momento del bisogno. Tra questi Fariba, una ragazzina che vende mappe del Monte Qaf in cambio di una manciata dei cristalli raccolti dai cadaveri dei nemici, o ancora Kaheva, una divinità nella cui fucina possiamo potenziare le armi e gli effetti degli amuleti; ma non mancano nemmeno altri figuri misteriosi con degli incarichi secondari da affidare a Sargon. Portandoli a termine, infatti, si ottengono ricompense aggiuntive sotto forma di preziosi potenziamenti della barra della salute, amuleti e cristalli.

Prince of Persia The Lost Crown Recensione 06

Trovando questa ragazzina nei diversi biomi possiamo acquistare la mappa del livello.

Come ogni buon metroidvania che si rispetti, poi, non mancano segreti nascosti dietro pareti illusorie, enigmi ambientali le cui soluzioni spesso necessitano di fermarsi più di qualche secondo a riflettere, ma soprattutto delle sfide di platforming davvero ben fatte. Ecco, personalmente ritengo che la parte più riuscita di The Lost Crown siano proprio tutte quelle sezioni che fanno leva sulle capacità atletiche del protagonista, richiedendo al contempo una buona dose di coordinazione al giocatore, il quale deve districarsi tra spuntoni acuminati, aste sulle quali far volteggiare Sargon, salti precisi, seghe circolari, piattaforme semoventi, e molto altro ancora, spesso tutto racchiuso nello stesso livello.

Prince of Persia The Lost Crown Recensione 10

Meglio imparare fin da subito a fare la conoscenza con gli spuntoni acuminati: il Monte Qaf ne è pieno.

D’altronde stiamo pur sempre parlando di Ubisoft Montpellier, lo studio dei vari Rayman, per intenderci. Non stupisce che molte delle persone che hanno lavorato a quei gioielli di game e level design di Rayman Origins e Legends abbiano realizzato Prince of Persia: The Lost Crown, e che quest’ultimo faccia proprio del platforming il suo asso vincente.

LA LEGA ARCANA DI PERSIA

Non stupisce nemmeno che l’ultima fatica dello studio occitano si dimostri una vera gioia per gli occhi, nonostante un comparto tecnico tutto sommato modesto in quanto a resa visiva nuda e cruda, a dimostrazione del fatto che va benissimo anche una grafica non al top se è supportata da una direzione artistica di prim’ordine, come avviene in questo caso.

l’ultima fatica dello studio occitano è una gioia per gli occhi

I vari biomi del Monte Qaf, più di una dozzina, sono tutti caratterizzati da fondali ricchi di dettagli e architetture precedenti all’islamizzazione della Persia, tra enormi statue raffiguranti divinità bovine, giardini pensili e marchingegni misteriosi. Va poi detto che gli sviluppatori hanno optato per uno stile di sicuro non originale ma che finora non abbiamo mai visto in un videogioco, perlomeno non in un titolo a budget medio-alto come questo. Lo stile non risulta originale perché appaiono palesi le ispirazioni tratte da Arcane, la serie animata di League of Legends, sia negli intermezzi dal taglio cinematografico, sia durante le animazioni di alcune mosse speciali di Sargon e dei boss.

Prince of Persia The Lost Crown Recensione 09

È possibile scattare degli screenshot da fissare sulla mappa, così da ricordarsi dove si trovano oggetti in quel momento non raggiungibili.

È uno stile che funziona e contribuisce a dare una personalità marcata a Prince of Persia: The Lost Crown, sebbene non escludo che qualcuno possa avere una sensazione di déjà vu durante le sue escursioni sul Monte Qaf in compagnia di Sargon. Al di là di tutto, però, all’opera di Ubisoft Montpellier non mancano certo idee brillanti che fanno leva proprio sulla direzione artistica e sulla comprovata creatività dello studio, come un’intera sezione che si svolge in un mare in tempesta congelato nel tempo a causa di una maledizione, con tanto di navi in frantumi su cui saltare e fulmini bloccati nel momento della caduta da evitare per non rimanerci secchi. The Lost Crown è dunque la cosa migliore che potesse accadere alla saga di Prince of Persia da quindici anni a questa parte; ma al di là di questo, è un’opera di qualità creata con maestria da uno degli studi più talentuosi della scuderia Ubisoft, a dimostrazione del fatto che il publisher francese dovrebbe uscire più spesso dalla sua zona di comfort e lasciare che gli sviluppatori sperimentino nuove formule di gioco per i suoi franchise. Soprattutto se poi i risultati sono così ottimi.

In Breve: Prince of Persia: The Lost Crown è un metroidvania che di sicuro non reinventa la ruota, ma fa tutto quello che deve nel migliore dei modi. O meglio, quasi tutto: purtroppo la trama è trascurabile e i personaggi hanno lo stesso carisma di una pozzanghera. Al di là di questo, però, la struttura del mondo di gioco è molto articolata, il sistema di combattimento è molto più profondo rispetto alla media del genere, e il platforming rasenta l’eccellenza. Un ritorno in grande stile per uno dei franchise più amati di sempre.

Piattaforma di Prova: Ryzen 5 3600X, 16 GB RAM, RTX 4060Ti, SSD Nvme / Steam Deck
Com’è, Come Gira: Giocato a 2560×1440. Sulla configurazione utilizzata il gioco gira in maniera eccellente a 120 FPS granitici con le impostazioni grafiche al massimo. Durante le oltre 20 ore di gioco non ho riscontrato alcun bug.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/house-flipper-2/house-flipper2-recensione/ Sat, 13 Jan 2024 09:00:48 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268634 Influencer sull’orlo di una crisi di nervi? Gente che scappa dalla città per vivere la natura? Case ormai da ricostruire da cima a fondo? Non è un nuovo programma che potreste facilmente trovare su Real Time, ma è House Flipper 2, sviluppato da Frozen District.  

Sviluppatore: / Publisher: Frozen District / Frozen District Prezzo: 19,99 euro Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 12 Disponibile su: PC Data d’uscita: Già disponibile

Raramente, lo ammetto, pulisco camera mia. Spesso, purtroppo, non ho tempo: sono sempre di corsa, c’è da fatturare (leggetelo con la pronuncia lombarda di quel bauscia di Calzati) e ho libri ovunque. Sia chiaro, quei libri hanno deciso spontaneamente di accomodarsi sul pavimento di camera mia, come se ci avessero preso la residenza. Anche se ci provo, e ci provo sul serio, mica è facile riuscire a convincerli di andarsene e starsene in uno scaffale. Ma succede: è quando si decide di trascurare il proprio giardino felice, mi dico io.




Bene, immaginate che tutto questo diventi un videogioco. Nel senso, non che siate dei libri o degli scaffali, bensì un House Flipper che deve guadagnarsi da vivere mettendo a posto le abitazioni altrui – ma anche la propria – per riuscire a sbancare il lunario. Qualcuno probabilmente, proprio come il sottoscritto, avrà già vissuto l’esperienza ludica di questo titolo. Metti a posto di là, pulisci su, pulisci giù ed è già il momento di vendere quell’immobile a un tipo che raramente riesce a capire dove sia.

Chi ha mai detto che serve essere ordinati per fare un lavoro manuale?

Ma questo non è importante: è il nostro lavoro. Se mi chiedessero cosa ho fatto durante l’ultima settimana, direi che ho raccolto immondizia. Affermerei, in seguito, di avere anche messo a punto la casa dei miei. La realtà è che mi sono sentito, ancora una volta, come se tornassi indietro nel tempo, precisamente a due anni fa, quando la scoperta di Unpacking fu ben più che la classica esperienza da vivere e lasciare da parte. Lo stesso effetto, esplosivo nella sua semplicità, è stato House Flipper 2.

IL MIO LIVING: HOUSE FLIPPER 2 INCONTRA CARLO CRACCO, MA SENZA STELLE MICHELIN

Ben prima di iniziare l’esperienza, viene chiesto il nome del giocatore. Poi, la schermata iniziale propone due modalità: storia e sandbox. Considerando che amo i racconti, ho deciso di optare per la prima. E se qualcuno se lo stesse domandando, in House Flipper 2 c’è una trama. Certo, non aspettatevi salti mortali e narrazioni à la Alan Wake 2: l’obiettivo di House Flipper 2 è dedicarsi interamente alla sistemazione di un luogo destinato a diventare speciale per qualcuno in base alle esperienze che sta facendo.

L’ennesimo bordello da sistemare.

I genitori del protagonista, infatti, hanno lasciato la casa di famiglia al loro figlioletto (intendo me, o meglio: noi), deciso a diventare un uomo d’affari nel campo edilizio, dando gioie e propagando benessere. Insomma, una sorta di ristrutturatore della porta accanto che, però, non spara ragnatele ed è armato di strumenti infallibili per chiunque faccia pulizia: un esercito di sacchetti dell’immondizia, pennello (non cinghiale) e vernice, e un altro po’ di bella roba utilissima, come un panno e lo spray.

Momenti da lacrime virili, insomma, come sempre puntuali e mai di troppo, il più delle volte necessarie

Per curiosità, un po’ perché adoro immergermi in mestieri che nella vita di tutti i giorni non farei mai perché sono un pigro di prima categoria, ho scoperto che questa figura professionale esiste davvero. Figata, mi sono detto. E mentre scoprivo le sfumature del racconto, con pagine e pagine di mail mandate al nostro silenzioso protagonista, che rispondere se interpellato, ho scoperto che chiunque, nel bene come nel male, ha una storia da raccontare, dei motivi e degli affetti che non riesce a dimenticare. Momenti da lacrime virili, insomma, come sempre puntuali e mai di troppo, il più delle volte necessarie: sono le storie di persone che, per soddisfare le esigenze di un nipote, mettono a soqquadro le loro abitudini. Questa cosa è bella, molto bella.

IL MIO BAGNO

House Flipper 2 è un’esperienza completamente in prima persona. Il protagonista lo si muove dappertutto negli scenari, dedicandosi in seguito ai vari incarichi che compaiono sul desktop del PC, da usare per raccogliere contratti su contratti e fare soldi. Appunto, per fare soldi bisogna lavorare. E no, credetemi: il mio personaggio, chiamato Romeo, di cose da fare ne ha fatte tante, tantissime.

Ho imparato le cose fondamentali, come a buttare le briciole senza sporcare il pavimento

Per prima cosa, ha imparato a pulire un seminterrato e, in seguito, ho pure buttato l’immondizia. Poi ho pure lavato per terra, pulito le finestre e aggiustato i cavi elettrici (già, ho reso orgoglioso mio zio, elettricista di professione). In House Flipper 2, insomma, si svolgono queste attività. No, fermi: se state pensando che possano essere ripetitive, potreste sbagliare grandemente.

Sì, ci sono spaccati così fuori dalle case che si mettono a posto.

Ogni scenario proposto è diverso e ha incarichi e situazioni che non sono mai analoghe alle precedenti. Ad ampliare ulteriormente la struttura ludica, peraltro, è l’assegnazione dei benefici nel corso dell’esperienza, che migliorano e fanno progredire le abilità del protagonista. Un esempio sciocco: si sta impiegando troppo a pulire un pavimento? Nessun problema: una spruzzata d’acqua con detersivo e passa la paura. Questa caratteristica di gameplay, infatti, permette di ampliare enormemente l’intera architettura ludica. E un’implementazione interessante rispetto alla precedente è la gestione della vendita degli immobili, spesso venduti a un prezzo stracciato per rivenderli a un valore maggiore. È il capitalismo.

LA MIA CUCINA (NO, LA MIA STANZA)

Qualcuno potrebbe pensare che House Flipper 2 sia la copia carbone del primo capitolo. Se da una parte c’è un impatto grafico ancora da ammodernare agli standard odierni, nonostante il suo fascino, dall’altra c’è una miglioria totale nella fluidità di gioco e nella variazione delle situazioni. È fantastico, davvero fantastico passare un’ora, due o cinque su House Flipper 2, soprattutto perché rilassa senza chiedere troppo, se non di mettere a posto, di sistemare qualcosa, di dare un senso a un luogo e a un momento. Secondo, perché fa letteralmente staccare la testa.

La mia cucina. No, non è quella di Carlo Cracco.

È un videogioco profondamente terapeutico e leggero, utile per chi è di corsa, tanto di corsa, e non ha molto tempo per giocare. Ma è fondamentale anche per chi ha amato il primo capitolo ed è alla ricerca di non pensare troppo. Ma soprattutto, mi ha ricordato che ho ancora una stanza da pulire.

In Breve: House Flippers 2 è un gioco semplice che più semplice non si può. Mentre si concentra sulla semplicità, appunto, e su un game design favoloso ed efficace, riesce ad amalgamarsi in un mdoo fantastico con un contesto che regala emozioni e lascia con il sorriso. Sì, esatto: proprio come Unpacking.

Piattaforma di Prova: PC e Steam Deck
Com’è, come gira: Meravigliosamente su entrambe le piattaforme. Nessun intoppo o rallentamento di sorta.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/momodora-moonlit-farewell-pc/momodora-moonlit-farewell-recensione/ Thu, 11 Jan 2024 08:16:09 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268529 Certo che questo villaggio di Koho è proprio scarognato! In Momodora: Moonlit Farewell, infatti, siamo ben alla quarta volta in cui le sue sacerdotesse devono darsi da fare per proteggerlo da morte e distruzione, armate solo di una foglia (magica, per carità).

Sviluppatore / Publisher: Bombservice / Playsim Prezzo: 16,49€ Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: ND Disponibile Su: PC (Steam) Data di lancio: 11 gennaio

Quella di Momodora è una serie di metroidvania di lunga data, visto che la sua prima apparizione risale al 2010; i quattro giochi finora usciti (tre della serie principale, più il prequel Reverie Under the Moonlight), se da un lato non hanno certo sfondato quanto è riuscito a fare un Hollow Knight a caso, dall’altro di sicuro hanno dimostrato di avere anche loro qualcosa da dire.




Ed è qui che la storia inizia ad avvilupparsi: prima, il creatore brasiliano Guilherme Melo Martins (in arte rdein) ha sondato il terreno per una riproposizione in 3D di Reverie; poi, una volta comprensibilmente resosi conto della difficoltà dell’impresa, ed essersi scontrato con la reazione ostile di tanti fan, è tornato al 2D ma con un netto cambio stilistico concretizzatosi nel discreto Minoria; infine, ha deciso di riprendere in mano la pixel art che tanta fortuna gli ha portato. E così arriviamo a Momodora: Moonlit Farewell.

ADDIO AL CHIARO DI LUNA

L’inizio della storia è di quelli più classici: le due sacerdotesse Momo e Dora stavano vivendo la loro vita tranquille e beate nel loro pittoresco villaggio all’ombra di un enorme albero sacro benedetto dalla luce della luna quando all’improvviso tredici fatali rintocchi di campana hanno causato l’apparizione di demoni pronti a causare scompiglio e sconquasso. Tocca a Momo, con Dora in funzione di comprimaria, darsi all’esplorazione per cercare di capire che è successo e porre fine a questa invasione, armata della tradizionale foglia magica e di un arco dalle infinite frecce. La struttura di gioco, come nei predecessori, è quella tipica dei metroidvania, con elementi molto leggeri di platforming: mano a mano che proseguiremo nell’avventura otterremo vari potenziamenti – come ad esempio i classicissimi doppio salto e wall jump – che ci permetteranno di accedere ad aree prima precluse.

Momodora Moonlit Farewell Recensione

L’area iniziale è quella che più colpisce per la qualità della pixel art. Anche il resto si difende bene, comunque.

Ma in Momodora: Moonlit Farewell non ci si limita a correre e saltare: si combatte anche, e pure tanto, anche se l’aumento delle statistiche non è legato tanto alla quantità di marmaglia demoniaca che riuscite a sconfiggere ma all’esplorazione e al reperimento di bacche speciali e gigli celestiali in giro per il mondo di gioco, capaci di aumentare vita, mana e rigenerazione della resistenza le prime, e rendere più temibili i vostri attacchi i secondi.

i sigilli permettono di personalizzare il nostro approccio al gioco

Sempre in giro per il mondo di gioco potremo anche trovare i sigilli, potenziamenti passivi equipaggiabili che permettono di alterare la nostra strategia o di essere meglio preparati ad affrontare specifiche situazioni. Per quanto riguarda i boss, una tradizione di Momodora (mantenuta anche in Minoria) è quella di ricompensare una battaglia conclusasi senza aver preso danni con oggetti speciali; ma non posso confermare con sicurezza che lo stesso avvenga anche in Momodora: Moonlit Farewell. Sconfiggere i primi tre boss senza farmi colpire non ha portato a nessuna ricompensa aggiuntiva, mentre di contro fare lo stesso con un boss più avanzato (ma più facile) ha visto apparire un bel sigillo. Probabile, quindi, che valga solo per alcuni boss? Per conferme in questo senso, aspetterei di sentire che dicono persone più pazienti e più talentuose di me.

Il design di alcuni personaggi è… uhm, peculiare.

Al netto di tutto questo, alla difficoltà standard Momodora: Moonlit Farewell non è un gioco particolarmente difficile. Per carità, morire capita, ma in linea di massima si procede piuttosto spediti e certi sigilli facilmente reperibili rendono davvero molto permissive anche le battaglie contro i boss più avanzati. Forse quasi troppo.

QUALCUNO LI CHIAMA GIOCHINI PICCINI

Come prodotto di un team piuttosto ristretto – quattro persone in totale  – non ci si può certo aspettare di trovarsi di fronte a un gioco mastodontico. E infatti così non è: arrivare ai titoli di coda mi ha richiesto poco più di otto ore e, per quanto ci sia una discreta varietà di ambienti e di nemici (alcuni ripresi dai capitoli precedenti della serie), siamo ben lontani da quello che ha da offrire in termini di puro contenuto un Afterimage, giusto per prendere un altro titolo recente appartenente allo stesso genere. E anche l’aggiunta, una volta terminato il gioco, della possibilità di affrontare nuovamente i boss con nuove condizioni, e di una modalità alternativa che ci vede affrontare una versione speculare dell’avventura, non arricchisce poi così tanto l’esperienza per i non completisti. Non che sia una critica severa, intendiamoci: è giusto che ciascuno faccia in base alle sue possibilità materiali, tanto più che Momodora: Moonlit Farewell si presenta davvero bene, con una pixel art di pregio e animazioni niente male. Certo, a questa presentazione non si accompagna una trama particolarmente profonda: si menano demoni di dimensioni variabili, si esplora, si scopre chi c’è dietro all’arrivo dei demoni e lo si prende a schiaffoni, con qualche storiella secondaria di minore importanza sullo sfondo.

Momodora Moonlit Farewell Recensione

Alcuni boss hanno un ottimo design. Altri meno.

LA CRITICA PIÙ SERIA CHE SI PUÒ MUOVERE È CHE GLI MANCA QUEL QUALCOSA CHE GLI PERMETTA DI SPICCARE

Dunque, come valutare nel complesso questo quinto capitolo della serie Momodora? Di sicuro è un metroidvania competente: si vede che Guilherme Melo Martins, in arte rdein, ha ben chiaro cosa fa funzionare questo tipo di giochi. Moonlit Farewell si fa giocare senza problemi, senza mai far storcere il naso, presentando sistemi di gioco sì ben rodati ma che non per questo vengono alla noia; il tutto, come già accennato, condito da una presentazione di buon livello, sia visivo che musicale. Vale però un discorso simile a quello che facevo con Moonscars qualche tempo fa: negli ultimi anni il livello di qualità dei videogiochi 2D creati da sviluppatori indipendenti si è alzato parecchio, e in questo contesto spiccare non è così semplice. E questa, se proprio vogliamo, è la critica più seria che si può muovere a Moonlit Farewell: che non riesce a spiccare, a fare quel salto da “bello” a “wow”. Ma per il resto, è sicuramente un buon metroidvania.

In Breve: Momodora: Moonlit Farewell è un metroidvania ben costruito, privo di difetti degni di nota, al quale l’osservazione più importante che si può muovere è che non riesce – anche per comprensibili limiti materiali – a fare quel passetto in più che porta un gioco a diventare imperdibile. Anche così, resta comunque un bel titolo. Dici poco.

Momodora Moonlit Farewell Recensione

Piattaforma di Prova: PC, Steam Deck
Configurazione di Prova: RTX 3060, Ryzen 3600, 16 GB RAM, SSD NVMe
Com’è, Come Gira: La pixel art è di ottima qualità, quindi qua le critiche da muovere sono praticamente assenti. Non è un gioco in grado di mettere alla prova una configurazione da gaming.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/blood-west/blood-west-recensione/ Wed, 10 Jan 2024 11:01:15 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268491 Un pistolero non morto, ma nemmeno troppo vivo, cerca di spezzare la maledizione che lo affligge e capire chi è stato nella precedente vita terrena. Ma in Blood West non è un’impresa facile.

Sviluppatore / Publisher: Hyperstrange / Hyperstrange Prezzo: 24.99 euro Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: 18 Disponibile su: PC (Steam) Data d’uscita: Già disponibile

Il bello di essere dei pistoleri non morti è che in qualche modo si è riusciti a sfuggire dalle grinfie del Tristo Mietitore quando è avvenuto il fattaccio. Il brutto è che tra non morto e immortale vi è una differenza abissale, e nel primo caso nessuno vieta a brutti ceffi assortiti di finire il lavoro come si deve. L’unica speranza è cercare di spezzare la maledizione e reclamare la propria anima, prima di finire allo spiedo negli inferi. Questa la semplicissima storia alla base di Blood West, sapiente mix tra stealth FPS e soulslike con elementi boomer shooter sviluppato e distribuito da Hyperstrange, già amati da noi giocatori per POSTAL: Brain Damaged.




Zombie e Vecchio West sono un connubio esplosivo già esplorato da Evil West, ma qui l’approccio è più orientato alle uccisioni silenziose, come visto in Thief. È una coincidenza che Stephen Russell, il doppiatore del mitico ladro Garrett, presti la propria voce anche al protagonista senza nome di questo gioco? E un pistolero realizzato dagli stessi autori di POSTAL potrebbe definirsi POSTALero? Cerchiamo di rispondere a tutte queste domande.

BLOOD WEST: IL NON MORTO, IL BRUTTO E IL CATTIVO

Blood West è un gioco ambientato nel West senza i cliché del West. Niente assalti alle diligenze, nessuna rissa nei saloon con pendagli da forca defenestrati mentre il pianista suona imperterrito, zero duelli tra tizi fermi impalati nel mezzo di strade polverose a guardarsi negli occhi come innamorati invece di spararsi addosso. Troviamo invece molta azione, nemici coriacei, e tre ampie mappe liberamente visitabili che strizzano l’occhio agli amanti dell’open world anche se mettere piede in certe zone prima di aver completato alcune quest e aver livellato un pochino potrebbe riverlarsi un’impresa suicida o quasi.

Alcune zone sono presidiate da creature eteree.

Chiarito dunque il senso della parola Blood, cosa rimane del West? Armi e paesaggi. Revolver, fucili, tomahawk, archi e coltellacci con i quali farsi strada lungo canyon, paludi e montagne, il tutto pervaso da un’aura di misticismo e magia ispirate alle credenze dei nativi americani, come ad esempio il Totem delle Anime, equivalente dei falò di Dark Souls, che sicuramente ha ispirato questo lavoro in quanto a difficoltà.

È TUTTO MALEDETTO E MALEDETTAMENTE DIFFICILE

Blood West è un gioco punitivo, come se volesse far espiare a noi le colpe del pistolero maledetto. I nemici sono molto più forti di noi, molto resistenti ai nostri colpi e determinati a rincorrerci per tutta la mappa una volta che siamo stati individuati. Fortunatamente si riveleranno abbastanza vulnerabili se colti di sorpresa, e qui entra in gioco la componente stealth della produzione.

Il sangue, pur pixellato, schizza copioso.

Camminando nei pressi di un mostro appare un’icona a forma di orecchio per avvisarci che stiamo facendo troppo rumore, e un indicatore comincia a salire piuttosto velocemente. È necessario dunque fermarsi per calmare le acque prima di attirare troppo l’attenzione. Prendere alle spalle i nostri bersagli, soprattutto con un’arma bianca che richiede di arrivare alla distanza da corpo a corpo, è tutt’altro che facile, anche perché i fetenti non stanno mai fermi e durante le loro operazioni di pattuglia si guardano le spalle l’un l’altro. Finire nel loro cono visivo accenderà l’icona dell’occhio e dovremo volatilizzarci al più presto prima che partano all’attacco. Fortunatamente lanciando un sasso in un angolino, potremo distrarli.

In Blood West la morte è punita con un malus alle statistiche, che decesso dopo decesso costringe a ricominciare da zero con un nuovo personaggio

Una specie di Thief mixato con Desperados, anche se manca tutta la gestione dell’occultamento dei cadaveri: nessuno si curerà dei corpi smembrati e abbandonati in giro per la mappa. Per chiudere, anzi cominciare, in bellezza, non vi è nemmeno un tutorial vero e proprio, e si viene catapultati fin da subito nell’azione contro mostri in grado di farci fuori con due sberle, con l’unica concessione – e qui ci starebbe bene il Fantozziano “come è umano lei” – di non subire penalità qualora dovessimo morire nell’area introduttiva. Perché i sadici di Hyperstrange hanno ben pensato di castigarci anche quando schiattiamo.

LA MORTE TI FA BELLA? NO, TI FA DEBOLE

Avete notato che la parola “perk” se letta al contrario suona “krep”? Coincidenza? Probabilmente no, dato che in Blood West quando si crepa viene assegnato un malus. Potrebbe essere una riduzione dei punti vita, o una maggiore sensibilità ai danni, o la decurtazione della stamina, o ancora un aumento della rumorosità dei nostri passi. Contrariamente ai roguelite in cui sconfitta dopo sconfitta si diventa sempre più forti, qui diventiamo sempre più deboli, e soprattutto nelle prime run, quando i decessi saranno molto frequenti a causa dell’inesperienza, a un certo punto conviene ricominciare da zero piuttosto che cercare degli oggetti magici per annullare i krep – ma che bello questo neologismo! – o cercare di bilanciarli livellando e investendo punti nella corposa tabella delle skill. La parola “tabella” al posto di “albero” non è casuale dato che tutti i potenziamenti sono disponibili da subito, senza l’obbligo di sbloccarne alcuni per avere accesso ad altri. Una curiosità: gli oggetti magici da barattare per ristabilire le nostre statistiche sono delle penne, e da qui nasce il detto “lasciarci le penne”.

Voglio dirlo! Voglio diro! C’è un nuovo sceriffo in città.

La parola “tabella” al posto di “albero” non è casuale dato che tutti i potenziamenti sono disponibili da subito, senza l’obbligo di sbloccarne alcuni per avere accesso ad altri. Una curiosità: gli oggetti magici da barattare per ristabilire le nostre statistiche sono delle penne, e da qui nasce il detto “lasciarci le penne”.

Le tre grandi aree sono esplorabili liberamente come piccoli open world, ma avventurarsi senza la necessaria prudenza porterà velocemente alla tomba

Se morite, dovrete lasciare delle penne. Ditelo a tutti, citando TGM come fonte. Ciliegina sulla torta, non ci viene fornita nemmeno una mappa, che però è disponibile dai vendor, a un prezzo fortunatamente abbastanza accessibile. La grafica lowpoly dalle texture pixellose funziona molto bene in questo tipo di gioco, anche se è tutto un po’ troppo buio e alcune ambientazioni sono così spoglie da ricordare gli stanzoni di Quake. Ottimo invece il sonoro, che dona la voce a tutti gli NPC, per l’occasione non relegati a semplici statue che elargiscono quest bnesì dotati di una caratterizzazione più complessa in grado di influenzare il gameplay, diventando preziosi alleati o pericolosi antagonisti. Una piacevole conferma del talento del team Hyperstrange, anche se questa volta si sono fatti un po’ prendere la mano con la difficoltà e qualcuno potrebbe trovare Blood West troppo ostico.

In Breve: Blood West è un FPS con forte componente stealth e una difficoltà degna dei soulslike che vi vedrà provare e riprovare vari modi di eliminare i nemici. Le penalità assegnate ogni qualvolta si muore a lungo andare possono rendere il personaggio quasi ingiocabile, ma una volta domata la folle curva della difficoltà, le varie build possibili sono molto diverse tra loro e ci si divertirà sicuramente a sperimentare. Ottimo il sonoro e buona la grafica lowpoly, anche se sarebbe stato opportuno rendere le mappe un po’ più ricche. Qualcuno lo troverà molto punitivo, e l’assenza di livelli di difficoltà non corre in suo aiuto, ma il Selvaggio West è un mondo spietato.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: AMD Ryzen 9 6900HS, 16GB RAM, GeForce RTX 3080, SSD
Com’è, Come Gira: Nulla da segnalare sul profilo tecnico, ma le opzioni di personalizzazione grafica sono veramente scarse: si sceglie la risoluzione e poco più. Aumentate la luminosità perché con le impostazioni di default è un poì troppo buio.

 

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/radiant-silvergun/radiant-silvergun-recensione/ Mon, 08 Jan 2024 11:48:01 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268430 Dopo circa 26 anni, Radiant Silvergun resta uno dei migliori giochi sfornati dalla vulcanica scuderia Treasure. Vediamo come possiamo giocarlo sulle piattaforme attuali.

Sviluppatore / Publisher: Treasure / Live Wire Prezzo: € 19,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Cooperativo offline PEGI: 7 Disponibile su: PC (Steam), Nintendo Switch Data di lancio: Già disponibile

In un’epoca affamata di mondi poligonali, Radiant Silvergun rappresenta il testamento perfetto del modus operandi di Treasure: scardinare le convenzioni alla base delle tipologie di videogioco più classiche, innestando idee nuove per creare qualcosa di aderente al passato ma, allo stesso tempo, fresco e memorabile grazie a una forte personalità.




Una prospettiva tanto valida nel 1998 quanto nel 2024, quando il fenomeno del retrogaming permette il piacere della scoperta a un pubblico sempre più vasto grazie a raccolte o riedizioni vendute a prezzo contenuto. Radiant Silvergun si presta perfettamente a questo discorso, esclusiva per Saturn snobbata dall’utenza occidentale all’uscita solo per diventare nel tempo un costoso feticcio per i collezionisti più dedicati del 32 bit SEGA.

La rinascita avviene inizialmente nel 2011, quando il successo di Ikaruga spinge Treasure a convertire il gioco per la piattaforma Xbox Live Marketplace

La rinascita avviene inizialmente nel 2011, quando il successo di Ikaruga spinge Treasure a convertire il gioco per la piattaforma Xbox Live Marketplace. Col senno di poi l’attuale resurrezione su Steam e compagni poggia le basi su questa vecchia incarnazione digitale, aggiungendo un piccolo, fondamentale elemento.

ANATOMIA DI RADIANT SILVERGUN

Radiant Silvergun è uno sparatutto a scorrimento verticale incorniciato da un monitor con orientamento orizzontale; un elemento distintivo piuttosto particolare in sala giochi, dove una simile tipologia viene solitamente giocata su schermi tate, con importanti eccezioni come 1944: The Loop Master di Capcom/Eighting o la serie Sonic Wings per Neo Geo. La particolarità si estende al sistema d’armamento: i caccia Silvergun (è possibile giocare in due contemporaneamente) hanno accesso a tre armi adibite ad altrettanti pulsanti, che raddoppiano premendo contemporaneamente più tasti.

Quelle lame in wireframe lì dietro sono una Radian Sword pronta a falciare l’intero schermo.

Assieme a a una lama orientabile a corto raggio capace di assorbire determinati proiettili per scatenare un potentissimo attacco speciale con tanto di preziosi attimi di invulnerabilità, la sensazione iniziale è di onnipotenza, destinata a naufragare però contro una difficoltà molto, molto alta. Tanto che la storia narra che Treasure abbia dovuto avvalersi di vere e proprie leggende dei game center per effettuare i test di rito prima di pubblicare il gioco nella sua incarnazione a gettone su scheda ST-V (SEGA Titan Video), praticamente una sorta di Saturn da sala giochi. Non è tutto perduto però, giacché i nemici si distinguono nei colori giallo, rosso e blu

.Il sistema di concatenamento chiamato Ikaruga era originariamente disponibile solo acquistato il suddetto titolo su Xbox Live

Facendo fuori una serie di tre cattivi della stessa tonalità, l’arma impiegata nel massacro guadagnerà esperienza fino a salire di livello, una meccanica molto particolare in un gioco privo di potenziamenti. Ragionare in maniera selettiva mentre lo scenario si stringe e i proiettili vengono vomitati da ogni parte è un ulteriore, importante livello di sfida che però frutta ricompense importanti: un caccia Silvergun con un’adeguata potenza bellica fonderà letteralmente i colossali guardiani di fine livello che, con la giusta dose di coraggio e abilità, possono essere anche fatti a pezzi poco alla volta tra bocche di fuoco supplementari e satelliti periferici per massimizzare il punteggio. Giocare a livelli competitivi per scalare le classifiche online diventa dunque una sfida particolarmente intrigante.

FINALMENTE CASA

La versione domestica di Radiant Silvergun offre una modalità chiamata Storia che conserva i punti esperienza accumulati, in modo da permettere al giocatore di diventare sempre più forte con un po’ di dedizione, in modo da presentarsi all’appuntamento con i boss forte di un quantitativo di vite sempre maggiore e una potenza di fuoco soverchiante. È un’opzione importante che cambia la modalità di fruizione del gioco, inizialmente riservato solo ai professionisti del genere sparatutto e ora adatto anche a chi desidera imparare meccaniche e wave design un po’ alla volta, abbracciando un concreto senso di progressione.

Potete mirare al cuore della fortezza, ma facendo a pezzi i satelliti intascherete più punti.

La bizzarra (almeno in sala giochi) sequenza dei livelli viene inoltre chiarita da dialoghi e intermezzi dove il bizzarro gruppo di protagonisti (caratterizzati dalla matita di Tetsuhiko Kikuchi, membro fondatore di Treasure e storico character designer noto come HAN) mette in scena una lunga narrazione dalle tinte insospettabilmente cupe, sicuramente influenzata dal successo di Shin Seiki Evangelion che, in quegli anni, investiva il Giappone come un uragano.

Sono presenti classifiche online per entrambe le modalità (Storia e Arcade) da filtrare attraverso le liste amici o globalmente

Complessivamente la cifra stilistica di Radiant Silvegun è rimarchevole, esaltata dall’accompagnamento curato dal veterano Hitoshi Sakimoto, famoso principalmente per il suo contributo a giochi quali Ogre Battle e Final Fantasy Tactics; qui il la predominanza di strumenti classici scandisce l’azione con una cadenza solenne e drammatica che funziona sorprendentemente bene all’interno di uno sparatutto tanto intenso. Sono presenti classifiche online per entrambe le modalità (Storia e Arcade) da filtrare attraverso le liste amici o globalmente, ma l’aggiunta che anticipavamo all’inizio riguarda il sistema di concatenamento chiamato Ikaruga, che originariamente era disponibile solo acquistato preventivamente il suddetto titolo su Xbox Live.

Il mio vulcan è a livello dieci nella modalità storia: il primo boss durerà un paio di secondi!

Scegliendolo, una combo attiva non viene più interrotta colpendo nemici di colore differente, a patto che si continui ad inanellare sequenze di tre bersagli cromaticamente analoghi. Graficamente il lavoro svolto è invece piuttosto pigro: non è presente un filtro che simuli le scanline degli schermi CRT e le poche opzioni offrono effetti di post-produzione più o meno trascurabili; il mio suggerimento è di impostare la risoluzione alta e attivare le trasparenze, anche solo per circumnavigare l’annoso (ma caratteristico) limite hardware dovuto alla complicata convivenza tra i chip VDP1 e VDP2 su Saturn.

In Breve:  Radiant Silvergun è personalmente il miglior sparatutto scritto da Treasure, ma non è per tutti. La cadenza misurata dell’azione e la difficoltà di gestire le sette armi lo rendono difficile da approcciare per chi predilige la deflagrante azione di alternative più dinamiche come i danmaku, ma lo sforzo di padroneggiare meccaniche tanto uniche viene ripagato da un gioco straordinario.
Piattaforma di Prova: PC

Configurazione di Prova: Ryzen 7 5800X, RTX 4070 12Gb, RAM 32Gb 3600Mhz, SSD
Com’è, Come Gira: Tutto perfetto sulla configurazione di prova; Radiant Silvergun è del resto un gioco con diversi lustri sul groppone, un dato di fatto che avrebbe giustificato uno sforzo maggiore per renderlo graficamente più accattivante.

 

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/gothic-classic-ii-complete-classic/gothic-ii-complete-classic-recensione/ Mon, 08 Jan 2024 11:42:50 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268416 Il 2023 di Nintendo si chiude rispettando ogni tipo di previsione o aspettativa con Gothic II Complete Classic. Archiviati i The Game Awards dove i cavalli di battaglia Super Mario Wonder e The Legend of Zelda – Tears of the Kingdom si portano a casa premi importanti, la grande N non si preclude la possibilità di far godere uno spettro vario di pubblico lì fuori, in particolare tutti gli amanti dei GDR, di quelli classici, quelli – come il sottoscritto – che hanno bramato non poco tempo fa di mettere le mani su Gothic Classic in uscita su Nintendo Switch. Neanche il tempo di sconfiggere il Dormiente che la minaccia dei draghi torna a infestare le nostro console ibride, così da addentrarci in Gothic II Complete Classic.

Sviluppatore / Publisher: THQ Nordicv / THQ Nordic Prezzo: 29,99€ Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 16 Disponibile su: Nintendo Switch  Data di lancio: 29 novembre 2023

In parte una produzione del genere si rivela estremamente interessante: con i lavori a pieno regime del remake del primo Gothic da parte di THQ Nordic, il publisher con la scusa di riempire il vuoto del titolo su console Nintendo, ammoderna e pulisce questi storici giochi, dai più dimenticati, che sono un vero e proprio pilastro delle più profonde produzioni GDR di inizio 2000.




Messi in ombra da molteplici problemi, Gothic II è sicuramente il miglior capitolo (tra qualità, narrazione ed evoluzione della grammatica di gioco) e al tempo stesso quello che ha avuto più cavilli di distribuzione, ritardandone l’arrivo in tutto il globo. Ricordo perfettamente quando arrivò in Italia per la prima volta, durante l’estate del 2003, un anno dopo la release originale e con tanti problemi di avvio a causa di diversi problemi interni all’installazione su PC.

Gustose novità anche per quanto riguarda qualche piccola aggiunta nella gestione e uso delle magie, il tutto per dare un tocco di inedito a qualcosa di per sé già appagante e gustoso

Oggi, prendere il software, installarlo su Switch e farlo avviare senza timore alcuno, è davvero un sogno che può tramutarsi in realtà e tale realtà avviene seguendo la stessa ideologia del porting precedente, con la semplice missione di ripulire, ammodernare e rendere fruibile il secondo capitolo di Gothic.

GOTHIC II: COMPLETE CLASSICA, L’AVVENTURA CONTINUA

Gothic II riprende esattamente da lì, una manciata di settimane dopo la fine di Gothic II, espediente utile per farci ripartire da zero con tutte le skills e immergerci nella nuova mappa, fuori dalla barriera e dai vecchi campi, luogo dove comunque faremo ritorno seguendo tutte le missioni principali e secondarie che ci verranno proposte.

Una bella panoramica della prima nuova zona che incontreremo.

Il pacchetto ludico di Gothic II risulta fedele e funzionale a quello già visto nel primo Gothic, potenziato come possibile con le solite criticità che oggi parrebbero venire da un periodo giurassico, dove ancora i Piranha Bytes riproponevano un sistema di combattimento estremamente legnoso e che necessitava un numero alto di punti esperienza per renderlo più fluido e godibile. Non a caso le fazioni dei maghi in questo sequel sono state riviste e ottimizzate per l’occasione, dato che una runa o un anello o una pergamena magica risultavano – e risultano – estremamente più versatili che di una progressione all’arma bianca

.Con l’aggiunta del DLC La notte del Corvo, questa edizione di Gothic II per Switch diventa assolutamente un qualcosa da avere assolutamente tra le mani

Certo, la musica cambia radicalmente con Gothic III, ma ben sappiamo i problemi di quel gioco e chissà se anche quello arriverà su Switch. Il resto del gioco si compone anche del DLC La Notte del Corvo, giusto per aumentare la già spropositata proposta di longevità di questo titolo e aggiungere un livello di sfida incalzante per i giocatori dediti a una personalizzazione di classe specifica.

MOSTRARE I MUSCOLI

Gothic II Complete Classic presenta le già rodate novità introdotte con il predecessore, con una resa estetica totalmente rivista e ripulita, un diario di bordo aggiornato, corretto e con nuove linee di dialogo o memorie, il gioco a 60FPS e, la migliore delle novità, tutte le interfacce utente totalmente riviste e aggiornate, grazie a una ruota delle armi richiamabile facilmente, come tutta la gestione dell’inventario o degli incontri con i vendor.

Preparatevi ad affrontare i possenti e temibili draghi,

La stessa mappatura dei tasti è stata ottimizzata per giocare sia in modalità portatile che con un controller, ma per i fan più accaniti c’è sempre la possibilità di staccare i JoyCon e combattere muovendo gli stessi. Qualche nuova magia – niente di così impattante sul livello di sfida – e la classica pulizia da tutti i bug, croce di quasi tutte le produzioni Piranha Bytes. Per il prezzo proposto e l’incredibile mole di ore che vi ruberà, Gothic II Complete Classic è il classico acquisto obbligato per chiunque sia fan del franchise, per riscoprire ancora una volta una vera e propria perla vicino allo status di capolavoro.

In Breve:  Anche in questa seconda occasione, ci troviamo davanti ad un porting preciso e chirurgico, una vera e propria operazione di amore e devozione verso uno dei GDR più importanti e influenti di sempre che – al netto degli anni – dimostra di avere ancora tantissimo da dire. Sarà difficile afferrare tale bellezza per i giocatori più giovani, mentre per tutti gli altri sarà il classico viaggio in un baule dei ricordi aperto ancora una volta, con un titolo che rasenta la miglior esperienza di genere.

Piattaforma di Prova: Nintendo Switch
Com’è, Come Gira:
L’ottimizzazione per la console ibrida di Nintendo mette in mostra un’esecuzione precisa e pulita a 60 fps e texture riviste.

]]> – Recensione https://www.thegamesmachine.it/arizona-sunshine-2-psvr-2-meta-quest/arizona-sunshine-2-recensione/ Sat, 23 Dec 2023 11:10:40 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268245 Il primo vero zombie slayer apparso sullo scenario VR è di nuovo tra noi. È tornato per essere il migliore o solo per farci dilaniare gibs poligonali in libertà? Fa piacere lo stesso, eh.

Sviluppatore / Publisher: Vertigo Games / Vertigo Games. Prezzo: € 49,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Co-op online PEGI: +18 Disponibile su: PC (Steam VR), PS5 (PS VR2),  Metaquest 2, 3, Pro (versione all-in-one) Data d’uscita: Già disponibile

Ci sarà una specie di Paradiso in cui gli zombie di qualsiasi foggia – dalle lente metafore romeriane dei consumatori agli infetti veloci come saette di Boyle, quelli post 28 Giorni Dopo – possano riposare tranquilli? Un luogo dove abbiano quiete dopo essere stati decapitati, smembrati, bruciati o addirittura disintegrati facendo guadagnare oceani di denaro a settori editoriali di ogni tipo, cinematografia, comics, letteratura e naturalmente videogiochi… in quest’ultimo caso lo spazio ultraterreno degli ultraterreni si moltiplicherebbe all’infinito, tante sono le sequenze ripetute più volte dai giocatori in survival e semplici zombie slayer.




Ecco, la serie Arizona Sunshine appartiene a quest’ultima categoria, puri e sanguinosissimi action adventure, laddove i suoi autori – Vertigo Games – sono tra i primi a essersi approcciati con discreti risultati tecnici non solo alla carne ciondolante VR, ma anche al gaming in realtà virtuale nel suo complesso. Proprio ora, sulla piazza del Natale, i titoli targati VG sono diversi: ce ne sono alcuni portati avanti come publisher –  Hellsweeper, ad esempio, realizzato con altri veterani del settore, Mixed Realms, gli sviluppatori di Sairento – e ben due opere uscite dalle loro abili manine che, a ben vedere, non hanno sempre la stessa fermezza ed efficacia.

Le invenzioni che di volta in volta permettono di uscire dai guai sono quanto di meglio ASII abbia da offrire, accanto al puro zombie slaying

The 7th Guest VR, buon remake del quasi omonimo horror del lontano 1993, e questo Arizona Sunshine 2, sequel che riparte da dove tutto è iniziato per i ragazzi di Vertigo Games, quando (credo addirittura sul DK2 di Oculus) io stesso rimanevo sbalordito in VR anche dal mostro più diffuso e singolarmente anonimo che l’orrore avesse mai conosciuto. Era il 2016, non avevo nemmeno bisogno del – risaputissimo, ma va beh – Paziente Zero a far da motore agli eventi come in  Arizona Sunshine II. Mi bastava star lì sotto il sole a macinare la carne.

ALL-IN-ONE, SBORONERIA E ALTRE STORIE IN ARIZONA SUNSHINE 2

Una cosa va messa in chiaro, visto che tra le produzioni Vertigo è passato per strada anche After the Fall, tutt’ora imperfetto ma divertente con la sua apocalisse ghiacciata e zombie a tema: Arizona Sunshine 2 apre al co-op come il primo capitolo ma è vistosamente scritto per il single player, considerata la grandezza delle aree e il tipo di sfida che propone. Questo non significa che non si possa goderselo con un amico, ma la sua stessa calibrazione  della difficoltà e le soluzioni/invenzioni che propone di volta in volta per uscire dai guai sono quanto di meglio abbia da offrire, sia nel level che nel game design.

Gradita guest star, Buddy il cane lupo. Quante soddisfazioni 🙂

Come grandezza delle aree potremmo darvi il riferimento di Dead Island 2, esattamente come per la densità controllata (o incontrollata, ma solo in passaggi specifici dove la fuga o la chiusura di qualche luogo sono obiettivi primari) dei non morti che vi troverete a sfoltire. Azzoppare i poveracci delle prime linee è fondamentale, oltre a far scoppiare allegramente teste e arti con un discreto sistema di smembramento, ma d’altra parte Arizona Sunshine 2 smette qui di assomigliare ai suoi migliori fratelli, non avendo un impianto di crescita RPG e nemmeno i tratti survival di un Saints & Sinners: un cinturone con due slot per pistole o mitragliette, uno dietro per i fucili, strumenti melee debitamente sanguinolenti – ma che non possono essere messi in inventario e si deteriorano in una manciata di uccisioni – munizioni a gogo, un sistema di ricarica semi-realistico (il feeling è quello, ma è studiato per essere più veloce) e speciali borse rinvenibili nelle ambientazioni ove inserire semplici oggetti di crafting e giocarsi la carta – letteralmente, sono rappresentate così – di mine, granate, molotov e simili ordigni.

Il livello di attenzione verso smembramenti ed effetti simili è al top, questo è un puro zombie slayer.

Strizzando chiaramente l’occhio a Fallout, infine, avrete Buddy, un simpatico pastore tedesco che ama tantissimo azzannare i singoli vaganti da noi indicati, aumentare di fatto gli slot delle armi (ne ha due ai fianchi, nonostante la sua presenza sia anche al servizio di un minimo, ma proprio un minimo, di stealth) e risolvere qualche piccolo enigma ambientale.

Arizona Sunshine 2 apre al co-op come il primo capitolo ma è vistosamente scritto per il single player

Tutte caratteristiche mediamente ben implementate, ma a parte una pulizia tecnica sicuramente migliorabile, soprattutto nelle compenetrazioni poligonali e nell’interazione poco precisa di Buddy con gli oggetti, Arizona Sunshine 2 incespica esattamente nelle stesse ristrettezze grafiche di altri giochi VR di questi anni: il fatto – ad esempio sui modelli Quest – che gli sviluppatori debbano/vogliano tenere presente la ridotta capacità computazionale del processore interno dei sistemi all-in-one, specie nelle zone all’aperto o i determinate condizioni di luce, migliorando poi alcuni tratti migliorabili ma senza rivoluzionare l’impianto. Le versioni da noi provate sono quelle Steam VR e PS VR2, quindi teoricamente libere da sostanziali bottleneck, ma i limiti nel disegno e nella concezione degli scenari si vedono lo stesso. 80 è il giusto voto, AS2 è assai divertente, ma avrebbe potuto aspirare a molto di più e, badate bene, qui lo botta visiva non è un optional.

In Breve: Arizona Sunshine 2 rinnova l’offerta di uno dei primi zombie slayer VR degni del genere, migliorandolo in tutto e affrontando, però, uno dei “peccati originali” del gaming in realtà virtuale di questi anni: quando di mezzo c’è la progettazione parallela per un all-in-one, magari i processori interni dei modelli Quest, tendenza vera per buona parte della produzione più in vista, il risultato si rivela spesso visivamente limitato anche quando, come per la PS VR2 protagonista della prova, contenere troppo la complessità di texture, modelli ed effetti dovrebbe avere molto meno senso. Nel caso di Arizona Sunshine 2, però, da considerare c’è anche un poderoso fiasco mezzo pieno: un action adventure ben serrato, gestione simil-realistica delle armi con forti intarsi arcade, valido sistema di smembramento e alcuni dettagli mutuati dai colleghi – gli infetti che sviluppano sorte di corazze ossee/muscolari più resistenti ai colpi, proprio à la TLoU; tutti ingredienti realizzativamente non immacolati ma nel complesso capacissimi di fare il loro dovere. Al netto, anche, di un sanguinoso pet di servizio e un motore degli eventi allo stesso tempo effici ma già visti, rispettivamente il prezioso cane lupo e l’abusatissimo espediente del Paziente Zero, c’è comunque da rammaricarsi per un risultato con potenzialità vicine all’eccellenza, ormai svanite.

Arizona Sunshine 2 uscita

Configurazione di Prova: PlayStation 5, PS VR2
Com’è Come Gira: L’abbiamo provato sia su un più che discreto PC al massimo delle opzioni grafiche (Ryzen 5, 16 GB di RAM, RTX 3070, SSD) che su una PlayStation VR2, non rilevando in entrambi i casi problemi di performance – complice l’esagerata “nebbiolina” in diversi luoghi, maledetta lei. Segnaliamo qualche bug di compenetrazione e Buddy che deve migliorare nell’interazione con gli oggetti. Suvvia, piccolo, nel 2023 ce la puoi fare.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/sigil-2/sigil-2-recensione/ Wed, 20 Dec 2023 13:00:49 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268104 Contro tutte le fiamme che l’Inferno può evocare, John Romero propone SIGIL 2, il nuovo capitolo non ufficiale di DOOM, sorretto, affinato e costruito sull’impalcatura ludica del titolo originale del 1993. Insomma, una nuova ossessione per il sottoscritto.

Sviluppatore: / Publisher: John Romero Games / John Romero Games Prezzo: Gratis Localizzazione: Presente Multiplayer: Presente PEGI: 18 Disponibile su: Xbox Series X|S, Xbox One, PlayStation 5, PlayStation 4, Nintendo Switch, PC (Steam) Data d’uscita: Già disponibile

Se impostassimo una DeLorean immaginaria al 1993, due anni prima della mia nascita, probabilmente godrei uno dei momenti più importanti del panorama dei videogiochi. Formalmente, credo esista un prima e un dopo DOOM, esattamente come si potrebbe dire per Half-Life e, perché no, addirittura Quake, altra produzione di id Software che, di sicuro, non ha bisogno di ulteriori presentazioni.




È bastata una notizia, il trentesimo anniversario di DOOM (1993) e un comunicato di John Romero per arrivare a un momento che definire rilevante nelle ultime due settimane, è particolarmente eufemistico per chiunque adori la storia dietro a uno dei punti cardini dell’industria dei videogiochi. E se quel momento c’entra con John Romero, game designer del primo e iconico DOOM, le attenzioni si fanno totali, gli occhi sono solo su questo titolo e non c’è proprio modo per desiderare null’altro, a meno che non vogliate volare su Pandora o, chissà, a menare le mani su Granblue Fantasy Versus: Rising – cosa che sto facendo, ma prima dovevo finire i nove livelli di SIGIL 2.

Fermo, fermo… non ti muovere; è per il web!

Già, nove livelli aggiuntivi: in sostanza, un gioco completo. Come completo era anche il primo, indimenticabile e infernale SIGIL, che in fatto di difficoltà sapeva come lasciare il giocatore alla mercé dell’Inferno e proporre, al contempo, livelli complicati e intricatissimi, degni del primo capitolo del franchise. Guardandoli ora, osservandoli meglio e capendoli, dopo aver concluso SIGIL 2 nella modalità più difficile che l’esperienza offre (non è per i deboli di cuore; qui si va oltre l’hardcore nudo e crudo), ho ritrovato aree aperte e più grandi, simili addirittura a quelle di DOOM Eternal, in fatto di composizione e scelta ambientale. Ora, DOOM (1993) sapeva come coniugare quel piatto tanto ambito e anche offrire delle arene intricate in cui affrontare le orde dei demoni: ora questa certezza si è trasformata, radicandosi e riuscendo, allo stesso tempo, a offrire nove livelli di puro coinvolgimento.

Un videogioco completo, ripeto, migliorato e affinato, una delizia tale che è un peccato non sia anche sui canali ufficiali e venduto separatamente

Un videogioco completo, ripeto, migliorato e affinato, una delizia tale che è un peccato non sia anche sui canali ufficiali e venduto separatamente – come si potrebbe dire, in tal senso, anche per God of War Ragnarok: Valhalla, DLC di Santa Monica, anch’esso gratuito. Per raggiungere SIGIL 2, farlo proprio e cose così, insomma, basta andare in questo magico link. In tal caso, è anche disponibile su Xbox One, Xbox Series X|S, PlayStation 4, PlayStation 5 e Nintendo Switch fra gli add-on dedicati, quelli che si possono scaricare e appiccicare al titolo originale.

SIGIL 2, OLTRE IL CONTESTO DI DOOM

Essendo collegato alla lore del primo capitolo ufficiale, SIGIL 2 mantiene le stesse dinamiche narrative, raccontando la sua storia attraverso le ambientazioni e ciò che vi è attorno, con il Doomguy come assoluto protagonista delle vicende. Com’è tipico per la serie e in generale per il trentennale franchise, non c’è una storia palesata nel vero senso del termine, anche se John Romero ha lasciato tracce di quello che è effettivamente il racconto complessivo dell’esperienza in ogni sua formula, intensificando una magia che riesce a meravigliare e a colpire in modo deciso. Intanto che si fossilizza e ramifica maggiormente il talento del game designer statunitense, allo stesso modo quanto avviene è degno di nota, tanto da configurarsi in maniera imprevedibile sul lungo corso.

Il primo livello è follia allo stato puro e introduce alla difficoltà intricatissima dell’opera.

Al riguardo, John Romero ha lavorato in modo attento e peculiare a fornire ogni elemento contraddistinto all’interno del suo capolavoro, riuscendo sia a dare un continuum a DOOM e, al contempo, a donare atmosfere e sensazioni inedite, capaci di attirare e coinvolgere positivamente il giocatore. Questo, unito a un estro sopraffino, si aggiunge alla consapevolezza di cui sopra, anno dopo anno sempre più, dando senso allo spessore di un game designer costantemente sulla cresta dell’onda, capace di offrire un’epopea unica nel suo genere e arricchita da tante sfumature in grado di spingere inesorabilmente il giocatore a vantare di quelle atmosfere vincenti e appaganti. Al riguardo, la chiave di volta di questi nove livelli è una sola: level design. Se già in passato era brillante, unico e forte, nonché ben implementato, in SIGIL 2 l’epopea migliora definitivamente, raccogliendo una prova sontuosa di cultura e passione, legata allo stesso modo a un filo conduttore che conduce il giocatore verso delle reali porte infernali impreziosite dalla passione di John Romero per la sua creatura originale.

LA BRILLANTEZZA DEL LEVEL DESIGN

Come DOOM è sempre DOOM, SIGIL 2 non inventa la ruota ma, allo stesso modo, riesce a innovarsi mantenendo il suo stile vecchia scuola che tanto adoro da sempre. Lo ammetto, non potrei farne a meno: è certamente più forte di me sotto ogni punto di vista, tanto da mantenere quell’affascinante approccio che tanto adoro negli shooter in prima persona di quell’epoca tanto decantata – e pure meritatamente.

Così bello e avvolgente che potreste non farne affatto a meno

Comunque, al tempo non c’era la fluidità di oggi e si aveva un’interfaccia con segnalini di vita, corazza e quant’altro su uno sfondo metallico, che dava informazioni specifiche su quanto veniva mostrato al giocatore. Ciò non cambia, e come potrebbe? D’altronde, per far funzionare SIGIL 2 è necessario possedere DOOM (1993) su qualunque piattaforma si preferisca.

Come già esplicato, il level design è di assoluto prim’ordine.

Intercambiare le armi è rimasto pressoché immutato, con poche reali novità nell’architettura di gioco, se non nel level design, ben implementato e utile, coinvolgente e appagante come non mai. A tal proposito, come già accennato in precedenza, esplorare e sviscerare cosa si ha attorno è di sicuro la parte migliore dell’intera esperienza, che espande in modo appassionante ciò che si è visto in passato con DOOM (1993). A offrire ulteriori soluzioni, inoltre, è la metodologia che riguarda cosa si affronta all’interno dell’esperienza di gioco, in un’avventura che accoglie vari modi per affrontarla al suo meglio. Non dimenticherò facilmente che è necessario sparare a un occhio per accedere a una nuova sezione del livello, come non sarà facile scordare le ondate di nemici che John Romero ha sapientemente infilato in ogni sezione, con l’obiettivo di fare del male a chiunque.

È un’opera estremamente lucida e arricchita da tanti rimandi al passato e, soprattutto, impreziosita da un sound design di prim’ordine

È un’opera estremamente lucida e arricchita da tanti rimandi al passato e, soprattutto, impreziosita da un sound design di prim’ordine. D’altronde, è quello classico: non è cambiato alcunché nel titolo; tutto è stato migliorato e ingigantito ancora di più, per consentire agli appassionati di sempre di vivere nove livelli al massimo della difficoltà, spendendo dieci ore per trovare tutto quanto, e quindici per arrivare a scoprire ogni segreto all’interno di SIGIL 2, che si dimostra un videogioco intelligente, appassionante e un altro grande sonetto targato John Romero.

In Breve: Intelligente e appassionante, SIGIL 2 è un continuum fantastico e meraviglioso, denso e complesso, intricato e spensierato, arricchito di tanti rimandi quanto di elementi positivi al suo interno. È pensato per gli hardcore gamer e coloro che non possono fare a meno di giocare e giocare all’infinito a produzioni di questo calibro, che per DOOM hanno letteralmente anima e corpo, e sacrificato molto più di quanto qualcuno penserebbe. Da vivere intensamente.

Piattaforma di Gioco: Xbox Series X
Com’è, Come gira: Ottimamente, al netto dell’assenza degli obiettivi. È pensato per essere una prosecuzione come fosse un nuovo DOOM in pixel art. Meraviglioso, già.  

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/cookie-cutter/cookie-cutter-recensione/ Mon, 18 Dec 2023 10:43:35 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268035 Se state seguendo Cookie Cutter fin dai suoi primi vagiti non potete non essere intrigati dal suo particolarissimo stile “hand-drawn” e dal sanguinolento stile punk-distopico. Finalmente il suo momento è giunto e ciò che ci siamo trovati davanti è un’interpretazione del genere Metroidvania abbastanza classica sotto il profilo del gameplay ma con tanti piccoli tocchi di classe.

Sviluppatore / Publisher: Subcult Joint LTD / Rogue Games, Inc. Prezzo: € 19,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: +16 Disponibile su: PC (Steam, Epic Store), PS5, Xbox Series X|S Data d’uscita: Già disponibile

In più di un’occasione abbiamo evidenziato il fatto che molti sviluppatori indipendenti scelgono di realizzare un Metroidvania come titolo d’esordio. Le motivazioni sono semplici da individuare: è un genere che ha paletti ben definiti e infinite fonti d’ispirazione, ma che al tempo stesso concede una certa libertà creativa. Subcult Joint, giovane meltin pot di programmatori, artisti e animatori che include anche talenti italiani, ha abbracciato in pieno questa scelta ma ha avuto il coraggio di realizzare un titolo stilisticamente diverso, “fatto a mano” con pazienza certosina e contraddistinto da una classe ammirevole.




Cookie Cutter ha un plot inizialmente abbastanza classico: siamo nel classico mondo distopico fatto di sopravvissuti, androidi, innesti illegali e neon… tanto neon. Una mega-corporazione allunga le sue pesanti mani sopra la testa di tutti, schiacciando vite e speranze, e un leader psicopatico segue tutto dall’alto cullandosi nella sua utopica ed egocentrica visione del futuro.

L’incipit narrativo di Cookie Cutter è un bel pugno nello stomaco e fa subito capire il mood generale della storia.

In questo scenario desolante troviamo Cherry, giovane androide sopravvissuta ad un trauma che l’ha privata del suo grande amore nonché creatrice, rapita dal suddetto pazzoide. Il gioco parte subito in quarta e mette in campo una storia potente che lascia poco all’immaginazione. Cookie Cutter non è il solito gioco fantasy con fatine, vampiri e mostriciattoli vari. Cookie Cutter racconta una storia dai molteplici strati e numerose sfumature che vi consigliamo di godervi senza troppi preconcetti… diciamo questo perché già possiamo immaginare il tono di alcuni commenti a determinate scelte narrative.

UNA (O QUASI) CONTRO TUTTO SU COOKIE CUTTER

Il gioco si svolge all’interno della Megastruttura, un complesso industriale ultra-tecnologico che per certi versi potrebbe ricordare la Midgar di Final Fantasy VII. Qui al posto della Shin-ra troviamo la Infonet, potente organizzazione che sotto la promessa di un nuovo ed equo ordine sociale nasconde ovviamente mire tutt’altro che umanitarie. Cherry è l’emblema della ribellione ma le sue possibilità di vittoria inizialmente sono a dir poco nulle, così come le sue abilità. Come da tradizione la protagonista acquisirà nuovi poteri e armi con il procedere della storia e dell’esplorazione, che fin dall’inizio concede una discreta libertà al giocatore.

Cherry può curarsi sfruttando la carica dell’indicatore VOID, ma farlo quando si è accerchiati dai nemici non è cosa facile.

In termini di arsenale, Cherry può disporre di armi non proprio convenzionali tra cui un gigantesco pugno meccanico, una motosega da fare invidia a Leatherface ad una chitarra elettrica più utile a spaccare grugni che a produrre assoli. La piccoletta può anche utilizzare una motocicletta per togliersi dagli impicci e credeteci, ne affronterà di tutti i colori. La maggior parte dei nemici sulla sua strada saranno di tipo meccanico, ma non mancano varianti più esotiche dotate di poteri del tutto particolari. Se siete abituati ai Metroidvania in cui basta allontanarsi da un nemico per sentirsi al sicuro preparatevi a qualche brutta sorpresa. Parate e schivate ancora una volta dovranno diventare il vostro pane quotidiano perché Cookie Cutter non è un gioco fatto per i tank. Nel confronto uno-contro-uno anche la Cherry iniziale ha pochi rivali ma il gioco tende spesso a mettervi di fronte ad un numero di avversari quasi soverchiante, che vi costringe non solo a darci dentro col pestaggio dei tasti ma anche a valutare attentamente e velocemente le mosse. In alcuni casi il bilanciamento non è perfetto e non mancano momenti di frustrazione, mitigati da un posizionamento dei check-in di respawn abbastanza generoso.

Cookie Cutter non è il solito gioco con fatine e vampiri, è un cocktail irriverente di personaggi che non sfigurerebbero in un Anime

Lo sblocco di nuove abilità e il ritrovamento di preziosi componenti di potenziamento tendono a movimentare un po’ le cose con il procedere del gioco, costringendo il giocatore a cambiare di tanto in tanto alcune “abitudini” di combattimento. Il problema è che in alcuni casi il ritrovamento di tali elementi non arriva quando dovrebbe: o troppo presto, cosa che rende le fasi successive troppo facili, o troppo tardi, dando vita a qualche picco di difficoltà fin troppo alto.

OCCHIO ALLE SBORNIE

A rendere più speziata una formula di gioco che inevitabilmente sa un po’ di già visto troviamo una scrittura pepata, che mixa umorismo e irriverenza a violenza e compassione, buttando in mezzo anche un pizzico di pseudo-erotismo. Il risultato è un cocktail esaltato da un cast di comprimari azzeccati, che non sfigurerebbero in una versione Anime, e una localizzazione in italiano dei testi che a parte qualche piccolo refuso e un paio di disattenzioni nelle traduzioni, è davvero di buon livello. Non era un risultato scontato in quanto spesso e volentieri il linguaggio utilizzato in Cookie Cutter è davvero fuori dalle righe per non dire crudo, in totale antitesi con lo stile kawaii giappo-coreano di personaggi e ambientazioni.

Alcune tecniche speciali di Cherry sono altamente spettacolari, peccato che nella concitazione del combattimento sia difficile godersele.

Ciliegiona sulla torta è ovviamente la direzione artistica che, beh, si commenta da sola. Le immagini non rendono merito al lavoro fatto dal team di sviluppo perché il gioco in movimento è davvero eccezionale e la quantità di dettagli su schermo in ogni istante è spesso sorprendente… il tutto con una fluidità che conosce davvero pochi e trascurabili tentennamenti

.A rendere più speziata una formula di gioco che sa un po’ di già visto troviamo una scrittura che mixa umorismo e violenza, buttando in mezzo anche un pizzico di pseudo-erotismo

Cookie Cutter è un metroidvania derivativo e alcune asperità nel suo gameplay gli impediscono di ambire al top della classifica di genere. Questo è inconfutabile, ma lo è altrettanto il fatto che il gioco in questione prova a fare qualcosa che la maggior parte dei suoi simili trascura: raccontare una storia “importante” di ribellione ma anche d’amore. Non è cosa da poco, per questo ci sentiamo di consigliarvelo affidandoci alle vostre sensibilità, ma non solo quelle che risiedono nei pollici o nei riflessi.

In Breve: Un metroidvania abbastanza classico nella formula di gioco, ma artisticamente sopra la media e impreziosito da un cast che non sfigurerebbe in un Anime. Alcuni problemi di bilanciamento non gli impediscono di essere un titolo altamente godibile e di raccontare una storia piena di significati che merita di essere ascoltata.

Piattaforma di Prova: PlayStation 5
Com’è, Come gira: Un divertente metroidvania con qualche problema di bilanciamento di troppo. Esteticamente e stilisticamente sublime, su PS5 non soffre di particolari problemi fatta eccezione per qualche tentennamento dell’engine nelle fasi più concitate… che in Cookie Cutter non mancano di certo. La telecamera è forse un po’ troppo lontana dall’azione, qualche zoom specialmente durante le tecniche speciali o i combattimenti “da arena” non avrebbe guastato.

 

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/hirilung/hirilun-recensione/ Mon, 18 Dec 2023 10:42:12 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=268047 Correre, scattare, saltare, planare, senza scopo alcuno se non limare qualche decimo di secondo dal proprio Personal Best. Non c’è altro, e non ci sarebbe tempo per altro, in Hirilun.

Sviluppatore / Publisher: Gone Mad Studios / Meridian4 Prezzo: 9.99 euro Localizzazione: Assente Multiplayer: AssentePEGI: Assente Disponibile su: PC (Steam), PS4, PS5, Xbox, Switch Data d’uscita: Già disponibile

La vita scorreva placida a Brufolandia, prima dell’arrivo del drago Sputacatarro. No, cambiamo. La bella principessa per sbaglio ha bevuto la Pozione della Flatulenza Maggiore, e ora il castello è avvolto da una nube mefitica. Nemmeno. Non è facile iniziare la recensione di un gioco che non ha una storia alle spalle, forse non siamo più abituati a selezionare semplicemente la voce “Play” senza tutta una serie di complicati preamboli, ma questa volta va così, dunque vi risparmio pietosi tentativi di ricamarci una trama attorno.




In realtà un’informazione piccola piccola ce l’abbiamo: Hirilun sarebbe nome della città eponima di questo first person runner sviluppato da Gone Mad Studios e distribuito da Meridian4. Qui si mette in campo la crudele filosofia del time attack più estremo: hai chiuso il percorso in un buon tempo? Forse, e dico forse, potrai sbloccare il livello successivo. Altrimenti sei condannato a riprovare in eterno gli stessi salti, con un occhio sull’azione e un occhio incollato al timer che avanza inesorabilmente, certo di essere già in grave ritardo.

HIRILUN: FAITH DI MIRROR’S EDGE A SIN CITY

Hirilun è un inno al parkour. Dovendo trovare titoli dalla filosofia simile, si potrebbero citare Mirror’s Edge e il sequel Mirror’s Edge Catalyst, ripuliti di tutto ciò che non sia strettamente indispensabile al correre come pazzi. Via le armi, via i nemici, via una protagonista carismatica come Faith e, già che ci siamo, via anche i colori. Tutte le ambientazioni sono rappresentate in bianco e nero, nel senso più stretto del termine, ovvero utilizzando solo il bianco e il nero, con qualche sporadica apparizione di un paio di tonalità di grigio.

L’agognato checkpoint sembra vicino, forza, corri!

Non ci sono ombre, a volte pare non vi siano nemmeno poligoni giacché le sezioni all’interno di tunnel, condotti, e stretti cunicoli, sembrano realizzate in wireframe. In questo mondo diversamente variopinto si stagliano solo il rosso scarlatto del traguardo e dei checkpoint intermedi, e il giallo delle gemme da raccogliere per fermare il cronometro giusto per un istante o poco più. Una fotografia che ricorda vagamente Sin City, anche se il trionfo della decadenza rappresentato da Frank Miller è stato rimpiazzato con ambienti asettici e geometrici che sembrano usciti da qualche fantaprototipo concepito per lo sfortunato Virtual Boy di Nintendo. Con un gameplay ridotto all’osso e una rappresentazione grafica così minimalista, su cosa avranno puntato gli sviluppatori di Gone Mad Studios per catturare l’attenzione dei giocatori? Sui percorsi, ovvero sul level design.

NON DITE “SOLO SEI”, SARÀ UN’IMPRESA VEDERLI TUTTI

Scorrendo il menù delle opzioni ci si rende subito conto che ci sono solo sei livelli. Non è chiaro se ne verranno aggiunti altri in seguito, probabilmente dipenderà dal successo di Hirilun, tuttavia non fatevi condizionare da questo numero, dato che vederli tutti non sarà certo una passeggiata, anzi preparatevi a sudare sette camicie e rinnegare altrettante divinità solo per sbloccare il terzo, dato che gli unici livelli liberamente accessibili sono i primi due. Dopodiché, per accedere ai successivi, è necessario collezionare stelline. Come si ottengono? In base al tempo impiegato per giungere al traguardo.

Siamo molto in alto, mancare una piattaforma significherebbe cadere e ricominciare dall’inizio.

Generalmente, con un tempo incredibilmente buono si guadagna una stellina, correndo alla velocità della luce ne riceverete due, e se riuscite a entrare in simbiosi con la PS5 potrete ambire alla terza stellina. Questo per darvi un’idea di quanto stretti siano i tempi che ci sono concessi. La mia prima run, per farvi un esempio, è stata chiusa in nove minuti abbondanti.

SCATTO, DASH E PLANATA

Il nostro protagonista senza nome corre veloce e salta, e teoricamente potremmo completare ogni percorso senza ricorrere ad alcuna abilità speciale, a discapito di un tempo degno di nota. Ecco quindi venire in nostro soccorso lo scatto per avere uno speed boost, la possibilità di planare invece che cadere come sacchi di patate, e una specie di ipersalto che potremmo paragonare al dash dei vari platformer, o magari, per citare un gioco recente dove c’è molto da arrampicarsi, proprio al dash di Ghostrunner. Sono poteri ovviamente limitati, ciascuno con la propria barra di energia che consente di tener d’occhio la situazione e, a seconda della mappa nella quale ci stiamo cimentando, possono ricaricarsi o meno.

La verticalità di alcune sezioni ci costringe a folli discese.

La loro gestione è fondamentale, e solo in seguito a molti tentativi saremo in grado di capire quali sono i giusti momenti in cui utilizzarli. Perchè alla fine la chiave del successo risiede in due elementi: la profonda conoscenza delle mappe, e il sapiente utilizzo dei powerup. Questo, supponendo che siate macchine e inanelliate salti precisi al millipixel uno dietro l’altro. Altrimenti, tutto finirà alle ortiche. Una piattaforma mancata, un atterraggio troppo in avanti, un bonus fermatempo non raccolto, ogni insignificante svista può trasformare una run eccezionale in una pessima prova.

DEDICATO A UN PUBBLICO HARDCORE

Come molti time attack, Hirilun si rivolge all’utenza hardcore. Chiunque può farci una partitella, trovando anche soddisfazione nello scoprire percorsi alternativi – ogni mappa ne ha almeno due o tre, e chissà quale sarà il migliore – e abbassare pian pianino il tempo per arrivare al traguardo. Tuttavia un approccio casual non solo non vedrà il vostro nome comparire nelle classifiche mondiali, il che non sarebbe nemmeno un grosso problema data la keyword “casual”, ma rischia anche di non farvi sbloccare tutti i percorsi, e minare il vostro divertimento.

La città di Hirilun ha un’architettura molto particolare.

Ricordiamo infatti che non c’è una storia di background e non c’è nulla da fare se non correre come forsennati, dunque se puntate semplicemente a portare il vostro sederino al traguardo, l’entusiasmo è destinato a scemare in fretta. Speedrunner e content creator invece andranno a nozze con incredibili video per tramandare ai posteri le loro mirabolanti galoppate. Lo accendiamo? Solo per chi è disposto a investirci parecchio tempo e gode di una coordinazione coordinazione oculo-manuale da Terminator.

In Breve: Hirilun non scherza e si presenta subito per quello che è: un first person runner velocissimo, difficile e punitivo, in cui anche il più piccolo errore può fare la differenza tra un’ottima run e una prova fallimentare. Richiede molto tempo per imparare a memoria il percorso ottimale, per poi farvi amaramente scoprire che in realtà esiste un modo molto più veloce per raggiungere il traguardo, anche se richiede una precisione ancora maggiore. Sicuramente destinato a un pubblico hardcore, che non ha paura di provare lo stesso salto centinaia di volte prima di trovare la perfezione. Un gioco per pochi, ma a quei pochi piacerà.

Piattaforma di Prova: PS5
Com’è, Come Gira: L’ammiraglia Sony non ha problemi a gestire il minimalismo di Hirilun, tuttavia la presenza di soli due colori e l’assenza di ombre rende a volte difficile capire a quale distanza e altezza siano effettivamente alcune piattaforme.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/sociable-soccer-24/sociable-soccer-24-recensione/ Fri, 15 Dec 2023 11:21:40 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=267976 War has never been so much fun, war has never been so much fun. Non c’ entra nulla con Sociable Soccer 24, ma ogni volta che sento il nome di Jon Hare, la devo canticchiare.

Sviluppatore / Publisher: Tower Studios, Combo Breaker / Tower Studios Prezzo: 29.99 euro Localizzazione: Testi Multiplayer: PvP locale e online PEGI: ND Disponibile su: PC (Steam) Data d’uscita: Già disponibile

Pare impossibile, ma una volta i videogame potevano essere giocati con joystick dotati di un solo tasto di fuoco. Anche quelli calcistici. Devi passare la palla? Premi il bottone uno. Tirare in porta? Bottone uno. Rimessa laterale? Bottone uno. Entrata spaccacaviglie in scivolata? Bottone uno. Di necessità virtù, nacquero capolavori di tecnica e giocabilità in grado di aggirare questi limiti entrando nel cuore degli appassionati.




Come dimenticare Kick Off con il mitico Cartellino Gaillo o Sensible Soccer? Lo spirito quest’ultimo è tornato sui nostri monitor con Sociable Soccer 24, sviluppato e pubblicato da Tower Studios, software house fondata nel 2004 da Jon Hare, la mente del gioco originale, con il duo Mike Montgomery e John Phillips, ex membri di punta della Bitmap Brothers. È stato un viaggio decisamente lungo, iniziato nel 2017 in Early Access su Steam, ma ora finalmente è arrivato alla release finale. Saremo ancora capaci di divertirci a tirare in porta in salsa arcade senza alcuna velleità simulatoria, o i tempi sono cambiati ed è rimasto pane solo per i denti dei retrogamer? Infiliamo scarpini e guanti da portiere e scendiamo in campo a scoprirlo.

DA TEHKAN WORLD CUP A SOCIABLE SOCCER 24

La storia di Sociable Soccer 24 inizia trentotto anni fa, nel 1985, con l’arrivo nelle sale giochi di Tehkan World Cup. Se il nome Tehkan non vi dice nulla significa che siete troppo giovani per aver giocato a Bomb Jack, tuttavia l’azienda nel 1986 diverrà Tecmo, e già dovrebbe suonarvi più famigliare dato che ha sfornato tra gli altri Rygar, Solomon’s Key e Ninja Gaiden. Ma torniamo a Tehkan World Cup. È un gioco di calcio con visuale a volo d’uccello – già, al quel tempo non c’erano droni – a scrolling multidirezionale. Ciò significa che sullo schermo è visualizzata solo una porzione del campo, con la telecamera che si muove seguendo l’azione.

La Juve sta cercando di uscire dalla propria metà campo ma io sono in pressing.

Decisamente impressionante per l’epoca, e infatti colpisce anche l’immaginazione di Jon Hare, game designer britannico che approfittando della mancanza di conversioni per sistemi domestici – dovremo aspettare il 2004 per vederlo arrivare su PS2 – nel 1988 sviluppa, assieme al programmatore Chris Yates, MicroProse Soccer, fortemente ispirato proprio al summenzionato cabinato. Sensible Software, questo il nome del dinamico duo diventato poi trio con il musicista Martin Galway, macinerà successi uno dietro l’altro, fino ad arrivare al titolo pertinente al fine di questa recensione: Sensible Soccer, classe 1992, per Amiga e Atari ST.

Sociable Soccer 24 è un ritorno agli anni ‘90: gameplay immediato, atmosfera scanzonata e controlli essenziali. Ma anche AI rudimentale, purtroppo

Oltre a una giocabilità da manuale, presentava l’iconica visuale a volo d’uccello da un’altezza molto più elevata rispetto a quanto proposto da videogame simili, e l’aftertouch, ovvero la possibilità di deviare la traiettoria della palla una volta calciata, con effetti degni di Holly e Benji. Divertentissimo e tecnicamente impressionante – segnatevi questo appunto perché ci ritorneremo – conquisterà il cuore di migliaia di appassionati. E ora mandiamo velocemente avanti il nastro fino ai giorni nostri.

DALL’AMIGA AL PC, PASSANDO PER IL MOBILE

Sociable Soccer nasce come gioco mobile, parte dell’offerta Apple Arcade, e il percorso ha senso: mentre su PC i videogame calcistici offrivano sempre più realismo e complessità, sugli smartphone si tornava in un certo modo alle origini, con i famosi one-button game. Ottimo terreno per Jon e la sua squadra, che ora han traghettato tutto sulle nostre macchine, portando però oltre a controlli semplici anche qualche aspetto che non tutti vedranno di buon occhio, come i premi sbloccabili di giorno in giorno e il sistema di upgrade dei giocatori, entrambi pesantemente abusati nei sistemi di monetizzazione free to play.

I portieri sono sempre dove non dovrebbero essere.

Anche se qui non ci sono acquisti in app, perché costringere la gente a loggarsi ogni santo giorno? Superato questo scoglio, è un gradito ritorno al gameplay degli anni ’90 – dai, specifica quali anni ‘90 così ci fai sentire vecchi – del secolo scorso. Una volta scelta la squadra tra le oltre mille presenti con licenza FIFPRO, la federazione internazionale dei calciatori professionisti, siamo già pronti a lanciarci in partite singole, campionati, o nella modalità storia.

Sensible Soccer non era solo un capolavoro di giocabilità ma anche una grande lezione di tecnica. Sociable Soccer 24 è un paio di scalini sotto la media delle produzioni indie

La parte manageriale è semplice ma abbastanza completa, e ruota attorno alla creazione del dream team che possa scalare tutte le classifiche. C’è un pizzico di Collectible Card Game in quanto vincendo o pareggiando dignitosamente si guadagnano stelline per sbloccare nuove Carte Giocatore, che possono essere upgradate come le truppe di Clash Royale. Nessuno comunque farà propria una copia di Sociable Soccer 24 per emulare le gesta di Enzo Bearzot, dunque lasciamo che sia il pallone a parlare.

TUTTO (MA PROPRIO TUTTO) COME UN TEMPO

Prima di ogni partita ci viene assegnato un improbabile arbitro, che può essere un tizio mezzo sbronzo strappato a forzal da bancone del pub, o una zelante signorina dal cartellino rosso facile, o ancora un Mr. Magoo in maglia nera che non si accorgerebbe di un fallo nemmeno se commesso sotto il suo naso. Siamo negli anni ‘90 di quel secolo lì e l’umorismo è parte del gameplay.

Il circolino verde indica la stamina. Siamo ancora in perfetta forma.

Sorprendentemente l’inquadratura di default non è l’iconica a volo d’uccello, ma un paio di click nel menù delle opzioni rimediano al misfatto. E tutto a un tratto il PC si trasforma in una macchina a 16 bit: l’immediatezza dei controlli, non più con un solo tasto ma comunque essenziali, la breve durata delle partite e il frenetico game loop che consiste nel lavorare di tackle quando non siamo in possesso di palla e correre come pazzi, tenendo d’occhio la stamina, verso la porta avversaria quando la sfera è tra i nostri piedi.

Avevo scritto “tecnicamente impressionante” – mentre oggi siamo un paio di scalini sotto la soglia consentita anche per un indie emergente, figuriamoci per un veterano come Jon Hare

Non c’è nulla di più e non sarebbe nemmeno servito nulla di più, Sociable Soccer 24 potrebbe ambire alla perfezione così, nella sua semplicità, se non fosse per un’AI che ai giorni nostri avrebbe dovuto spremersi le meningi un po’ di più invece di proporre portieri oltremodo distratti, e una certa carenza di opzioni. E non sempre ci si può salvare in corner con il lemma “che ne sanno i 2000” poiché il primo Sensible Soccer oltre a essere immediato e divertente era anche tecnicamente all’avanguardia – ricordate? Avevo scritto “tecnicamente impressionante” – mentre oggi siamo un paio di scalini sotto la soglia consentita anche per un indie emergente, figuriamoci per un veterano come Jon Hare. È stato fatto il possibile e per un po’ funziona, ma non è questo l’erede di Sensi.

In Breve: Sociable Soccer 24 è divertente e ripropone al meglio lo spirito arcade dei giochi di calcio a 16 bit, cercando anche di rimanere al passo con i tempi con giocatori sbloccabili, premi giornalieri, e diverse altre meccaniche tipiche del mobile gaming, rigorosamente senza acquisti in app – ci mancherebbe! Gli anni ‘90 però sono passati da un pezzo, dunque profondità e gameplay eccezionali per quell’epoca ora possono ambire al massimo al titolo di “casual”. Non è una critica, ma quel Sensible Soccer capace ai suoi tempi di riempire un sacco di pomeriggi, oggi è solo un gioco per farsi due partitelle veloci di quando in quando.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: AMD Ryzen 9 6900HS, 16GB RAM, GeForce RTX 3080, SSD
Com’è, Come Gira: Le richieste hardware sono modeste dunque non ci sono stati problemi tecnici, ma la configurazione della tastiera non convince, meglio giocare con il pad.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/granblue-fantasy-versus-rising/granblue-fantasy-versus-rising-recensione/ Wed, 13 Dec 2023 14:59:15 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=267894 La febbre per Granblue Fantasy non ha intenzione di fermarsi in Giappone, e noi occidentali ci siamo capitati in mezzo! Vediamo di lottare per uscirne fuori.

Sviluppatore / Publisher: Arc System Works / Cygames Prezzo: € 49,99 Localizzazione: Assente Multiplayer: Competitivo offline/online PEGI: 12 Disponibile su: PC (Steam), PlayStation 4, PlayStation 5 Data d’uscita: 14 dicembre 2023

Navi volanti che lambiscono il soffitto del Tokyo Game Show, insospettabili salaryman con lo sguardo fisso sul cellulare alla ricerca di un soffio di escapismo mentre si accalcano sulla Yamanote e numeri da record che non hanno intenzione di diminuire dal debutto che risale al lontano 2014: Granblue Fantasy è IL gioco di ruolo per cellulari in Giappone, e il prossimo debutto di Granblue Fantasy: Relink è l’occasione giusta per dare una nuova occasione a un picchiaduro all’epoca forse troppo trascurato.




Granblue Fantasy Versus Rising potrebbe sembrare sulle prime il classico anime fighter: la cifra stilistica di Arc System Works è del resto inconfondibile; tuttavia, non troverete personaggi che volano da una parte all’altra dello schermo lanciandosi proiettili di energia immensi tra air dash o altri movimenti ipercinetici.

GRANBLUE FANTASY VERSUS RISING MI CALZA COME UN GUANTO

Ciò non vuol dire che l’azione sia letargica, anzi; questa rissosa declinazione del fenomeno Granblue vanta un’immediatezza tale da permettere a chiunque di iniziare a divertirsi senza troppo sforzo. A partire da un generoso roster che comprende la bellezza di ventotto volti, ovvero tutti i personaggi resi disponibili nell’arco di vita del precedente capitolo tramite DLC, assieme a quattro lottatori inediti.

Questa rissosa declinazione del fenomeno Granblue vanta un’immediatezza tale da permettere a chiunque di iniziare a divertirsi senza troppo sforzo

L’attacco si affida a tre pulsanti di potenza crescente, che possono essere concatenati fino a tre volte terminando il colpo finale con una spazzata o un overhead, riscrivendo in maniera più versatile le impopolari combo automatiche. Un quarto tasto dona a ogni personaggio un’abilità personale (ad esempio super armatura o potenziamenti di vario tipo), mentre un ultimo è adibito alle evasioni, permettendo di scansare un colpo in arrivo aprendo la strada a un contrattacco come in The King of Fighters ’95 o compiendo un breve passo in avanti, per evitare proiettili e tenere gli zoner sotto pressione.

La sezione dedicata all’allenamento è molto curata, e comprende l’obbligatoria seri di combo con cui fare pratica.

Un sistema facile da assimilare, che apre la strada a una serie di interessanti idee. Prendiamo i Bravery Point: ogni contendente ne ha tre per round, e possono essere usati per un colpo con proprietà spezza guardia denominato Raging Strike (se riesce a infrangere le difese del nemico lo priva a sua volta di un Bravery Point) e una contromossa simile alle Zero Counter. Poi c’è da fare i conti con il classico indicatore di energia chiamato Skybound, da usare per scatenare due tipi di Skybound Art, devastanti mosse finali che, oltre a un danno semplicemente esagerato, restituiscono un Bravery Point se vanno a segno.

La cosa bella è che potrete provare il gioco gratis con l’edizione Free

Vi ho detto che l’assenza di questi benedetti punti influisce sul danno ricevuto, innescando un interessante meccanismo di rischio e ricompensa? E non abbiamo finito: le classiche mosse speciali hanno un cooldown in base alla loro potenza. Investendo però metà metà della barra Skybound si può attingere a una variante più letale, capace di ignorare l’attesa di cui sopra e attivare proprietà particolari; se però ne avete da parte un solo quarto, potreste azzardarvi a continuare un Raging Strike andato a segno con un colpo supplementare (Raging Chain) che apre la strada a una successiva offensiva.

Lowain con i suoi aiutanti ricorda Sankuro di Samurai Spirits, solo molto più affascinante.

Spero di aver reso l’idea: Granblue Fantasy Versus Rising è un gioco facile da approcciare ma assai profondo e appagante da padroneggiare, e la cosa bella è che potrete provarlo gratis con l’edizione Free, che permette di giocare online con un cast ridotto composto dal protagonista Gran e da altri tre lottatori progressivamente resi accessibili a rotazione. A tal proposito il gioco online si è rivelato una bomba tra rollback e cross platform; il classico hub ambientato su un aeronave del precedente Granblue Fantasy Versus è sostituito da un’isola fluttuante dover i piccoli avatar potranno ingannare il tempo tra un duello e l’altro con minigiochi assurdi in stile Fall Guys, probabilmente poco stuzzicanti per chi si presenta sul ring con la violenza nei pugni e l’intenzione di spaccare tutto, ma indubbiamente pensati per fidelizzare quella fetta di pubblico poco avvezza ai giochi di combattimento competitivi, attratta però dal richiamo del gioco di ruolo originale. Come si comporteranno quando i server saranno pieni è però una cosa da valutare.

TUTTO PERFETTO NEL CIELO?

Granblue Fantasy Versus Rising mi piace tantissimo e non posso che raccomandarlo calorosamente a chi è affezionato ai picchiaduro vecchio stile, e il tutorial offre uno strumento adeguato per comprendere agilmente le basi, tuttavia c’è qualcosa riserva. Per i giocatori solitari non ci sono molte opzioni a parte la modalità arcade, dove affrontare sette incontri scegliendo di volta in volta avversario e difficoltà. La Storia serve invece per fornire un contesto e introdurre i neofiti all’eccentrico cast di Granblue, ma si limita a interminabili sequenze di dialoghi in stile visual novel inframmezzate da banali combattimenti contro eserciti di carne da cannone e occasionali boss.

Siegfried è uno dei nuovi personaggi. Assassino di draghi, gran sommelier del loro sangue.

È sufficientemente longeva (comprende anche l’arco narrativo presente nel primo gioco) e ricca di opzioni che suggeriscono una certa profondità, come abilità secondarie da attivare in battaglia o compagni controllati dalla CPU o da un secondo giocatore, ma in verità si tratta di un contenuto a tratti banale, caratterizzato da un livello di sfida elementare. E poi i comandi semplificati non mi convincono, evidente concessione a vantaggio dei novellini che permette di eseguire l’intero repertorio di mosse speciali con semplici combinazioni di pulsanti; sono sempre disponibili e la tentazione di usarli in situazioni disperate potrebbe risultare troppo golosa per qualcuno…

In Breve: Granblue Fantasy Versus Rising è un gioco di combattimento che fa dell’immediatezza il suo punto forte, facile da approcciare ma incredibilmente profondo. Le meccaniche del primo capitolo sono state affinate a dovere, e un roster ricco offre ore di divertimento in compagnia. Peccato che i contenuti riservati ai giocatori solitari siano assai limitati, classificando il gioco come una festa a uso e consumo di chi ama sfidarsi online. Quei comandi semplificati, poi, proprio non riesco a farmeli piacere.

Piattaforma di Prova: Ryzen 7 5800X, RTX 4070 12Gb, RAM 32Gb 3600Mhz, SSD
Com’è, Come Gira: Splendidamente, ecco come gira. L’ormai abbondantemente glorificata arte di  Arc System Works mette in scena una vera delizia senza un istante di imprecisione grazie alla rodata padronanza dell’Unreal Engine, e il rollback rende gli scontri online una gioia. Attivate il doppiaggio in giapponese per il massimo della libidine!

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/ready-or-not-pc/ready-or-not-recensione/ Tue, 12 Dec 2023 14:07:54 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=267698 Cos’ho appena giocato? Davvero si trattava di un indie? No, questa non me la bevo, e non posso nemmeno credere che Ready or Not sia il titolo d’esordio di VOID Interactive. Dove diamine si sono nascosti fino ad oggi?

Sviluppatore / Publisher: VOID Interactive / VOID Interactive Prezzo: € 35,99 Localizzazione: Assente Multiplayer: Cooperativo online PEGI: 18 Disponibile su: PC (Steam) Data d’uscita: 13 Dicembre

Nella fitta giungla degli Early Access di Steam, che domande. Sebbene l’inizio dei lavori sia datato 2016 (l’anno di fondazione dello studio con sede a Dublino, NdR), nel corso degli ultimi due anni Ready or Not è maturato in versione accesso anticipato, tra l’altro meritandosi anche un buon seguito. Ecco perché i fan degli shooter realistici, come la serie SWAT di Sierra Entertainment per intenderci, molto probabilmente non saranno sorpresi da questa recensione.




Dopo il biennio in gestazione, il promettente FPS tattico è finalmente pronto a vedere la luce ufficialmente con la build 1.0. Da amanti degli immersive sim, fautori degli FPS tattici, appassionati delle sparatorie in spazi angusti e fanatici dell’alta tensione, non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione. Siete come noi? Bene. Lucidate le carte di credito e tenetevi pronti: l’esborso meno rimpianto di sempre vi aspetta.

CITY OF NIGHTMARES

Stati Uniti, la fittizia città dei sogni di Los Sueños, un violento scenario di instabilità politica, economica e sociale. Nei panni David “Judge” Beaumont, il comandante di una squadra SWAT, abbiamo il compito di fornire tutto l’aiuto possibile al Los Sueños Police Department, il quale ha bisogno di noi per disinnescare una serie di situazioni drammatiche. Ready or Not è un simulatore di SWAT che fa del realismo la propria ragione di vita, basti pensare che gli sviluppatori si sono avvalsi della consulenza delle forze dell’ordine per creare delle regole d’ingaggio e un sistema di punti tanto impegnativi quanto credibili. Il risultato è un FPS tattico puro e duro, follemente adrenalinico ed emotivamente brutale, in cui dietro ogni angolo può nascondersi il game over, per la gioia di chi ama le esperienze più forti delle Fisherman’s Friends.

Ready or Not è uno sparatutto tattico puro e duro, crudo, follemente adrenalinico ed emotivamente brutale

Il buon tutorial riesce a darci un’infarinatura sulle dinamiche a cui dovremo affidare le nostre vite virtuali e a farci prendere confidenza con il modo – intuitivo, organico, ben architettato – in cui si impartiscono gli ordini ai nostri quattro compagni d’armi, ma ci vuol poco per capire che è soltanto la prima asettica tappa di un oscuro viaggio nell’orrore umano. In virtù del gameplay cooperativo, Ready or Not offre nettamente il meglio di sé in modalità co-op, manco a dirlo; per quanto si sforzi, l’IA non può restituire il feeling e le soddisfazioni che sa regalare una squadra affiatata composta da persone reali. Tuttavia, se proprio non si vuol tentare la fortuna con il matchmaking, si può sempre affrontare la campagna single player insieme ai bot e, pattern permettendo, guidarli come un sol uomo nella Commander Mode.

Ready or Not

La squadra si appresta a eseguire i miei ordini: aprire la porta, lanciare un flashbang e pulire la stanza.

Se non si è preparati in Ready or Not non si va da nessuna parte, prima sparare e poi pensare non è (quasi) mai il corretto modus operandi. Nella stazione di polizia, l’HUB, è imperativo stare attenti durante il briefing relativo la prossima missione, ideare un piano cucito su misura per ogni specifica situazione magari tenendo conto della planimetria dell’area e, infine, organizzare alla perfezione il proprio team tra equipaggiamento e agenti (non parlo della personalizzazione estetica, comunque presente, bensì dei tratti caratteristici utili in determinate circostanze, come il negoziatore). Quando invece ci si ritrova in una delle diciotto missioni tocca usare riflessi e cervello, ricordandosi che l’incolumità dei civili è importante.

Se non si è preparati in Ready or Not non si va da nessuna parte, prima sparare e poi pensare non è (quasi) mai il corretto modus operandi

Occorre muoversi piano, ascoltare, usare la propria voce, affidarsi al tablet per non perdere la bussola, secretare le prove, abusare della telecamera per sbirciare sotto le porte chiuse, agire di concerto con i propri sottoposti e, mentre si cerca di non soccombere sotto i colpi dei nemici e della tensione, impegnarsi per completare il maggior numero di obiettivi previsti da ciascuna missione (ne esistono cinque tipologie differenti, le regole d’ingaggio variano così come il coefficiente di difficoltà). In tutto questo non ci si deve mai dimenticare la regola aurea: la morte dista solamente uno, forse due colpi.

E VOI SIETE READY OR NOT?

Fare irruzione in un condominio popolare, salvare degli ostaggi presso una stazione di servizio o disinnescare degli esplosivi sono solo alcune delle angoscianti attività che metteranno a dura prova i vostri nervi. I mezzi per cavarsela ci sono, possiamo contare su una dotazione versatile fra arieti, scudi, visori notturni, lanciabili dai diversi effetti, strumenti vari – anche non letali come il teaser – e una cospicua dose di bocche da fuoco modificabili. Ready or Not mette in mostra un ottimo gunplay oltre a un eccellente feedback durante gli scontri a fuoco. Premendo il grilletto le sensazioni sono fisiche al punto giusto anche grazie alla manicale cura per i principi di penetrazione balistica, di rimbalzo, per il funzionamento del kevlar e la dinamica delle piastre, così come per l’espansione e il moto dei proiettili.

Non aprite quella porta SWAT edition.

Insieme ai controlli intelligenti, a un impatto audio-visivo forte e a delle ambientazioni psicologicamente asfissianti tanto per contesto quanto per level design, tutto contribuisce a farci sprofondare in un’esperienza coinvolgente a 360°, una sorta d’ipnotica apnea nel dramma di chi, in teoria, è chiamato a portare l’ordine nel caos. Alcune animazioni meno fluide, qualche incertezza tecnica, una manciata di modelli sottotono e un’interazione ambientale limitata scheggiano solo superficialmente un senso d’immersione talmente forte da tradursi, specie di sera, con le cuffie, poca luce e niente pupetti intorno, in veementi jump scare degni di un film horror. È dura mantenere il sangue freddo, quando capita.

VOID Interactive ha riposto molta attenzione nel gunplay, premendo il grilletto le sensazioni sono fisiche al punto giusto

Il futuro che attende Ready or Not è roseo, non fosse altro per la pletora di mod già disponibili (occhio: alcune causano crash) e che, presumibilmente, aumenteranno. VOID Interactive ha anche confermato che, in un secondo momento, farà la sua comparsa una modalità PvP, e mentirei se dicessi che non sono incredibilmente curioso di scoprire cosa ci aspetta. Tra campagna, co-op, personalizzazione, tattiche da provare, gadget, mod, obiettivi, missioni ed emozioni a non finire, Ready or Not è un simulatore di SWAT tutto d’un pezzo che merita assolutamente d’essere provato, sia che abbiate un debole per i first person shooter co-op d’autore, sia che cerchiate soltanto di rimpinguare la valigia in cui stipate quei momenti tutti vostri, quelli che si sono impressi così forte in voi da meritarsi un ricordo.

In Breve: Posso definirlo indie AAA? Ok, lo faccio. L’accesso anticipato l’aveva spifferato, ma è comunque un piacere avere la conferma che VOID Interactive è ormai pronta a stupirci con uno shooter co-op emozionante, coinvolgente, crudo, di quelli che ci ricordano quanto siano importanti gli amici. Ready or Not ci mette nei panni dei membri di una squadra SWAT e lo fa con ammaliante bravura, catturandoci con il suo gameplay stimolante e il gunplay intrigante. Tra single player e co-op online, personalizzazione e progressione, gestione degli agenti e sfumature a bizzeffe, ci si ritrova ben presto ostaggio di un gioco che non vuol proprio saperne di lasciarci andare. E va benissimo così, anche se non tutto è (ancora?) perfetto.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: i7 11370H@3.30Ghz, Nvidia 3070 Laptop 8 GB, 32 GB di Ram e SSD
Com’è, Come Gira: Giocato in 1440p, impostazioni al massimo livello di dettagli e frame rate ancorato ai 60 fotogrammi al secondo. Il comparto audio-visivo è più che buono, in alcuni frangenti forse può sembrare “artificioso” ma, in generale, graficamente ci siamo. Qua e là si intravede qualche imprecisione (un tostapane volante, un nemico che urla di dolore ma resta immobile), tuttavia non le ho mai percepite come gravi. 

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/warhammer-40000-rogue-trader-pc-ps4-ps5-xbox/warhammer-40000-rogue-trader-recensione/ Mon, 11 Dec 2023 12:46:47 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=267665 La Distesa di Koronus è un luogo in cui la luce dell’Imperatore è offuscata dalle macchinazioni del Caos e dalla presenza degli xeno. Riuscirà un Rogue Trader in erba a riportare l’ordine in questo angolo dimenticato della galassia?

Sviluppatore / Publisher: Owlcat Games / Owlcat Games Prezzo: € 49,99 Localizzazione: Assente Multiplayer: Cooperativo online PEGI: 18+ Disponibile Su: PC (Steam, Epic Games Store, GOG), PS4, PS5, Xbox One, Xbox Series X|S Data di Lancio: 7 dicembre 2023

È strano trovarsi di fronte a un vero e proprio cRPG ambientato nell’universo di Warhammer 40,000. Di solito siamo abituati a progetti dalla portata ben più ridotta, qualche strategico, un run & gun, boomer shooter ignoranti (nell’accezione positiva del termine), ma mai opere così vaste e complesse come quella sviluppata da Owlcat Games. Lo studio russo-cipriota già autore dei due Pathfinder ha raccolto la sfida e ha confezionato quello che, con buona probabilità, è il videogioco che più rende giustizia all’ambientazione griffata Games Workshop dai tempi di Dawn of War.




Rogue Trader ci catapulta sin da subito in un universo perennemente in guerra, dove i conflitti su larga scala tra l’Imperium e tutto ciò che non è Imperium, ma anche tra Imperium e Imperium (inserire meme dei Simpsons sugli scozzesi), fanno da sfondo alla vicenda personale del protagonista e della prestigiosa dinastia von Valancius, di cui si ritrova improvvisamente a capo dopo la morte in circostanze misteriose della precedente matriarca. Una trama senza ombra di dubbio ben raccontata, il cui sviluppo può essere attivamente incanalato dal giocatore verso direzioni differenti sulla base del suo allineamento e delle scelte che compierà durante la lunghissima avventura. Nota a margine: l’enorme mole di testo richiede una buona conoscenza dell’inglese.

ROGUE TRADER, SII SALDO NELLA TUA IGNORANZA

È proprio l’allineamento dell’avatar del giocatore a svolgere un ruolo importante nell’intera economia del gioco, tant’è che possiamo decidere di comportarci seguendo ciecamente i dettami dogmatici su cui si basa il culto dell’Imperatore, prenderci qualche libertà qua e là compiendo azioni da iconoclasta, oppure corteggiare più o meno apertamente i Poteri Perniciosi. D’altronde la Distesa di Koronus è un’area ai confini esterni dell’Imperium, dall’altro lato della Cicatrix Maledictum – dunque nell’Imperium Nihilus, mentre la licenza di commercio posseduta dal Rogue Trader gli garantisce un ampio margine di manovra e un potere secondo solo a quello dell’Inquisizione.

Un servo assetato di conoscenza è più pericoloso di un eretico ignorante

Dunque le azioni compiute nel corso dell’avventura hanno effetti reali e concreti, con conseguenze durature che impattano in maniera importante con contraccolpi a cascata sulla Distesa, come ci si aspetterebbe da un cRPG di questa caratura. Inoltre le scelte del Rogue Trader si manifestano anche nello sviluppo delle colonie presenti nel suo protettorato. È infatti presente una semplice meccanica di gestione dei pianeti che permette di scegliere quali edifici costruire su di essi, così da aumentarne la redditività, ottenere ricompense aggiuntive, e magari aumentare la nostra reputazione nei confronti di questa o quella fazione. Costruendo uno spazioporto militare, per esempio, ci faremo amica la Marina Imperiale, mentre erigendo strutture produttive otterremo il favore dell’Adeptus Mechanicus.

Warhammer 40000 Rogue Trader Recensione 06

L’unico eretico buono è un eretico morto.

Il Rogue Trader non potrebbe fare nulla di tutto questo, però, se non avesse un entourage a fornirgli supporto. Durante l’avventura avremo modo di reclutare i compagni più disparati, da un agente dell’Inquisizione a un tecnoprete del culto Mechanicus, passando per una sorella guerriera dell’Adepta Sororitas, e persino una ranger degli Aeldari e uno Space Marine dei Lupi Siderali. Questi possono essere schierati in battaglia, durante gli scontri tattici a turni, ma forniscono le loro conoscenze durante l’esplorazione dei livelli e dei numerosi dungeon disseminati nella Distesa di Koronus, nonché nel corso delle quest testuali che di tanto in tanto il Rogue Trader e il suo seguito si trovano a dover risolvere.

LA VERITÀ È SOGGETTIVA

Una Distesa da esplorare in lungo e in largo a bordo di una enorme nave del vuoto con un equipaggio nell’ordine delle decine di migliaia. Tuttavia, come ben sapranno gli appassionati di Warhammer 40,000, il viaggio tra le stelle nasconde sempre delle insidie. Non soltanto ci imbatteremo in pirati, eretici e alieni pronti a combatterci in avvincenti battaglie navali nello spazio reale (anch’esse a turni), ma i viaggi attraverso l’Immaterium – o Warp – potrebbero attirare l’attenzione delle entità demoniache che vi dimorano, innescando combattimenti casuali tra i compartimenti del vascello.

Warhammer 40000 Rogue Trader Recensione 01

Le linee sulla mappa rappresentano le rotte attraverso il Warp: più tendono al rosso, meno sono sicure.

Ecco, uno dei difetti di Rogue Trader è proprio l’eccessiva presenza di questi scontri casuali, soprattutto considerando il fatto che per risolvere le quest è necessario viaggiare tanto e a lungo. Certo, proseguendo con l’avventura è possibile ridurre la difficoltà dei salti nel Warp affinché le chance di imbattersi in pericoli venga ridotta, ma nel frattempo si perde tempo in combattimenti banali e troppo simili gli uni dagli altri.

Non esistono innocenti, solo diversi gradi di colpevolezza

Gli altri problemi del gioco riguardano il versante tecnico, purtroppo. Come molti altri videogiochi recenti, anche Rogue Trader versa in uno stato tutt’altro che ottimale. Spesso mi sono imbattuto in oggetti senza texture, nemici che smembrandosi dopo essere stati uccisi vengono sparati nello spazio, incastrandosi ovunque e creando ogni sorta di glitch grafici, descrizioni di oggetti e abilità che scompaiono, testi rimasti in cirillico, personaggi che attraversano mura e oggetti solidi, e chi più ne ha più ne metta.

Warhammer 40000 Rogue Trader Recensione 03

È davvero una buona idea interagire con dispositivi alieni sconosciuti?

Tra l’altro questi problemi sono andati via via aumentando sia in quantità che gravità procedendo con l’avventura, come se i primi atti fossero stati ottimizzati meglio (ma sempre poco) rispetto agli ultimi. Peccato, perché senza queste criticità, alcune gravi che in un paio di occasioni mi hanno fatto temere la corruzione dei salvataggi, saremmo al cospetto di uno dei migliori videogiochi dedicati a Warhammer 40,000. Purtroppo Tzeentch ci ha messo lo zampino.

In Breve: Warhammer 40,000: Rogue Trader tratta con rispetto la licenza del board game targato Games Workshop, offrendo la possibilità di catapultarsi in un universo del tutto aderente alle aspettative di un fan del franchise. Owlcat Games ha realizzato un videogioco di ruolo che garantisce una discreta libertà di scelta con conseguenze concrete sia nello sviluppo della trama, sia nei rapporti di forza all’interno della Distesa di Koronus. Peccato per lo stato tecnico in cui versa, altrimenti staremmo parlando di un’opera molto vicina allo status di capolavoro.

Piattaforma di Prova: Ryzen 5 3600X, 16 GB RAM, RTX 4060Ti, SSD Nvme / Steam Deck
Com’è, Come Gira: Giocato a 2560×1440. Con i dettagli al massimo mantiene a fatica i 60fps, nonostante un colpo d’occhio tutto sommato modesto. Sono inoltre presenti numerosi bug e glitch grafici. Su Steam Deck gira in maniera accettabile.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/outer-wilds/outer-wilds-recensione/ Mon, 11 Dec 2023 09:27:54 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=267731 Ventidue minuti per scoprire chi siamo, da dove veniamo, perché e chi c’era prima di noi. Outer Wilds, sviluppato da Mobius Digital e da Annapurna Interactive, sbarca su Nintendo Switch affascinando come suo solito, trasportando il giocatore in un Universo infinito.

Sviluppatore / Publisher: Mobius Digital / Annapurna Interactive Prezzo: 19,99 euro Localizzazione:  Testi Multiplayer:  Assente Disponibile su: PlayStation 5, PlayStation 4, Xbox Series X/S, Nintendo Switch e PC PEGI: + 16 Data d’uscita: Già disponibile 

Se un domani dovesse capitare di essere a un passo dalla fine di tutto, cosa fareste per recuperare anche le cose più belle? Guardereste il cielo, accarezzando le nuvole e cercando la cometa, magari proprio quella di Don’t Look Up, oppure provereste a stare assieme a qualcuno? È da anni che mi pongo questa domanda, ogni volta che mi interfaccio con Outer Wilds, che su TGM abbiamo deciso di recuperare proprio in occasione dell’arrivo su Nintendo Switch, la piattaforma ibrida di Nintendo che sta ai recenti The Game Awards è stata a bocca asciutta.




Tornare indietro nel tempo, tuttavia, è qualcosa che aiuta sempre per capire il presente e, soprattutto, quale percorso si è seguito. Mobius Digital è un team di sviluppo geniale e appassionato, perché ha mostrato cosa significhi realmente unire due anime e fare ben più di quanto qualcuno potrebbe immaginare nel delineare un sistema solare fittizio, analogo al nostro. Allora sì, mi è capitato di alzare gli occhi verso il cielo, chiedendomi quanto fosse profondo quel mare di fango che ha menzionato Cooper in Interstellar, rivolgendosi con curiosità e paura al viaggio interestellare che avrebbe intrapreso per salvare la gente della Terra.

La meraviglia di un osservatorio visto dall’alto.

In Outer Wilds, però, il viaggio parla di altro. Se c’è una caratteristica che ha sempre contraddistinto i taporiani, la razza aliena del titolo, è la sete di conoscenza. Oltre a essersi posti domande importanti, oltre alle classiche “Da dove veniamo?” e “Perché siamo qui?”, e la sempre classica “Avrò chiuso il gas o sarà ancora accesso”, si chiedono che genere di civiltà ci fosse prima della loro, prima che quei pianeti, ora minacciati da una supernova, potrebbe in effetti cancellare qualunque cosa alla velocità della luce.

Dopo aver giocato a Outer Wilds, potrebbe venirvi voglia di riguardare Arrival e Interestellar

Outer Wilds è un videogioco che creando ansia e tenendo il giocatore incollato allo schermo, riesce a miscelare una narrativa ispirata e una lore profonda e particolareggiata con una struttura ludica riuscita sotto ogni punto di luce, ben oltre le stelle e le attese che qualcuno si sarebbe aspettato.

NON ANDARTENE DOCILE, IN QUELLA BUONA NOTTE…

La narrativa di Outer Wilds, chiara sin dal principio, mette il giocatore nei panni di un esploratore spaziale su un pianeta natio che potrebbe ricordare la Terra, denominato Cuore Legnoso, il centro nevralgico di una specie che viaggia da sempre in giro per il sistema solare alla ricerca di segreti e misteri che tanto spingono gli uomini a non accontentarsi dell’America – anche se forse sarebbe stato meglio non approfondire troppo e cercare di tornare in India. La profonda espressione di Outer Wilds, oltre a derivare da un contesto chiaro e limpido, già visto in tante produzioni come No Man’s Sky, è la scoperta: la trama, in tal senso, segue un viaggio estremamente criptico e piacevole, raccontato in modo che qualunque caratteristica, anche la più miserevole e all’apparenza scontata, appaia come qualcosa di straordinario.

Musica, musica e meraviglia. Questo è Outer Wilds.

È una passione che riscalda l’anima, poiché il viaggio compiuto dall’esploratore, spinto a trovare risposte anche là dove non penserebbe affatto, lo conduce in un Universo denso e carico di segreti da svelare. Mentre cerca risposte, prova a capire perché Vuoto Fragile ha una frattura nello spaziotempo e una Città Sospesa al di sotto di essa, il viaggiatore scopre che ogni messaggio apre a indizi e a ulteriori riflessioni, ma mai realmente a una soluzione.

La musica è fondamentale, nel lungo viaggio all’interno di questo sistema solare

Proporre una storia basata sulla conoscenza e la raccolta d’informazioni, tenendo il giocatore proiettato a scoprire ogni sfaccettatura del sistema solare, riesce in maniera assolutamente meravigliosa a mostrare una cura per cosa vi è attorno che non si concentra solamente su cosa viene mostrato, ma perché e, soprattutto, cosa c’è oltre l’apparenza. In Outer Wilds, da sempre, ho avuto paura a interfacciarmi con le strutture aliene che scoprivo e i messaggi che leggevo, anche se alcuni di essi, in particolare uno, mi ha fatto capire molto sul mio mondo. Mobius Digital ha avuto l’intuizione di portare ogni emozione ben oltre le aspettative, creando un contesto di gioco unico nel suo genere e particolareggiato, mettendo ciò per cui l’intera umanità è divenuta famosa anche a rischio dell’estinzione: la conoscenza.

Niente è più criptico della verità.

Una conoscenza intima che si esprime, peraltro, attraverso la lettura e la musica, con quest’ultima fondamentale per i taporiani per captare e tenere ben collegata ogni rete che si crea e avviluppa, dando la sensazione che ogni dettaglio ha una sua ragione. Il racconto di Outer Wilds, infatti, si appella proprio a essa, esplodendo e dettagliando con particolarità e passione una delle storie più toccanti che abbia mai potuto provare. Con l’aggiunta dell’espansione nel pacchetto per Nintendo Switch, Outer Wilds: Echoes of the Eye, tutto ma anche altro viene portato all’estremo.

INFURIA CONTRO IL MORIRE DELLA LUCE

Come accennavo prima, ci sono ventidue minuti prima che tutto quanto scompaia. La domanda sorge spontanea: ventidue minuti bastano per fare tutto, ma proprio tutto tutto? Lo ammetto, ben prima di capire se potessi farcela, ho dovuto imparare a volare con la navicella, a ricordarmi di indossare la tuta spaziale e a usare la strumentazione, uno su tutti lo scout, utilissimo per individuare i pericoli nel videogioco d’avventura di Mobius Digital. Superato un tutorial al villaggio di Cuore Legnoso, in cui ho imparato come si vola anche a gravità zero, scoprire i segreti del sistema solare in ogni sua sfumatura poteva solo essere una formalità.

Indizi, misteri e molto altro: c’è da risolvere il passato, che è una roba davvero difficile

Non avevo fatto i conti, tuttavia, con i pericoli che avrei affrontato in giro per i pianeti che, oltre a dimostrarmi di essere tanto diversi quanto perigliosi, hanno fatto di tutto per riportarmi indietro, sempre al punto di partenza prima del lancio oltre la mesosfera di Cuore Legnoso e la sua orbità. Mai, mai mi sono sbagliato così tanto in vita mia: sono arrivato a ventuno minuti e mezzo solo quando ho concluso di esplorare ogni lato del sistema solare ideato da Mobius Digital, che si stagliava attraverso dei pianeti completamente esplorabili, vivi e pulsanti, con delle atmosfere e delle situazioni climatiche all’estremo. È stato interessante vivere l’esperienza in prima persona, perché mi ha consentito di osservare le scelte compiute sotto diversi punti di luce, che mi hanno convinto completamente.

L’interno della nave è un amico leale.

Muoversi in questo vasto, complesso e intricato sistema solare, aiutandosi con il jetpack per raggiungere un luogo sopraelevato, è stato un viaggio difficile ma completo, denso di meraviglie. Una caratteristica che mi ha colpito molto, complice la profondità raggiunta dall’opera, è legata agli enigmi presenti in ogni pianeta. Oltre a offrire una profondità ludica invidiabile, spingono a capire al meglio cosa si cela in ogni angolo di quel cosmo che tanto incuriosisce e spinge i taporiani ad andare oltre le loro antenne.

C’è così tanto amore in questo gioco che potreste commuovervi, sul lungo andare: soprattutto giocando a Echoes of the Eye

La risoluzione dei rompicapi, piacevoli e ottimamente presentati, si miscela con l’intuito, fondamentale per avanzare all’interno del racconto. La progressione, in tal senso, si focalizza unicamente su di essa, perché è l’intelletto a dover ragionare su cosa si trova davanti e in che modo può trovare una soluzione. La musica, fondamentale per i taporiani quanto che per noi, impreziosisce tutto il resto. È accaduto con Returnal, direttamente nel suo core, e viene espanso ulteriormente in Outer Wilds.

OUTER WILDS: DENTRO LA CABINA DI UNO SWITCH

L’esperienza ludica di Mobius Digital, ben proposta anche sulla console della Grande N, riesce piacevolmente a convincere. I fotogrammi al secondo, però, sono inferiori rispetto alle versioni su cui ho giocato originariamente l’esperienza, ovvero PlayStation 4 e Xbox Series X|S. L’impatto visivo, chiaramente d’impatto, riesce comunque a offrire spaccati dell’opera incredibili. Tanti giochi di luce, ombre e molte altre meraviglie, il tutto in un minuscolo spazio vitale, come recita il nostro Pietro Iacullo.

Outer Wilds non è secondo a nessuno, in fatto di orrori.

Al netto di qualche piccola sbavatura, dovuta comunque a una piattaforma che dà il meglio di sé in portabilità, vivere il sistema solare di Outer Wilds è un piacere per chiunque cerchi qualcosa ben oltre il suo naso. Lo era nel 2019, lo è stato quando è arrivato Echoes of the Eye e lo è ancora oggi, a distanza di così tanto tempo dalla sua pubblicazione. È un capolavoro.

In Breve: Anche su Nintendo Switch, proprio come sulle altre piattaforme di gioco, Outer Wilds è uno spettacolo visivo e profondo che va ben oltre le aspettative. È un viaggio denso e carico di emozioni, in grado di incollare il giocatore e di mostrare quanto la creatività possa effettivamente donare un’esperienza tutta da scoprire.

Piattaforma di Gioco: Nintendo Switch
Com’è, come gira: A parte qualche calo di frame rate in portabilità e alcune piccole sbavature a causa della macchina da gioco, Outer Wilds è stato ottimizzato al suo meglio.

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– Recensione https://www.thegamesmachine.it/last-train-home-pc/last-train-home-recensione/ Fri, 08 Dec 2023 11:34:23 +0000 https://www.thegamesmachine.it/?page_id=267543 Ispirata a fatti storici realmente accaduti, la storia di Last Train Home ci porta ad attraversare tutta la Russia, unica speranza per un gruppo di veterani della Grande Guerra che vuole solamente tornare a casa.

Sviluppatore / Publisher: Ashborne Games / THQ Nordic Prezzo: 39,99€ Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: 16 Disponibile Su: PC (Steam, GOG) Data di Lancio: Già disponibile

L’armistizio del dicembre 1917 e il successivo trattato di Brest-Litovsk del marzo 1918, firmato fra la Russia bolscevica e gli Imperi Centrali, segnarono la fine della Grande Guerra sul fronte orientale, ma non la fine delle ostilità. In risposta alla rivoluzione bolscevica sorsero ben presto movimenti controrivoluzionari, poi diventati Armata Bianca e sostenuti da quelle potenze occidentali che guardavano con preoccupazione alla presa di potere dei comunisti.




I conflitti fra i bianchi e i rossi avrebbero scosso la Russia per gli anni a venire; ed è proprio all’interno di questo contesto che vanno a inserirsi le vicende della Legione Cecoslovacca, a cui appartiene il gruppo di soldati protagonista di Last Train Home. Obiettivo di questo gruppo è tornare a casa: ma il conflitto in corso li obbliga a fare il giro lungo. Molto lungo, dato che da Mosca devono andare fino a Vladivostok…

ROTTA VERSO CASA

Può forse sembrare assurdo, quasi un dispositivo narrativo pretestuoso, pensare che dover affrontare un viaggio di centinaia e centinaia di chilometri sia preferibile a cercare di attraversare una zona di conflitto, ma Last Train Home si ispira a fatti veramente accaduti: parte della Legione Cecoslovacca dovette effettivamente affrontare tutto questo viaggio, così come dovettero affrontarlo anche molti italiani delle terre irredente, che avevano combattuto sotto l’Austria-Ungheria ed erano finiti prigionieri dei russi (a tal proposito, permettetemi di consigliare la lettura di “Fra due divise” di Andrea di Michele). Nel contesto del gioco, questo significa che dovremo accompagnare un treno e i suoi passeggeri lungo tutta la rotta della Transiberiana, in una struttura che è divisa in due parti: una gestionale, in cui dobbiamo occuparci del treno, tenere un occhio alla risorse, assegnare i turni ai vari soldati, eccetera; e una seconda basata su missioni in tempo reale.

Last Train Home Recensione

Il pannello di gestione dei soldati. Tenere alto il loro morale è una buona idea.

Partiamo dalla prima. Attraversare l’intera Russia in treno durante una guerra civile e alle soglie dell’inverno non è certo proposito di poco conto. Va tenuto conto delle scorte di cibo e di carburante. Del fatto che le carrozze siano adeguatamente riscaldate. Che ci siano soldati a sufficienza per coprire tutti i turni: un vagone ospedale senza dottori non sarà molto utile nel far riprendere i nostri feriti, così come una motrice non potrà funzionare senza qualcuno che getta carbone nelle sue fauci.

LA PARTE GESTIONALE È MOLTO BEN SVILUPPATA, FRA GESTIONE DEI TURNI ED EVENTI PIÙ O MENO PREVISTI

Questo aspetto del gioco è decisamente molto sviluppato: l’interfaccia sulle prime può un po’ intimorire chi come me è meno abituato a questo genere di giochi, quindi se è anche il vostro caso vi consiglio di prendervi un po’ di tempo per prenderci confidenza. Lungo il tragitto sono anche sparsi vari punti d’interesse opzionali: molti di questi permettono di fare rifornimento di risorse, ed è una buona idea non ignorarli, anche perché le pause offrono una buona scusa per approfittarne per potenziare una delle carrozze. Altri eventi sono molto meno prevedibili: l’ostacolo sulle rotaie è il più comune, ma può anche succedere che i ratti decidano che le nostre scorte sono molto invitanti o che il fuochista decida di esagerare con l’alcol portando il treno a fare manovre poco consuete. E occhio che restando fermi troppo a lungo attirerete l’attenzione dell’Armata Rossa!

Last Train Home Recensione

I vari tratti dei legionari influenzeranno i risultati di alcuni eventi e la raccolta di risorse.

LO STEALTH È SPESSO LA SCELTA PIÙ CONVENIENTE, MA NON POGGIA SU MECCANICHE MOLTO SOLIDE

Meno convincente, anche se sicuramente non da buttar via, la parte in tempo reale, per la quale è prevista la pausa tattica. Come potete immaginare visto l’approccio del gioco, anche le munizioni non sono infinite, né i nostri soldati possono essere gettati senza ritegno nelle fauci del nemico. In queste sezioni, Last Train Home privilegia un approccio stealth, che però non si appoggia a meccaniche molto solide: uno dei metodi più semplici di attirare un nemico in una posizione dove potete eliminarlo comodamente, per esempio, è semplicemente esporre uno dei vostri personaggi, nasconderlo di nuovo dietro un angolo, e via così a intervalli regolari finché il malcapitato si sarà avvicinato a sufficienza per farlo fuori senza problemi. E se per caso uno dei vostri soldati dovesse essere individuato, vi basterà correre via e aspettare qualche minuto perché tutto si resetti tornando alla posizione iniziale. Inoltre, non ci sarà nemmeno bisogno tenere conto di fattori solitamente standard nei giochi stealth come nascondere i cadaveri dei nemici.

Last Train Home Recensione

Le mitragliatrici fisse sono armi formidabili, ma occhio che vale anche per i nemici.

È comunque chiaro che non si potrà sempre fare tutto stealth (anche perché richiede molto più tempo…). Le sparatorie capitano in Last Train Home, e qui potremo definire le meccaniche come “simil Company of Heroes”: c’è un sistema di coperture che è bene sfruttare per tenere quanto più al sicuro possibile i nostri soldati.

LE FASI IN CUI SI SPARA CONVINCONO MEGLIO, MA SONO ANCHE MOLTO PIÙ RISCHIOSE

A livello meccanico la fase “sparacchina” convince di più; vale la pena sottolineare in particolare il feedback sonoro delle varie armi, della cui accuratezza non sono certo ma che di sicuro sono un bel sentire. Anche se comprensibile e in linea con l’indirizzo che il gioco vuole avere, è quasi un peccato che scendere in campo ad armi spianate sia spesso la strada meno consigliabile, diventando anzi un proposito rischiosissimo quando sono coinvolte postazioni di mitragliatrice o gruppi numerosi di soldati.

STORIE DI SOLDATI

Chiudiamo con qualche rapido accenno sulla storia e sull’accompagnamento sonoro. La prima è lineare e più “narrata”, tramite la voce del capitano Langer, rispetto a quanto avviene per esempio in Frostpunk; personalmente credo che sia anche molto ben presentata, ma va detto che ho un debole per gli intermezzi in live action. Musicalmente, poi, va elogiata la capacità del team di catturare la drammaticità del viaggio dei legionari, alternando musiche atmosferiche di accompagnamento durante le sezioni in treno a pezzi più intensi quando ci troviamo negli scontri a fuoco. Nel complesso un buon lavoro, insomma.

In Breve: Se avete consumato Frostpunk e state spasmodicamente attendendo il suo seguito, Last Train Home è qualcosa che dovreste sicuramente tenere d’occhio: un gioco che, pur con le dovute differenze sia nel gameplay che nell’approccio narrativo, va a toccare temi simili. Occhio che oltre a fare i supervisori dovrete anche guidare le vostre truppe sul campo, però.

Last Train Home Recensione

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: RTX 3060, Ryzen 3600, 16 GB RAM, SSD NVMe
Com’è, Come gira: Non ho riscontrato particolari problemi di performance, ma va anche detto che per quanto sia più che rispettabile, dal punto di vista grafico non è certo un gioco fra i più complessi o avanzati. Caricamenti non brevissimi.

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